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LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: Al confine del nostro vivere

18 Novembre 2013

di Arrigo Benedetti
[dal “Corriere della Sera”, domenica 29 giungo 1969]

Berlino, giugno.


I tedeschi sono felici? Non l’affermerei ma lo paiono. Domenica mattina, Amburgo: un che di tropicale vegeta nella breve estate lungo i ca ­nali che prolungano l’Alster, specchio di acqua al centro della città. Case bianche, stili eterogenei, prati verdi, alberi, cigni, anatre, scampanìi lute ­rani, scafi con a bordo voga ­tori seminudi, altre creature umane con addosso solo gli slip, maschi e femmine, stesi al sole. E la foresta che s’in ­sinua in quella ch’è forse la più bella città mitteleuropea, se Praga non fosse, com’ebbi a vedere l’anno scorso, in di ­sfacimento.

*

Sono felici? Me lo sono chiesto, durante un breve viaggio in Germania, e soprat ­tutto a Berlino, che, grande centro industriale, pare tut ­tavia una gaia contaminazio ­ne fra la Fiera Campionaria di Milano, il lungomare di Viareggio o di Rimini, via Ve ­neto, Montecatini. Impressio ­ne dovuta alla maniera con cui i berlinesi, giovani o vec ­chi, siedono discinti nei caf ­fè all’aperto del Kurfurstendamm. E il suggerimento vi ­sivo d’una Berlino balneare-industriale resiste â— anzi se ne sente l’immagine alle spal ­le â— quando si sale sui ter ­razzini costruiti al limite del ­la zona anglo-franco-america ­na per guardare il muro.

Gli americani â— i turisti più numerosi, seguiti dai giap ­ponesi â— vi salgono insieme ai tedeschi dell’Ovest venuti in gita. Si dà uno sguardo alle residue rovine affumi ­cate della guerra, ai fili spi ­nati disposti recentemente, co ­me giunta alla separazione, si figge lo sguardo nella materia vile del muro che sembra, a fissarlo, così poco dramma ­tico e tanto meschino. Lo so: basterebbe che uno di noi im ­pazzisse e saltasse giù, o che qualche altro sbucasse dagli anfratti del terreno prodotti dalle bombe almeno venti ­quattro anni fa, e subito la scena s’animerebbe. Assisteremmo a un breve dramma che avrebbe solo il peso d’un happening.

Oggi i tedeschi portano il viaggiatore straniero a do ­mandarsi se essi siano final ­mente soddisfatti di sé. « Ma quale errore politico commet ­teranno, questa volta, dopo avere di nuovo dato prova delle loro capacità tecnologi ­che? » si chiede subito dopo chi riconosce l’ampiezza del ­l’egemonia economica tede ­sca, pensando al ’14, e, te ­nuto conto delle differenze tra l’odioso Guglielmo II e il cri ­minale Hitler, al ’39. Ci si convince che tutti presi dal ­l’utile, i tedeschi sono amabil ­mente umani. Proprio Berli ­no mostra quale disinvoltura acquistino, liberi dall’angoscia della politica che, per essi, è un’attività vile in quanto comporta bassezze. Strano: i compromessi, magari l’ingan ­no sono leciti all’operatore economico, allo sportivo, al ­l’intellettuale, magari al mili ­tare. Invece, gli uomini pub ­blici non hanno il diritto di ricorrervi.

La tendenza a vivere nel proprio guscio particolare for ­se deriva dall’identificarsi del concetto di « borghese » one ­sto, laborioso con tutti i cit ­tadini, senza più distinzioni sociali. Ognuno accetta dal ­la sorte un compito. Lo deve svolgere bene, trarne soddi ­sfazione, magari un po’ di ricchezza. Possa egli dire, alla fine: « Ecco, ciò che io so fare ». E lo dichiari sia che mostri un prodotto dell’in ­dustria, sia che concluda un discorso culturale, sia che of ­fra un dipinto, una scultura, un libro.

Il brigare per essere eletto, la propaganda per sé o per un partito autorizzano il so ­spetto dell’imbroglio, e dànno l’impressione d’una buffoneria.

*

E’ incredibile che in un grande paese europeo, nel quale si sta affermando l’idea â— per usare il termine abu ­sato dai sociologi â— del vi ­vere borghese concesso a tutti si fraintenda e si disprezzi l’attività politica, e la si consideri non una categoria auto ­noma ma una brutta necessità. L’antica frase: « Ogni mattina ringrazio Iddio â— che all’im ­pero romano non ho da pen ­sarci io », valida fino al seco- lo scorso, quando la sacra istituzione germanica era svanita già da alcuni decenni, è ancora in corso, mentre in Italia, dove la politica ha modi scoraggianti, la massima vile: « Franza o Spagna – purché si magna » è stata corrosa dall’unità nazionale, e s’è spenta nelle nostre coscienze, nelle quali riaffiorano motivi simili solo nei momenti di depressione morale.

Un tempo alla politica tedesca badavano i re, i principi, i granduchi, illuminati o no. A essi l’obbligo di governare e di tenere i contatti con la frivola latinità, nella versione francese. In seguito, i tedeschi ebbero l’occasione rara d’un Bismarck.

Dopo la scon ­fitta del ’18, la politica toccò per poco a politici sprezzati anche se erano Ebert e Stresemann. Infine, la s’affidò a Hindenburg, come se un mili ­tare potesse risolvere i pro ­blemi del dopoguerra d’auto ­rità. Con la sconfitta del ’45, si ebbe Adenauer, il sindaco di Colonia, accettato non per il suo spirito democratico ma per i modi alteri.

*

Ora i tedeschi dell’Ovest, vicini alle elezioni di settem ­bre, paiono orfani di padre. Il democristiano Kiesinger, il socialista Brandt non emana ­no sensi paterni. Domani, i tedeschi, soddisfatti dalla ric ­chezza, s’affideranno al catto ­lico Strauss, in tal caso scam ­biando per paternità la du ­rezza.

Si lasci la parola a Goethe. I tedeschi, diceva, sono un popolo spirituale, privo di sen ­so politico, disposti ai valori puramente umani, un popolo che va a scuola da tutti e che di tutti è maestro. Concetti che Thomas Mann riprese nelle sue « Considerazioni di un im ­politico », nelle quali, fra il ’14 e il ’18, disse, più per sé che per gli altri, il suo sprezzo per l’Europa giacobina, affa ­rista, montecarlesca. In Ger ­mania, sebbene Thomas Mann non sia troppo letto, le idee espresse nella geniale confes ­sione â— contraddetta da ul ­teriori e dolorose esperienze â— valgono ancora. Esse fan ­no pensare a una robustezza fisica che dia soddisfazioni sul posto di lavoro, a tavola, a letto; e a un’umanità talvol ­ta attratta dall’incanto del Mezzogiorno greco-romano e solare, però sempre trattenu ­ta da un timore d’inganno nascosto dietro la bellezza.

Da queste contraddizioni deriva l’eterna protesta dei tedeschi nel continente di cui essi, a intermittenza, sono egemoni, senza mai sapere da ­re una soluzione politica seria a tale prevalenza. Il rifiuto dell’Occidente va da Nietzsche a Thomas Mann; coinvolge, alla fine, Marcuse. Prima del ­le due guerre perse, la prote ­sta fu conservatrice, come lo era stata quella slava di Dostoievskij. Oggi che accento ha? L’Europa latina e anglo ­sassone, che la politica ac ­cetta o come una categoria dello spirito o come una pratica degna dell’uomo, conti ­nua a chiederselo con ansia. Certo, oggi molti tedeschi dan ­no segni di nuova impazien ­za. Negli anni scorsi, erano disposti a partecipare alla co ­struzione d’una unità europea. Forse, per raggiungerla, e dis ­solvervi antichi problemi, avrebbero soffocato lo spirito protestatario; ma, davanti ai ritardi, alle difficoltà e alle astuzie francesi â— che essi addebitano a tutta l’altra Eu ­ropa â— non sembrano volersi adattare a un discorso politico.

Dalla delusione deriva il malessere che, di tanto in tan ­to, s’accentua, come accadde proprio a Berlino un anno fa o poco più. Le bandiere rosse sventolate dagli studenti sul Kurfürstendamm sbalordirono e indignarono; sembrò assur ­do che qualcuno le agitasse tanto vicino al muro e all’al ­tra Berlino, quella congelata in un regime poliziesco; ma forse segnalarono una novità. La protesta, una volta con ­servatrice, da Schopenhauer a Nietzsche, oggi s’è spostata all’estrema sinistra cultural ­mente e politicamente. Diven ­ta la frangia dello scontento che accompagna il benessere e la libertà, e che magari ri ­schia d’annullarli: il momen ­to critico, direi, di quella feli ­cità fisiologica che in Germa ­nia impressiona lo straniero.

*

Città ricostruite con un’one ­stà e magari un’intelligenza che noi italiani ignoriamo, dense di vita anche quando â— a Colonia, per esempio â— la ricostruzione avvenne in fretta; gruppi sociali che ora paiono divisi e che invece si stanno amalgamando, ecco la Germania, oggi. Quasi s’av ­verte un armonioso rapporto fra le creazioni artificiose del ­l’uomo â— insediamenti urba ­ni e industriali â— e la natura, e anche una sbigottita fidu ­cia. Le ipotesi dell’avvenire esaltano; le responsabilità del ­l’egemonia continentale spa ­ventano. E sono proprio que ­sti due momenti dello spirito che spingono a chiedersi quali errori commetteranno nell’av ­venire i tedeschi sempre per la loro eterna impoliticità.

Eppoi c’è quel muro livido, di là dal quale non esiste solo la Berlino un tempo fastosa dell’ Unter den Linden, non solo l’altro Stato tedesco. Ci si sente ai confini del nostro mo ­do di vivere. Il muro fa pensare a pianure sconfinate, a possibili accordi e disaccor ­di, a patti e a scontri. Un insieme di immagini che di ­ventando fantasia inducono in tentazione.


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Bart