LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: La lingua di Roma #4/102 Dicembre 2008 di Panfilo Gentile E’ opinione generalmente accettata che le antiche popo Âlazioni italiche, stabilitesi in un territorio presso a poco corrispondente alla regione appenninica, appartenessero tutte linguisticamente alla fa Âmiglia indo-europea. Questa sostanziale unità linguistica non esclude la varietà e molteplicità degli idiomi, perché ogni gruppo ha subito parti Âcolari influenze. Gli indo-eu Âropei vennero infatti a con Âtatto con l’ambiente mediter Âraneo e con diverse regioni linguistiche: libica, iberica, li Âgure, tirrenica, picena. E nella tirrenica bisogna fermarsi so Âprattutto sulle lingue etrusca e greca, per l’influenza prepon Âderante che esercitarono sulla lingua latina. Oltre le influen Âze esterne, sembra accertato un processo spontaneo di frammentazione interno non riconducibile a recezioni les Âsicali o grammaticali esterne. Questo è il fenomeno più difficile a comprendere, per Âché mentre ancora oggi abbia Âmo presenti nella nostra epoca i mutamenti linguistici per adozione dall’esterno (quante parole inglesi o meglio americane e dello slang americano sono entrate dopo l’ultima guerra nell’uso nostro lingui Âstico!), invece, il fenomeno della frantumazione sponta Ânea non ha riscontri apprez Âzabili nella nostra epoca. Noi per spiegarci come ciò sia in Âvece potuto avvenire nel pas Âsato siamo costretti a rivol Âgerci alla filosofia del linguag Âgio; ma anche questa non ci ha dato risposte soddisfacenti. Essa insegna che il linguaggio è il prodotto di una creazione spontanea, soggettiva, lirica e nel tempo stesso di un magi Âstero autoritario esterno, con Âvenzionale. Parlare non significa altro che coniare suoni con un certo significato. E collaborano qua l’istinto e la regola, le scelte del soggetto e l’inse Âgnamento delle generazioni. Nell’infanzia dei popoli è mas Âsima la parte creatrice del sog Âgetto e minimo il patrimonio accumulato dei segni fonetici stabiliti. Nelle età adulte o ci Âvili lo spazio creativo lasciato al singolo si restringe e domi Âna quello dei segni codificati. Le lingue hanno un lessico, una grammatica, una sintassi che fanno legge. Tuttavia an Âche in questo momento, in cui la lingua è imposta, ogni indi Âviduo potrà trovare e trova il suo stile, fare le sue scelte, avrà la sua pronuncia, darà al discorso il suo ritmo e la sua musica e il suo linguaggio, ma , sempre nel quadro di un sistema codificato. * Che cosa erano i Latini, quale area occupavano tra queste popolazioni di fondo indo-europeo ma un po’ imbastarditi con i mediterranei e tirrenici e frantumatisi internamente? Ebbene i Latini appena appena si riducevano all’area di Roma. Il protolatino era solo il dialetto di Roma. Sarebbe incredibile se non ce lo assi Âcurasse Giacomo Devoto, uno dei maggiori filologi europei, che prende le mosse proprio da questo inizio per raccon Âtarci in un dottissimo e sugge Âstivo volume La Storia della lingua di Roma, una delle sue opere fondamentali oggi ri Âstampate dal Cappelli di Bo Âlogna. Nell’epoca arcaica la area della lingua latina era segnata a Nord dal Tevere. Al di là del fiume stavano gli Etruschi, la cui lingua soprav Âviveva indisturbata dalle mi Âgrazioni indo-europee. I Sabi Âni ad est apparivano penetrati addirittura nel suolo stesso della città . Numa ed Anco Marzio furono entrambi re sa Âbini. Verso sud-est i Romani arrivavano fino a Preneste, esclusa la città . Risalendo lo Aniene non si oltrepassava Tivoli, dove cominciava il terri Âtorio di lingua osco-umbra degli Equi e dei Marsi. A sud i Latini avevano trovato la maggiore espansione, perché erano arrivati fino a Terracina, sebbene i nomi di Velletri (Veliter) e Terracina (Tarracina) accusano origine etrusca e ricordano le città etrusche di Volterra e Tarquinia. Possessi per altro contestati, quando i Volsci scesero dalle montagne nella regione pontina. Velletri da questo momento parlò la lingua volsca. Insomma al principio del V Secolo il la Âtino pareva chiuso tra lingue delle quali nessuna si trovava in condizione di decadenza e tutte sembravano dotate di forza d’espansione commercia Âle o militare. Le guerre con gli Equi e coi Volsci furono vit Âtorie importanti ma di natura esclusivamente difensiva. * L’analisi filologica apre il Âluminanti spiragli sulla socie Âtà arcaica romana. Maroueau ha raccolto molte prove in fa Âvore della ruralità del latino. Devoto accetta questa tesi, con qualche riserva. E’ esat Âto: il lessico prova che il la Âtino, in una determinata fase, è stato una lingua di persone, per le quali la campagna era il pensiero più importante. Ma, osserva acutamente Devoto, il lessico che ci richia Âma alla campagna sopravvive in forma di metafora, il che permette di sostenere che già in questo periodo arcaico l’e Âpoca rurale era stata oltre Âpassata. Spieghiamo con un esempio. La parola « pecu Ânia » deriva da « pecus » e cioè il bestiame, ma sta a si Âgnificare il denaro. Quindi la sua presenza prova che in passato gli scambi avveniva Âno in natura attraverso il be Âstiame e che la società aveva dietro di sé una civiltà roz Âzamente rurale; è altrettanto vero che quando la parola ha perso il suo significato origi Ânario e viene usata solo in senso metaforico, che siamo già in un grado più avanzato di civiltà . Del resto l’archeo Âlogia viene in soccorso della filologia e il guerriero di Capestrano, nonché le cerami Âche e le oreficerie repertate ad esempio nell’Abruzzo aqui Âlano, con sicuro riferimento al V secolo A.C., confermano che la società di quest’epoca aveva già industrie o commer Âci che si erano allontanati da un pezzo dal livello agricolo-pastorale. Letto 4975 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Dicembre 2008 @ 21:28
Dopo aver letto questo interessantissimo saggio, mi son tornate alla mente le parole che scrisse Ferdinand de Saussure e che mi sembrano particolarmente significative: “Nulla entra nella lingua senza essere stato provato nella parola; e tutti i fenomeni evolutivi hanno radice nella sfera dell’individuo”
Gian Gabriele Benedetti
Commento by Donato di domenico — 25 Ottobre 2012 @ 14:43
All’Aquila si dice che il termine “quatrano” Â derivi dallo spagnolo “quatro anos” e dovrebbe indicare l’uscita dal periodo piu’ critico (durante la dominazione) della mortalita’ infantile.
Sarebbe interessante capire se questo termine fosse usato anche nel periodo precedente la dominazione Spagnola. Saluti
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 25 Ottobre 2012 @ 15:46
Potresti porre il quesito all’Accademia della Crusca. Sono molto gentili e rispondono.
Bart