Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: La lingua di Roma #4/10

2 Dicembre 2008

di Panfilo Gentile
[dal “Corriere della Sera”, sabato 13 settembre 1969] 

E’ opinione generalmente accettata che le antiche popo ­lazioni italiche, stabilitesi in  un territorio presso a poco corrispondente alla regione appenninica, appartenessero tutte linguisticamente alla fa ­miglia indo-europea. Questa sostanziale unità linguistica non esclude la varietà e molteplicità degli idiomi, perché ogni gruppo ha subito parti ­colari influenze. Gli indo-eu ­ropei vennero infatti a con ­tatto con l’ambiente mediter ­raneo e con diverse regioni linguistiche: libica, iberica, li ­gure, tirrenica, picena. E nella tirrenica bisogna fermarsi so ­prattutto sulle lingue etrusca e greca, per l’influenza prepon ­derante che esercitarono sulla lingua latina. Oltre le influen ­ze esterne, sembra accertato un processo spontaneo di frammentazione interno non riconducibile a recezioni les ­sicali o grammaticali esterne. Questo è il fenomeno più difficile a comprendere, per ­ché mentre ancora oggi abbia ­mo presenti nella nostra epoca i mutamenti linguistici per adozione dall’esterno (quante parole inglesi o meglio americane e dello slang americano sono entrate dopo l’ultima guerra nell’uso nostro lingui ­stico!), invece, il fenomeno della frantumazione sponta ­nea non ha riscontri apprez ­zabili nella nostra epoca. Noi per spiegarci come ciò sia in ­vece potuto avvenire nel pas ­sato siamo costretti a rivol ­gerci alla filosofia del linguag ­gio; ma anche questa non ci ha dato risposte soddisfacenti. Essa insegna che il linguaggio è il prodotto di una creazione spontanea, soggettiva, lirica e nel tempo stesso di un magi ­stero autoritario esterno, con ­venzionale. Parlare non significa altro che coniare suoni  con un certo significato. E collaborano qua l’istinto e la regola, le scelte del soggetto e l’inse ­gnamento delle generazioni. Nell’infanzia dei popoli è mas ­sima la parte creatrice del sog ­getto e minimo il patrimonio accumulato dei segni fonetici stabiliti. Nelle età adulte o ci ­vili lo spazio creativo lasciato al singolo si restringe e domi ­na quello dei segni codificati. Le lingue hanno un lessico, una grammatica, una sintassi che fanno legge. Tuttavia an ­che in questo momento, in cui la lingua è imposta, ogni indi ­viduo potrà trovare e trova il suo stile, fare le sue scelte, avrà la sua pronuncia, darà al discorso il suo ritmo e la sua musica e il suo linguaggio, ma , sempre nel quadro di un sistema codificato.
Quando nelle epoche infan ­tili   prevale   il   fatto  creativo per   indigenza   di   patrimonio linguistico,    si    verifica    una estrema frantumazione di lin ­gue che non superano il grup ­po tribale. Ancora oggi alcune tribù negre dell’Africa centra ­le non possiedono che dialetti, incomprensibili    fuori    della tribù e per questa assenza di lingua hanno fatto propria la lingua dei paesi civili coi quali sono venuti in contatto. Non vi è stata una sostituzione di lingua, ma una acquisizione di lingua  su un vuoto linguistico. La eccessiva frantu ­mazione perciò dovrebbe esse ­re una caratteristica propria di una società assai arretrata. Invece gli indo-europei stabilitisi nell’Italia centro-meridionale erano in possesso di una civiltà relativamente  avanzata. Nasce quindi un interrogativo che giro ai filologi e paleontologi  più qualificati  di  me. 

*

Che cosa erano i Latini, quale area occupavano tra queste popolazioni di fondo indo-europeo ma un po’ imbastarditi con i mediterranei e tirrenici e frantumatisi internamente? Ebbene i Latini appena appena si riducevano all’area di Roma. Il protolatino era solo il dialetto di Roma. Sarebbe incredibile se non ce lo assi ­curasse Giacomo Devoto, uno dei maggiori filologi europei, che prende le mosse proprio da questo inizio per raccon ­tarci in un dottissimo e sugge ­stivo volume La Storia della lingua di Roma, una delle sue opere fondamentali oggi ri ­stampate dal Cappelli di Bo ­logna. Nell’epoca arcaica la area della lingua latina era segnata a Nord dal Tevere. Al di là del fiume stavano gli Etruschi, la cui lingua soprav ­viveva indisturbata dalle mi ­grazioni indo-europee. I Sabi ­ni ad est apparivano penetrati addirittura nel suolo stesso della città. Numa ed Anco Marzio furono entrambi re sa ­bini. Verso sud-est i Romani arrivavano fino a Preneste, esclusa la città. Risalendo lo Aniene non si oltrepassava Tivoli, dove cominciava il terri ­torio di lingua osco-umbra degli Equi e dei Marsi. A sud i Latini avevano trovato la maggiore espansione, perché erano arrivati fino a Terracina, sebbene i nomi di Velletri (Veliter) e Terracina (Tarracina) accusano origine etrusca e ricordano le città etrusche di Volterra e Tarquinia. Possessi per altro contestati, quando i Volsci scesero dalle montagne nella regione pontina. Velletri da questo momento parlò la lingua volsca. Insomma al principio del V Secolo il la ­tino pareva chiuso tra lingue delle quali nessuna si trovava in condizione di decadenza e tutte   sembravano   dotate di forza d’espansione commercia ­le o militare. Le guerre con gli Equi e coi Volsci furono vit ­torie importanti ma di natura esclusivamente difensiva.
Solo le lunghe e terribili guerre sannitiche decisero dei destini di Roma nel quadro delle popolazioni centro-meri ­dionali e dettero alla lingua latina lo spazio e il prestigio sufficienti per diventare la lingua modello, la lingua co ­dificata di quel mondo. 

*

L’analisi filologica apre il ­luminanti spiragli sulla socie ­tà arcaica romana. Maroueau ha raccolto molte prove in fa ­vore della ruralità del latino. Devoto accetta questa tesi, con qualche riserva. E’ esat ­to: il lessico prova che il la ­tino, in una determinata fase, è stato una lingua di persone, per le quali la campagna era il pensiero più importante. Ma, osserva acutamente Devoto, il lessico che ci richia ­ma alla campagna sopravvive in forma di metafora, il che permette di sostenere che già in questo periodo arcaico l’e ­poca rurale era stata oltre ­passata. Spieghiamo con un esempio. La parola « pecu ­nia » deriva da « pecus » e cioè il bestiame, ma sta a si ­gnificare il denaro. Quindi la sua presenza prova che in passato gli scambi avveniva ­no in natura attraverso il be ­stiame e che la società aveva dietro di sé una civiltà roz ­zamente rurale; è altrettanto vero che quando la parola ha perso il suo significato origi ­nario e viene usata solo in senso metaforico, che siamo già in un grado più avanzato di civiltà. Del resto l’archeo ­logia viene in soccorso della filologia e il guerriero di Capestrano, nonché le cerami ­che e le oreficerie repertate ad esempio nell’Abruzzo aqui ­lano, con sicuro riferimento al V secolo A.C., confermano che la società di quest’epoca aveva già industrie o commer ­ci che si erano allontanati da un pezzo dal livello agricolo-pastorale.
Da questo punto di vista, per quanto concerne i Latini, le recezioni etrusche sono de ­cisive. La « grande Roma dei Tarquini » fu indubbiamente un’epoca di grande sviluppo economico e politico. E l’ap ­porto degli Etruschi richiama subito quello greco. Prima e dopo i Tarquini, gli Etruschi fecero un po’ da passamani, da intermediari, riesportando quello che importavano dai Greci. Ma dal momento che Roma si fece spazio, come abbiamo visto, soprattutto verso il Sud e quando dalla Pontina si spinse, come era inevitabile, fino alla Campa ­nia, le importazioni greche non dovettero passare più dall’Etruria.
Le colonie greche della Ma ­gna  Grecia  e della  Sicilia  e in particolare la colonia sta ­bilitasi a Cuma nell’VIII Se ­colo A.C. fanno da aralde al ­l’espansione della civiltà gre ­ca. Già all’VIII secolo la pre ­senza  di  vasi  corinzi  attesta la penetrazione   commerciale ellenica.  Nella  seconda  metà del secolo VI e nei primi del V si trovano a Roma nume ­rosi rivestimenti di terracotta che richiamano modelli greci. Nello stesso periodo sono stati  accolti culti greci:   i Dioscuri nel 484, Demetra, Dioniso e Core nel 493, Hermes nel 494, Apollo nel 495. Più avanti i contatti con la cultura greca si fanno più intimi. Nel 330, sembra, Capua ricevette la cittadinanza  romana senza suffragio. Nel 304 è console P. Sempronio, che porta il cognome greco di Sophus. Nel 293 è introdotto il culto dì Asclepiade, alias Esculapio. Con la vittoria sui Sanniti i Romani hanno via libera ver ­so il Sud e per comunicare con le città greche, finché nel 272 conquistano la stessa Taranto. E quali influenze linguistiche esercitarono tali contatti si vedrà quando la lingua latina sarà diventata anche una lingua letteraria con Plauto, Ennio, Livio Andronico, Nevio e Terenzio.
La filologia è una scienza affascinante e Giacomo Devo ­to è un grande maestro. Io mi sono permesso una dilet ­tantesca incursione in questo regno, che non è il mio, per ­ché ho avuto sempre la debo ­lezza di correre dietro la sto ­ria misteriosa delle parole. Ricordo, poiché siamo in te ­ma di lingua latina, che non mi davo pace per scoprire l’origine della parola « quatrano » e « quatrana », che nel mio dialetto natìo significa ragazzetto o ragazzotta. Non sapevo spiegarmi come il mio dialetto non avesse adottato la parola « guaglione » come tutti gli altri dialetti meridio ­nali. La spiegazione mi fu da ­ta dall’insigne prof. De Mar ­co, attualmente professore di epigrafia greca all’Università di Milano. « Quatrani », mi disse De Marco, erano chia ­mati dai Romani gli scolari, perché dovevano andare in fila per quattro. Confesso che mi sentii orgoglioso che il mio dialetto conservasse così no ­bili ed antiche locuzioni.


Letto 4975 volte.


3 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Dicembre 2008 @ 21:28

    Dopo aver letto questo interessantissimo saggio, mi son tornate alla mente le parole che scrisse Ferdinand de Saussure e che mi sembrano particolarmente significative: “Nulla entra nella lingua senza essere stato provato nella parola; e tutti i fenomeni evolutivi hanno radice nella sfera dell’individuo”
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Donato di domenico — 25 Ottobre 2012 @ 14:43

    All’Aquila si dice che il termine “quatrano”  derivi dallo spagnolo “quatro anos” e dovrebbe indicare l’uscita dal periodo piu’ critico (durante la dominazione) della mortalita’ infantile.
    Sarebbe interessante capire se questo termine fosse usato anche nel periodo precedente la dominazione Spagnola. Saluti

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 25 Ottobre 2012 @ 15:46

    Potresti porre il quesito all’Accademia della Crusca. Sono molto gentili e rispondono.
    Bart

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart