LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: L’Encyclopédie. Anche Goethe non capì2 Giugno 2016 di Ermanno Migliorini Enciclopedia Relativamente da poco tempo un’at tiva industria filologica si sta eserci tando intorno a quella grande « mac china da guerra » che fu l’Encyclopédie, cercando di chiarire i numerosis simi misteri della sua storia interna, i complessi problemi sollevati dalle at tribuzioni degli articoli o dalla ricogni zione delle fonti. Lo studio dell’enor me edificio enciclopedico, con i suoi diciassette volumi in folio più quelli delle planches, le sue 60.200 voci, ha la capacità di dare lavoro ancora per molti anni a schiere di storici anche senza pensare che sia mai possibile (e forse utile) rendere ragione sia pure soltanto dei particolari più rilevanti. E’ questo comunque un compito che spetta proprio al nostro tempo, che è stato da noi coscientemente assunto come un dovere: ed è significativa la spontanea convergenza di attenzione che, nei confronti dell’Encyclopédie, si è prodotta ormai in tutto il mondo, unitamente a un’attenzione rinnovata per la sua fortuna e la sua diffusione fuori di Francia. Perché alla base del l’interesse filologico e, in senso largo, « tecnico » per l‘Enciclopedia sta ov viamente « una diversa valutazione della rivoluzione borghese e della sua ideologia, una rinnovata consapevolez za dei valori universali che essa espresse e non realizzò », come scrive con la solita acutezza uno dei nostri più attenti studiosi del pensiero illu ministico, Paolo Casini, nell’introdu zione a una sua recentissima scelta di « voci ». Le speranze dell’Enciclopedia Nella sua breve introduzione alla traduzione di un gruppo di articoli (scelti con molta oculatezza) Paolo Casini si sofferma proprio sulla fortu na dell’Enciclopedia, sulla sua rapida diffusione e sul suo rapido declino quando il riflusso controrivoluzionario e antigiacobino addossò a Rousseau, Voltaire e agli enciclopedisti la faute del Terrore, e la borghesia che si era riconosciuta in quelle pagine rifiutò le conseguenze che sembravano derivar ne: alle soglie del nuovo secolo, infat ti, « il materialismo, l’irreligione, la critica sociale e politica, il pragmati smo scientifico e tecnologico dell’Enci clopedia â— in una parola la filosofia dei philosophes â— apparvero dotati di una carica eversiva che andava ben al di là dei nuovi compromessi raggiunti: ossia, demoni da esorcizzare ». Il che se è verissimo per quanto ri guarda la cultura letteraria e filosofica (e basta pensare in genere alla reazio ne romantica e, fra l’altro, alla Enci clopedia hegeliana) è forse meno vero, o meglio è vero per ragioni diverse, per quanto riguarda le tecniche e le scienze; certo è che il grande sogno diderotiano di lavorare per il futuro, di costituire la forma di un edificio desti nato ad arricchirsi e a completarsi andò in gran parte deluso. La rivolu zione spazzò via le speranze enciclope diche; la profezia diderotiana, che po neva appunto nel momento successivo a una grande e rovinosa rivoluzione il momento di maggiore utilità dell’Enci clopedia, fu rovesciata: « Il momento di maggior gloria », scriveva infatti Di derot nel Prospectus, « per un’opera di questa natura sarebbe quello immedia tamente successivo a una grande ri voluzione che avesse fermato il pro gresso delle scienze, interrotto il lavo ro delle arti, rituffato nelle tenebre una parte del nostro emisfero. Quale riconoscenza la generazione successi va a un’epoca così oscura avrebbe per gli uomini che l’avessero paventa ta da lungi, e ne avessero prevenuto i danni, ponendo a riparo le conoscenze dei secoli passati! ». Sonante di martelli e di telai Ma non fu, quello che venne, il mo mento di maggior gloria, non vi fu riconoscenza. Il grande torto degli enci clopedisti, per gli uomini della reazio ne romantica, era stato quello di aver voluto realizzare il programma di una cultura unitaria o comunque di aver ne avuto l’aspirazione e di averla tena cemente difesa. L‘Enciclopedia è uno degli ultimi tentativi di accostare in un’unica grande opera le tecniche (per la prima volta liberate dai miste ri dei rituali corporativi e riportate ai loro princìpi teorici), le scienze e le discipline filosofiche, politiche, morali, religiose, in un’unità che fu il frutto di una temperie, di un equilibrio mo mentaneo al cui mantenimento non furono estranee le forze della polemiica. Una specie di reticolato steso uni formemente sul mondo per prenderne possesso. Ma già Goethe manifestava il suo di sgusto per la via enciclopedica alla cultura, il suo disprezzo per le tecni che che, introdotte in quel modo nel l’edificio enciclopedico, ne rappresen tavano, forse più che le troppo note posizioni filosofiche, uno dei maggiori e sotterranei elementi sovvertitori. In quel contesto l’attenzione al lavoro dell’uomo, nel suo aspetto tecnico, ele vava il lavoro a cultura. Ma la borghe sia aveva scelto ormai altre strade, era in ben diverse disposizioni: l’Enci clopedia sonante di martelli e di telai doveva dunque apparire qualcosa di mostruoso. I grandi opifici potevano esistere ormai anche senza che i lette rati e i filosofi se ne occupassero: « Quando sentiamo parlare degli enci clopedisti, o apriamo un volume della loro opera mostruosa », scriveva Goe the, « ci accade come a chi vada tra gli innumerevoli rocchetti e telai in movimento di una grande fabbrica, ove, nel gran fragore e ronzio, dinanzi a macchinari che confondono sguardo e mente, a procedimenti che si connet tono l’uno all’altro nel modo più vario e inafferrabile, osservando tutto ciò che è necessario per tessere un pezzo di stoffa finisca per prendere in uggia perfino l’abito che indossa ». Questa avversione, come si è visto, è durata quasi fino ai nostri giorni.
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