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LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: Sallustio: una riscoperta #3/10

5 Novembre 2008

di Panfilo Gentile
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 30 giugno 1969]  

Avevo un debito verso Sallustio: quello di non averlo più letto, dal giorno ben lon ­tano in cui avevo lasciato i banchi liceali. Debito di na ­tura particolare e personale, che debbo spiegare. Sono infatti nato a qualche passo da quell’Amiterno, patria di Sallustio. E codesta corregionalità (a rigore, non concittadi ­nanza, perché Amiterno non ha resistito ai secoli ed è sta ­to sostituito nel Medio Evo dall’Aquila a poca distanza dal luogo dello scomparso Amiterno) codesta corregionalità, dicevo, mi aveva fatto sentire come un obbligo di dedicare qualche studio in omaggio alla sua memoria o perlomeno di dedicargli una rilettura attenta e più tenera di quella liceale.
Quest’ultimo obbligo è sta ­to assolto solo in questi gior ­ni grazie all’editore Adelphi di Milano, il quale ha messo nel ­le mie mani un elegante volu ­me: « Opere Complete » di Gaio Sallustio Crispo, curate da Raffaele Ciaffi e accompa ­gnate da una prefazione con ­cisa ed esauriente di Giuseppe Pontiggia.   Voglio   aggiungere per l’editore una lode partico ­lare: quella di avere scelto la via migliore: pubblicare testo e  traduzione insieme. Dati i tempi la pubblicazione del so ­lo testo avrebbe ristretto trop ­po il numero dei possibili let ­tori. Sallustio come Tacito ap ­partiene  agli  scrittori  latini difficili e non sappiamo quanti sieno oggi in Italia in grado di     leggere     senza     fatica     una prosa come quella sallustiana. Pubblicare     la     sola     traduzio ­ne d’altra parte significava ai fini     divulgativi     rendere     un buon servizio allo storico amiternino, ma significava anche impedire al lettore ogni conoscenza con l’opera letteraria, con lo scrittore. Stando a fian ­co testo e traduzione qualsiasi persona   che   abbia   fatto   un buon liceo potrà senza ecces ­sive difficoltà compiere questa lettura.
 

*

Purtroppo, io non posso, co ­me era nelle mie intenzioni, concludere la mia riscoperta di Sallustio con un rendicon ­to in tutto apologetico. Sallustio uomo è decisamente un personaggio antipatico e il mio patriottismo provinciale o municipale non è così forte da prevalere su questa impressio ­ne. Sallustio visse nell’ultimo secolo a.C., un secolo terribi ­le, in cui la repubblica agonizzava e l’impero non era ancora nato, un secolo in cui questo passaggio si compì faticosamente e sanguinosamen ­te attraverso fatti memorabili e drammatici, con protagonisti grandissimi nelle ambizioni e nelle crudeltà. Ebbene Sallu ­stio, che, come amico di Ce ­sare, pure si mescolò alle lot ­te del tempo, non se la cavò con molto onore. In due incarichi politico-militari, affidatigli  da Cesare fece una bruttissima figura. Nel 49 fu messo a capo  di una legione per andare a reprimere nell’Illirico una sedizione     di     due     capi pompeiani     e     fu   vergognosamente sconfitto. Due anni do ­po nel 47 fu mandato sempre da   Cesare   in Campania per persuadere a rientrare nei ranghi due legioni che s’erano ammutinate e l’insuccesso fu netto e per poco non fu ucciso dalla soldatesca. Nel 52 forse s’era guadagnata l’amicizia di Cesare, quando come tribuno della plebe s’era distinto per l’appunto per la faziosità e la violenza con cui aveva assecondato i piani e le pretese di Cesare. Ma ne ebbe poi il re ­galo più grosso: quello di essere inviato in Numidia, al comando di tre legioni, per organizzare quella provincia recentemente conquistata da Cesare ed annessa all’Impero col nome di « Africa nova ».
Non sappiamo quel che combinò nei due anni circa, in cui rimase in Africa, non sappiamo se fece bene o male. Sappiamo con certezza solo che fece bene a se stesso, per ­ché dopo due anni tornò così ricco da potersi permettere il lusso di acquistare i famosi «orti sallustiani », che si estendevano dal Pincio al Quirinale. Con la morte di Cesare s! ritirò dalla vita pub ­blica e decise di dedicarsi al ­la storia. Strano, ma non fu molestato da nessuno. Potet ­te vivere circa un decennio e potette morire nel suo letto, fortuna rara per quei tempi. Lasciamo da parte i proces ­si che ebbe, dimentichiamo che fu espulso dal Senato, e vi fu poi riammesso per inter ­cessione di Cesare, non cre ­diamo a tutte le infamie con ­tenute nell’invettiva dello pseu ­do-Cicerone. Restano come fatti certi la pochezza delle sue imprese, l’illecito arric ­chimento e l’ambiguità delle sue opinioni politiche, fatti sufficienti per classificarlo co ­me un mediocre profittatore in un’epoca torbida.
Lo storico? Le sue opere si ­cure sono: la « Congiura di Catilina », la « Guerra jugurtina » e i frammenti rimastici delle « Storie ». Nessuno può prestargli un’intelligenza molto profonda degli avvenimenti che narra. O se la ebbe, preferì tacerla, preferendo di adagiarsi su quelli che dovevano essere i luoghi  comuni di un  ceto medio ben pensante che rimpiangeva un passato idealizzato ed era scontento del presente, visto solo nei suoi aspetti più popolarmente evidenti. Si tratta di un’opposizione tra passato e presente a fondamento moralistico e catoniano. Sallustio idealizza la  Roma arcaica, repubblicana dove erano onorate tutte le virtù proprie della romanità: industria, labor, magnitudo animi, fortitudo, patientia eccetera.
 

*

La decadenza era comincia ­ta subito dopo le guerre puniche, quando era venuta a mancare la paura di Cartagine. Allora cessò anche la concordia dei cittadini e si corruppero i costumi. Non c’è dubbio, per Sallustio, che dal passato al presente non vi era stato progresso ma solo degenerazione: « Bisogna che esponga – così scrive nella ‘ Congiura ‘ – in poche parole gli usi dei nostri antenati in pace ed in guerra, come governarono la repubblica e quanto grande la lasciarono e com’essa a poco a poco, mutando aspetto, da bellissima e ottima sia diventata pessima e scelleratissima ». In che cosa consistevano codeste scelleratezze? Nelle lotte faziose, nell’immoderatezza delle ambizioni, nella lussuria e nell’avidità, vizio quest’ultimo sul quale insiste molto lo storico Sallustio, dimenticando quel che aveva fatto Sallustio governatore dell’« Africa nova ». Al qual proposito i contemporanei debbono averlo giudicato una vera faccia di bronzo.
Come si vede codeste sono tutte genericità moralistiche a effetto (allora come oggi) che stanno al di qua di un giudizio   storico-politico   del   grandioso processo che si andava svolgendo davanti ai suoi oc ­chi. Gli sfuggirono completamente le ragioni profonde che avevano messo in crisi lo Stato. Non gli sfugge che il Se ­nato, il vero organo sovrano della repubblica, aveva perdu ­to ogni autorità, ma crede di indicarne come motivo le infornate di senatori   fatte dai capi per rendere il Senato un organo docile e nell’immissio ­ne di gente bassa e di provin ­ciali. Ma non gli salta in te ­sta che il Senato, comunque composto, non poteva gover ­nare più le province se non attraverso i pro-consoli e che a costoro dovevano essere ac ­cordati necessariamente pieni poteri militari e civili: l’« imperium » che ordinariamente si concedeva ai consoli nei casi di emergenza; non sospet ­ta che così si operava un tra ­sferimento di potere dal Sena ­to ad un’oligarchia di capi po ­litici e militari, che, dopo una prefazione di guerre civili, non potevano approdare che ad una frammentazione dell’im ­pero o ad una monarchia.
Due secoli più tardi, Taci ­to, sotto il principato di Traiano, vide lucidamente queste cose. Forse, ai tempi di Sal ­lustio, non era altrettanto fa ­cile vederle. Gli studiosi han ­no versato fiumi di inchiostro per stabilire la posizione vera del Sallustio storico di fronte a Cesare. Non è stata data una risposta concorde. Forse, nonostante le violenze verbali durante il tribunato, egli do ­vette inclinare verso un cesa ­rismo moderato. Cesare, una volta ristabilito l’ordine, avreb ­be dovuto restaurare il regno degli ottimati attraverso un Senato riportato alle origini, il che era evidentemente uto ­pistico.
 

*

Ciò nonostante, Sallustio, pur nei limiti accennati, fu un iniziatore, fu il primo storiografo che ebbe Roma, fu il primo a trasformare l’annalistica in letteratura. E questo fece egregiamente, perché è giudizio unanime che Sallu ­stio scrittore fu originale e po ­tente. La lingua latina usata da Sallustio, non è la lingua parlata come quella dei com ­mentari di Cesare, né la lin ­gua sonora, oratoria di Cice ­rone. Fu una lingua letteraria di sua invenzione, che egli ma ­neggiò e forgiò non come un vuoto artificio esterno ma co ­me espressione intimamente aderente ai suoi sentimenti. Il suo discorso associò la nobil ­tà, la gravitas, la solennità al pathos inquieto, alla drammaticità, all’agitazione, conser ­vando l’aristocraticità antica di un senatore di spirito cato ­niano alla commozione di una attualità bruciante.
Gli arcaismi, la concisione, i procedimenti ellittici, la sin ­tassi spezzata furono le risor ­se proprie di un prosatore na ­to. Non sembra affatto esage ­rata la lode che ne fa Anto ­nio La Penna, l’insigne mae ­stro dell’ateneo fiorentino, quando ci dice: « La grandez ­za di Sallustio stilista non è nell’uso di più stili, bensì nel ­la sintesi sicura di varie esi ­genze contrastanti in uno stile unico, ed originale, una delle più forti e più fortunate crea ­zioni della letteratura euro ­pea ».
 


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1 commento

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 5 Novembre 2008 @ 22:38

    Alcuni studiosi hanno definito Sallustio non solo cesariano, ma anche democratico. Il termine “democratico”, a mio avviso, va relativizzato al tempo ed alle vicende da Sallustio stesso vissuti. Al di là, tuttavia, di un giudizio non sempre unanime sul comportamento sallustiano, è unanime e positivo il consenso sulle sue opere storiche e sullo stile letterario da lui usato
    Gian Gabriele Benedetti

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