LETTERATURA: STORIA: SCRITTORI DI GUERRA LUCCHESI: Andrea Giannasi (a cura di): “L’XI Zona Patrioti ‘Pippo’. Le relazioni dei Comandi”1 Aprile 2019 di Bartolomeo Di Monaco LE COLPE DELLO STATO ITALIANO nei confronti di uno dei migliori combattenti della Resistenza, se non il migliore: Manrico Ducceschi Finché avrò fiato in gola non mi stancherò di gridare l’enorme ingiustizia che lo Stato italiano continua a compiere nei confronti di uno dei migliori (se non il migliore in assoluto) comandante partigiano, negandogli qualsiasi riconoscimento. Si tratta di Manrico Ducceschi, soprannominato “Pippo”, la cui morte avvenuta a Lucca il 24 agosto 1948 è ancora avvolta nel mistero. La si è classificata come suicidio, ma ci sono ancora forti dubbi che l’uomo, custode di molti segreti, sia stato ucciso e poi si sia organizzata la messa in scena della sua impiccagione. In quegli anni di fine guerra, sono state molte le vendette e le eliminazioni di partigiani considerati scomodi, e sicuramente Pippo apparteneva a questa schiera, non avendo mai voluto impegnarsi a favore di questa o di quell’altra ideologia politica. La sua figura è messa bene in vista nei due volumi di Carlo Gabrielli Rosi: “Ricordi di guerra e di pace. Donne e uomini della provincia di Lucca”, editi nel 2006, in cui don Dino Santini ricorda il matrimonio di Pippo con Renata, da cui avrà una figlia, Roberta. Siamo nel 1944: ”Mentre ancora stavo perfezionando la necessaria documentazione, improvvisamente, ai primi di giugno, mi si presentò il detto Pippo con alcuni partigiani e mi disse che bisognava procedere ‘immediatamente’ al matrimonio. Disse che era imminente uno scontro con le forze tedesche e che, prima di una possibile sua morte, voleva sistemare la posizione della donna che amava.”. Che Andrea Giannasi, laureato in storia moderna e direttore di varie case editrici, tra cui Tra le righe libri, che ha una collana apposita dedicata agli scrittori di guerra, dalla quale questo lavoro ha attinto molto, abbia dedicato alla vicenda di Pippo e del suo battaglione un libro ricco di documenti mi riempie di gioia. Non sono molti coloro che ancora oggi si interessano di questo Comandante e della sua formazione. Laura Poggiani, la nipote, ha aperto un sito intitolato a Ducceschi, dove ne riassume e documenta le gesta. Vi troviamo anche una dura lettera che Pippo il 12 maggio 1948 indirizzò all’Anpi di Lucca – Capannori, e per conoscenza al Comandante Gen. Ferruccio Parri, in cui spiega il suo rifiuto ad aderire all’Associazioni adducendo motivazioni di grave conflittualità. Si riporta, a mo’ di esempio, quella contenuta al punto d): “II sistema, e non esagero a dirlo, prettamente fascista, usato infine sul piano pratico ed assistenziale nell’accaparrare la esclusività ed il monopolio del partigianato; l’aver messo addirittura i partigiani di fronte ad una disparità di condizioni per le quali certi diritti concessi dalla Legge indiscriminatamente a tutti, sono stati invece di arbitrio e resi accessibili solo a coloro che hanno obbedito all’irreggimentazione del tesseramento obbligatorio; il sistema del beneficio, del sussidio, della sistemazione al lavoro, della pratica sollecitata in cambio, però, strettamente condizionato alla tessera regolamentare dell’anno in corso, passano in maniera tale di imposizione e di passato, per cui anche se tutto ciò che ho detto in precedenza fosse per me superabile, basterebbe questo punto a stroncare qualsiasi rapporto tra me e l’associazione.”. Il 25 aprile 2018 uscì un bell’articolo sul “il Fatto Quotidiano” a firma di Ilaria Lonigro: “25 aprile, il mistero irrisolto della morte del capitano Pippo: il più valoroso ‘troppo indipendente’ rimasto senza medaglie”. Ma sono voci isolate. Sembra che approfondire i fatti che hanno riguardato la Resistenza di Ducceschi e dei suoi uomini possa condurre a scoperte perniciose per alcuni, i quali, non bastando che sia uscito dalla scena umana, ancora si adoperano per farne dimenticare la memoria. Dunque, un grazie anticipato ad Andrea Giannasi. Ora veniamo al libro. “L’impegno di Pippo e dei suoi patrioti (volle con fermezza distinguerli dai partigiani) era dunque ideale e non partitico e per questo una volta raggiunti dagli Alleati sono proprio questi a rifornire l’unità e porla in combattimento sulla Linea Gotica a partire dall’ottobre del 1944.”. Il suo gruppo si chiamava Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo (“dall’ottobre 1944, la formazione venne inquadrata in forma di reparto regolare e organico, e venne chiamata ‘Battaglione Autonomo Patrioti Italiani Pippo’”). Il 6 giugno 1945, a guerra finita, il battaglione venne smobilitato “con l’onore delle armi” e “Manrico Ducceschi venne successivamente decorato con la Bronze Star Medal per aver combattuto aggregato al IV corpo della V Armata statunitense.”. Pippo fu l’unico comandante partigiano a ricevere l’alta onorificenza degli Stati Uniti, e il suo Battaglione fu il solo a cui fu concesso l’onore di unirsi alle Forze Alleate, tanto che Pippo e i suoi patrioti parteciparono, gli unici tra le formazioni italiane, con l’esercito americano alla liberazione di varie città: “Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Lodi, entrando quindi a Milano.”, nel maggio 1945. Già questo inizio la dice lunga sull’importanza avuta dal nostro Comandante e dai suoi uomini nella Resistenza: “ma non ebbe alcun riconoscimento né da parte delle organizzazioni partigiane né da parte dello Stato Italiano.”. L’autore fa bene a ricordare due suoi amici, anch’essi capi partigiani di notevole spessore: “Silvano Fedi, delle Squadre Franche Libertarie della montagna pistoiese caduto il 29 luglio del 1944” e “Leandro Puccetti, comandante del Gruppo Valanga morto dopo il ferimento nella battaglia dell’Alpe di S. Antonio del 29 agosto del 1944.” (è conosciuta soprattutto come battaglia del Monte Rovaio. Al Gruppo “Valanga” saranno dedicati due capitoli illustranti la sua attività). Li accomunava la loro figura “di combattenti autonomi lontani dalle scelte partitiche che divisero l’Italia e il mondo al termine del secondo conflitto mondiale.”. Nella introduzione c’è una annotazione importante: “di fronte ad una popolazione di circa 44 milioni di cittadini solamente una piccola parte (meno dello 0,5%) scelse di lottare per la libertà. L’altra si sottrasse e attese.”. Succede sempre così, non solo in Italia. Nell’analisi che viene riportata si evidenzia anche un altro dato significativo, ossia che nell’imminenza della fine della guerra, nella primavera del 1945, il numero dei partigiani salì da circa 80.000 a più di 200.000. I soliti opportunisti? Sì. Come in tutto il mondo succede sempre. L’autore ci fornisce ora una serie di documenti che attengono alle azioni partigiane che videro impegnati Pippo e il suo battaglione, precisando che “Nulla è stato modificato rispetto agli originali conservati a cura dell’Associazione Toscana Volontari della Libertà presso la sede di Lucca via S. Andrea 43.”. Il documento intestato “Esercito di Liberazione Nazionale – Comando XI Zona” ci offre una prima cronologia sintetica delle azioni compiute dal 15 settembre 1943 al 9 ottobre 1944. Si rileva l’intensa attività dei patrioti con scontri anche violenti contro i nazisti e i repubblichini. L’11 giugno 1944 si annota il “Combattimento in località ‘Fabbriche di Casabasciana’ contro due compagnie tedesche. Perdite nemiche: 45 morti e feriti la quasi totalità. Un patriota ferito.”. Pochi giorni prima, l’8 giugno, era avvenuta l’operazione forse più importante: “Attacco di fuoco contro una macchina del Corpo Diplomatico giapponese in località ‘Valico di Abetone’. Uccisione dell’Ammiraglio Mitunobou e ferimento del Capitano Yamanaka. Cattura dell’autista e di preziosi documenti militari.”. Saranno questi documenti a imprimere una svolta nella guerra del Pacifico contro il Giappone. In un altro rapporto leggeremo: “Alle ore 23,30 la pattuglia comandata dal Maestripieri rientra al Comando con un prigioniero, riferendo di aver attaccato una macchina del corpo Diplomatico Giapponese recante a bordo l’ammiraglio Mitunobou ed il Capitano Yamanaka, diretti a Merano per una conferenza navale del Tripartito. L’ammiraglio era rimasto ucciso sul colpo, mentre l’aiutante, quantunque ferito gravemente, era riuscito a trarsi fuori del campo di tiro. L’autista si era consegnato prigioniero. Sono stati catturati, oltre alle armi personali, alcuni documenti di grande importanza.”. Il 18 giugno: “Colpo di mano per la liberazione di un patriota degente, sotto arresto, nell’ospedale di S. Marcello Pistoiese, nonostante la rigorosa sorveglianza nemica.”. Questo fatto dimostra la grande solidarietà tra i combattenti del Battaglione, pronti a rischiare la vita per liberare uno di loro fatto prigioniero dal nemico. Il 13 luglio 1944: “Combattimento in località ‘Rifugio Pania’, contro circa 300 tedeschi. Perdite nemiche: 25 morti. 3 patrioti caduti.”. Ciò che viene in rilievo da queste note è l’assoluta volontà, di impronta rigidamente militare, di affrontare il nemico a viso aperto, non facendo ricorso, come da altre parti è avvenuto, a nascosti attentati, ai quali è stata contrapposta dal nemico la famigerata e terribile rappresaglia, come nel caso di Via Rasella a Roma, che causò i 335 morti delle Fosse Ardeatine. Il 23 settembre 1944: “Violento scontro con truppe tedesche in località ‘Fornovolasco’ e contro una colonna tedesca. Perdite nemiche: otto morti e 55 prigionieri.”. La relazione di questo periodo, stesa l’11 dicembre 1946 e firmata da Pippo – Ducceschi Manrico, si conclude così: “Dalla data suddetta [ndr: 6 ottobre 1944] all’8 giugno 1945, l’XI Zona prestava servizio come truppa di linea inquadrata in forma di reparto regolare ed organico, come risulta dalla relazione del Quartier Generale Alleato per lo Scacchiere del Mediterraneo.”. È il riconoscimento che non ha l’eguale tra le formazioni partigiane italiane. Nel documento successivo, che prende in considerazione il periodo che va dal 16 settembre 1943 al 16 gennaio 1944, Pippo ci fa conoscere come è arrivato a diventare patriota e partigiano, rivelandoci anche la sua nascita ‘per caso’ (la madre fu colta da improvvise doglie, trovandosi da quelle parti) a S. Maria Capua Vetere, l’11 settembre 1920, e la sua residenza in Pistoia, Viale Bellini, 1. Trovandosi a Tarquinia dove presta servizio presso il Battaglione Allievi Ufficiali del V Reggimento Alpini, sfugge ai continui rastrellamenti tedeschi e torna a casa sua, avviando incontri con capi partigiani della zona, tra cui il lucchese prof. Carlo Ludovico Ragghianti, al quale Lucca ha intitolato una importante Fondazione. È, questa, una lettura suggestiva, che mette a nudo tanto l’ostinazione necessaria quanto le difficoltà di organizzare un gruppo di resistenti: “ai primi sacrifici e disagi preferirono, non avendo nemmeno raggiunta la località prestabilita, tornare indietro e desistere per ben due volte dal proposito.”. Ci aiuta a comprenderla una scrittura semplice e nitida, quasi sicuramente un riflesso disvelatore della personalità di Ducceschi, che fu un comandante schietto, umile e altruista. “Il nostro armamento era costituito in quel tempo solo da due pistole, quattro bombe a mano e coltelli da caccia, insufficiente, quindi, a permetterci una qualsiasi azione con probabilità di buona riuscita.”. Sono i momenti in cui, accanto ad un certo pessimismo, prende il sopravvento il forte desiderio di combattere per liberarsi della tirannia e riconquistare la volontà. Provate a immaginare questo manipolo di uomini, pressoché disarmati, intenzionati a combattere contro le agguerrite e feroci truppe naziste. La formica e l’elefante. Sono gli amici di “Giustizia e libertà”, fra cui Carlo Ludovico Ragghianti e Campolmi, a sostenerli anche dal punto di vista psicologico e di incoraggiamento. Non trascorse molto tempo che capì che doveva impegnarsi per “creare un reparto di una certa consistenza che operasse su vasta scala contro formazioni tedesche e fasciste anche numerose e che al contempo si arrogasse la tutela delle popolazioni civili e delle loro case.”. Diventerà questa la scelta che caratterizzerà la sua azione in seno alla Resistenza, e che vi imprimerà il suo autorevole sigillo. Il fascismo “giorno per giorno riprendeva sempre più la sua forza con l’aiuto delle truppe d’occupazione tedesche.”. Pippo si dimostra un attento osservatore delle mosse del nemico, sa valutarne le implicazioni e subito, mostrando le sue doti di capo, sa deciderne le contromisure, tra cui quella “di rendermi infine perfetto conoscitore dei luoghi, delle strade, dei sentieri più impervi e di tutti i nascondigli. In una seconda fase sarebbe iniziata l’attività militare vera e propria: da attuarsi non oltre la primavera.”. Prosegue: “Le persone che nel mio progetto dovevano pertanto diventarmi maggiormente amiche, più che i giovani, erano i maggiorenti dei diversi paesi, i parroci e i pastori di alta montagna.”. Tuttavia, non tutti del gruppo che si stava formando seppero resistere alle fatiche e ai rischi: “I giovani inviatimi dal partito d’azione di Firenze cominciarono frattanto a dimostrarsi scoraggiati. Fu così che approfittando del loro desiderio di desistere dai loro propositi e ritornare alle proprie case, decisi di buon grado di accettare la loro proposta e di congedarli immediatamente.”. Una decisione umana e allo stesso tempo saggia, poiché mantenere quegli uomini impauriti e scontenti nel gruppo avrebbe potuto produrre un contagio pericoloso. Leggeremo più avanti nella relazione del Comandante di Formazione Dino Cipriani: “Fu in aprile che si costituì la formazione Cipriani. Infatti, innanzi tale data, era praticamente molto difficile e raro trovare un numero notevole di giovani disposti a sopportare i sacrifici ed i pericoli della vita partigiana.”. Pippo non lesina di onorare i collaboratori indicando il loro nome e cognome, dimostrando così riconoscenza per il loro coraggio e per il loro valore. Sono tanti: “La passività e la deficienza iniziale erano in molti casi scomparse, per cui restava solo ora, attraverso l’esempio, di trascinare specialmente i giovani ad imbracciare le armi e ad incominciare una guerra vera e propria contro i fascisti e i tedeschi.”. Ancora una volta ci si domanda come sia possibile che l’Italia repubblicana ancora oggi continui a negare un riconoscimento di prestigio a questo valoroso patriota. Confesso di provare vergogna per questa mancanza e per questo silenzio e di considerare incompiuta e insufficiente la nostra Resistenza fino a che questa manchevolezza non sarà sanata. L’Italia repubblicana non può dirsi tale senza il riconoscimento che deve alla figura di Manrico Ducceschi. Le numerose azione compiute da Pippo e dai suoi sono elencate dai rapporti contenuti nel libro che, sotto il profilo storico, rendono trasparente le azioni di scontri e di sabotaggi a danno del nemico. Si può dire che non trascorra giorno in cui non ci si muova per compiere un passo avanti verso la libertà. I sacrifici da patire e i rischi da affrontare richiedono una grande volontà e una grande fede. Sul terreno saranno lasciati morti e feriti, a segno della dura lotta. Numerosi sono i faticosi spostamenti sulla montagna per sfuggire ai rastrellamenti o per occupare posizioni importanti ai fini dell’attacco a sorpresa. Tutto ciò è reso possibile grazie alla preventiva azione di Pippo volta alla conoscenza minuta del territorio e che, ora che si sta sviluppando l’azione militare, mostra tutta la sua valenza strategica. È il 2 febbraio 1944: “Tale spostamento, determinato dalla necessità di procurarsi una base definitiva e sicura che nel contempo permetta di aumentare la consistenza del gruppo, avviene in condizioni difficilissime per la neve abbondante e il clima rigido oltre misura.”. Accenniamo ad una delle azioni compiute da Pippo, alla Macchia degli Antonini (Piteglio – Pistoia), dove si trova “una grossa compagnia di pionieri dell’esercito fascista”. È il 7 marzo 1944: “Eseguita una lunga marcia di molte ore, il gruppo giunge nelle vicinanze dell’accampamento nemico alle ore 1di notte circa. Vengono dislocati gli uomini in posizione, idonea per controllare le vie d’uscita e di accesso agli edifici, e si distacca una pattuglia composta dai patrioti De Poletti, Matteucci e Maffi Alfredo in direzione delle sentinelle di guardia a circa 40 metri dal caseggiato. Dopo breve colluttazione, che per poco non compromette l’esito dell’azione, la pattuglia riesce a disarmare ed imbavagliare le sentinelle, dopodiché Ducceschi ed il Matteucci, indossati gli abiti dei prigionieri, penetrano nell’accantonamento, piombano all’improvviso nel corpo di guardia, disarmano i presenti e li costringono alla resa.”. Dopo di che c’è da “dare l’assalto agli alloggi degli ufficiali. Anche qui i patrioti Ducceschi e Matteucci, forzata la porta d’ingresso ed eliminata la prima resistenza da parte di alcuni sottufficiali tedeschi, dopo una sparatoria nella quale resta ferito un ufficiale fascista e un sottufficiale tedesco, riescono ad avere ragione degli avversari.”. Si deve annotare quanto segue, che dà l’idea dell’alto grado di responsabilità in capo al gruppo dei patrioti di Pippo: “Non si giudica però opportuno procedere ad una loro esecuzione capitale in seguito alla quale potrebbero verificarsi eventuali rappresaglie nei confronti degli abitanti della zona”. In ciò Pippo sarà in sintonia con Leandro Puccetti, comandante del “Gruppo Valanga”, che terrà sempre presente nelle sue azioni di non provocare rappresaglie nei confronti delle popolazioni vicine. Due comandanti esemplari, uno soltanto dei quali, il Puccetti appunto, avrà assegnata dallo Stato italiano la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. In ogni caso, ogni volta che c’è qualche voce su un’eventuale rappresaglia, sono da Pippo inviati patrioti a guardia dei paesi e dei villaggi: “viene deciso lo spostamento temporaneo di N. 30 patrioti nei pressi del villaggio con il compito di attaccare i reparti suddetti all’atto di un loro eventuale inizio di azione offensiva e di proteggere in caso di pericolo l’allontanamento della popolazione, assumendo la difesa dell’abitato.”. Altri suoi distaccamenti seguiranno questa regola: “Per 10 giorni la formazione rimane sull’altura prospiciente la frazione di Stignano pronta a impegnare combattimento con il nemico qualora tentasse di far rappresaglia sulla popolazione per questo sabotaggio.”. I giovani pionieri fascisti fatti prigionieri nell’azione del 7 marzo 1944 sono incolonnati e “Durante il viaggio a scaglioni e su itinerari diversi, la colonna viene disciolta indirizzando i componenti ai luoghi di residenza con l’ingiunzione di astenersi dalla ripresentazione alle armi.”. Una quarantina di essi si presenteranno due giorni dopo per arruolarsi nelle file dei patrioti. Episodi di questo genere si ripeteranno numerose volte. Il 16 marzo 1944 Ducceschi è confermato comandante del gruppo “e viene assunto impegno preciso da parte di tutti di mantenere lo spirito del reparto al di fuori di tendenze politiche con un fine esclusivamente militare e patriottico.”. Sarà questo il motivo per cui a Pippo è stata negata una medaglia? Il successivo 25 maggio scatta l’ultimatum fascista: “Oltre il giorno 25 è prevista la pena di morte per tutti coloro che siano trovati armati senza autorizzazione fascista, ovvero senza documenti personali sufficienti o comunque dichiarati antifascisti e antinazisti attivi.”. Abbiamo notizia anche del noto studioso, conoscitore di quei luoghi, soprattutto di Monti di Villa, Carlo Gabrielli Rosi (nome di battaglia “Santo”) che prenderà parte all’azione del 26 maggio della seconda pattuglia inviata in località “Ponte delle Catene” (Bagni di Lucca), la quale “giunta nella località prestabilita, si apposta in attesa del passaggio della pattuglia fascista di servizio. Al sopraggiungere di questa però i patrioti si trovano costretti, per non ferire una donna in loro compagnia, a dare l’alt prima di aprire il fuoco. Dell’avvertimento ne approfitta anche il nemico che, portatosi dietro i ripari, risponde con nutrite scariche di fucileria. La sparatoria dura qualche tempo, fintantoché per il sopraggiungere di automezzi militari la nostra pattuglia retrocede facendo ritorno alla base.”. La successione dei rapporti scritti copre tutto il periodo che va praticamente dall’8 settembre 1943 fino alla fine della guerra, e rende in modo esplicito e minuzioso il lavoro della XI Zona e del suo Comandante. Ne emerge la tessitura sottile ed elastica che i nostri patrioti seppero ordire per contrastare il nemico: “Giunge, tramite radio, l’ordine del generale Alexander di attaccare tedeschi e fascisti ovunque e con qualsiasi mezzo e di interrompere o comunque ostacolare il transito di convogli militari specialmente sulle strade di grande comunicazione.”. Al lettore pare di vivere personalmente quei momenti come se ne fosse uno dei protagonisti. Si legga il lungo resoconto della battaglia nei dintorni di Bagni di Lucca del 13 giugno 1944 (a pag. 63), contro “l’arrivo di circa un migliaio di SS tedesche con armamento pesante.”; “A completamento dell’azione giunge tempestivamente l’aviazione da caccia americana, a suo tempo richiesta, la quale mitraglia il nemico riuscendo ad incendiare e distruggere una colonna di rifornimento munizioni sulla strada Lucca – Bagni di Lucca in località Chifenti.”. Non vi è dubbio che Pippo fu maestro nei collegamenti e nei contatti e che il suo carisma, nonostante la giovane età, seppe attirare, superate le difficoltà iniziali, molti giovani alla causa, compresi tanti prigionieri arruolati nelle milizie della Repubblica sociale di Mussolini. Sono segnalati anche episodi coraggiosi di singoli patrioti, come nel caso verificatosi l’11 giugno 1944: “Il patriota Campagna Giuseppe riesce con le sole bombe a mano a mettere in fuga un gruppo di nemici annidato in un grosso fabbricato.”. Sapremo anche che il 7 settembre 1944 “Sul piazzale della Chiesa di Collodi il patriota Raffaelli Dino notava una pattuglia tedesca che, piazzata una mitragliatrice pesante, cercava di organizzarsi per una resistenza alle truppe alleate avanzanti. Si gettò sul servente dell’arma nell’intento di catturarlo prigioniero, ma veniva colpito a morte da un altro soldato tedesco intervenuto nel frattempo.”. Il successivo 16 settembre: “un ufficiale e un soldato americano urtavano contro un campo minato rimanendo gravemente feriti. Accorso immediatamente per soccorrere l’ufficiale, urtavo a mia volta col piede destro in una mina anti-uomo, rimanendo privato completamente dell’estremità della gamba.” (i due ultimi episodi sono tratti dalle due relazioni scritte dal comandante della Formazione Perini, Pilade Perini). È importante per noi lucchesi la data del 16 giugno 1944 a motivo di questa bella notizia: “Si presenta al Comando di Zona il patriota De Maria Mario, delegato dal Comando del Gruppo ‘Valanga’ per prendere collegamenti con il Comando della XI Zona e porsi alle dipendenze di questo.”. De Maria è il vice comandante del Gruppo “Valanga”. Si tratta di una saldatura importante poiché unisce tra loro, in un comune e ravvicinato intento, Leandro Puccetti e Manrico Ducceschi, due eccezionali personalità della guerra di resistenza e di liberazione. Di lì a poco, il 29 agosto, Leandro Puccetti sarà ferito gravemente nella battaglia del Monte Rovaio, in Garfagnana, e morirà cinque giorni dopo all’ospedale di Castelnuovo Garfagnana. Notevole è l’attività diretta a sabotare il lavoro dei cantieri tedeschi Todt, impegnati fra l’altro, oltre che alle opere di fortificazione, a costruire strade lungo la linea Gotica che ne facilitassero il ritiro a causa della lenta ma continua avanzata degli Alleati. Il 17 giugno 1944 “viene emesso un bando di cui all’allegato D, diretto agli operai della Todt, ordinando loro, sotto pena di gravi rappresaglie, di lasciare immediatamente i lavori. Vengono estese disposizioni anche al Gruppo ‘Valanga’ di conformarsi in merito.”. Come era stato per il Gruppo “Valanga”, altre formazioni chiederanno di essere poste sotto le “dipendenze del Comando dell’XI Zona.”. Aumentano anche le richieste di arruolamento di singoli cittadini: “La difficoltà maggiore è stata creata dall’essersi reso molto difficile il controllo e l’accertamento sulla posizione penale e politica dei nuovi arruolati. È risultato chiaro che molti dei nuovi arrivati hanno scarse doti militari; alcuni di essi manifestano più desideri di difesa che di offesa; la posizione penale e politica di taluni risulta addirittura dubbia.”. La lettura, che appassiona, nel darci testimonianza delle difficoltà quotidiane, psicologiche e materiali, che si incontrano in una guerra di questo tipo, dà altresì l’idea delle grandi qualità organizzative e di comando che devono far parte del bagaglio personale di un comandante; e dunque non si può che provare stupore e contentezza per aver avuto in Manrico Ducceschi un leader con queste caratteristiche: “viene segretamente stabilito di iniziare le operazioni necessarie per uno spostamento temporaneo delle forze del Gruppo ‘Comando’ dalle posizioni occupate, in modo da sfuggire all’accerchiamento e agli eventuali attacchi concentrici.”. Non c’è da stare con le mani in mano; non c’è un momento di tregua. Lo si immagina, Pippo, ogni giorno impegnato a condurre un’azione militare e la sera a stendere piani di difesa e di attacco, aiutato, ovviamente, dai suoi fidati collaboratori. Il libro, grazie ai documenti presentati, risulta una rara miniera di informazioni intorno alla guerra patriottica che si combatté in Lucchesia. Si bada anche a non forzare i volontari combattenti: “Viene trasmesso l’ordine a tutti i comandanti di Distaccamento di concedere foglio di licenza illimitata a tutti coloro che non si sentano disposti a seguire altrove il reparto, sottostando a tutti i pericoli e disagi di una guerriglia mobile.”. A volte non si riesce a fermare l’azione tedesca, come a Lucchio il 12 luglio 1944: “Giunge notizia che a seguito dello scontro avvenuto il 10 nell’abitato di Lucchio tra patrioti e tedeschi, il villaggio sta subendo un intenso fuoco di mortai con bombe incendiarie. Ci è reso impossibile intervenire.”; O a Montefegatesi il successivo 14 luglio: “Alle ore 10 circa della mattina giunge notizia che cinquecento tedeschi hanno occupato nella notte il villaggio di Montefegatesi con azione di sorpresa, incendiato alcune case, deportato un forte numero di civili, fucilati due patrioti ed impiccato un terzo. (…) Si ritiene che l’azione tedesca sia stata provocata dallo spionaggio di alcuni delatori locali. (…) L’azione tedesca è stata così improvvisa che si è reso impossibile l’intervento, essendosi le truppe tedesche ritirate immediatamente.”. Quando si riesce a sottrarre al nemico una certa quantità di viveri, si pensa anche alla loro distribuzione nei villaggi vicini. Il 16 giugno 1944 “Una pattuglia composta di N. 6 uomini esegue una perquisizione domiciliare nell’abitazione del fascista repubblicano Sichi Francesco, sequestrando una ingente quantità di viveri sottratta dal Sichi alla distribuzione annonaria. Viene eseguita una distribuzione alla popolazione di due terzi delle derrate, inoltrando la parte rimanente ai magazzini centrali.”. A queste relazioni fanno seguito, a volte, alcuni allegati. Di particolare importanza è il bando n. 1, a firma di Manrico Ducceschi, che risponde il giorno stesso a quello emanato dai fascisti il 25 maggio 1944, già ricordato. È costituito da XVII punti nei quali vengono indicati i reati che il Comando dell’XI Zona punirà con la pena di morte. All’VIII punto si legge: “È pure punito con la pena di morte chiunque sia abusivamente in possesso di armi, di apparecchi radio riceventi, di tipografie, di piccioni viaggiatori e di telefoni.”. E al punto XI: “Chiunque assumerà la direzione o la redazione di giornali fascisti, ovvero scriverà su di essi articoli apologetici sulle truppe tedesche o fasciste o di propaganda, sarà punito con la pena di morte.”. Tutti i 17 punti prevedono la pena di morte e dimostrano come si intendesse impedire qualsiasi spiraglio che potesse incrinare il fronte della compattezza e della fiducia. Subito dopo, con l’allegato B, Pippo firma anche il decreto che istituisce il Tribunale Militare di Guerra “competente a giudicare quei cittadini che si renderanno responsabili dei reati previsti dal Bando N. 1, del 25 maggio 1944.”. Riguardo alle procedure da seguire il punto VIII precisa: “Il procedimento del Tribunale Militare di Guerra è regolato dalle norme del Codice di Procedura Penale Militare.”. Interessante è il punto VII: “Le sentenze del Tribunale Militare di Guerra sono inappellabili. Il Comandante dell’XI Zona ha il diritto di revisione del processo su richiesta del P.M., della difesa o del condannato.”. Tutti gli allegati portano la firma o il visto del Comandante di Zona, Pippo. Sono passati per le armi anche i patrioti che, non forniti di regolare autorizzazione, prevarichino in qualche modo le popolazioni civili. Il 13 settembre 1944 “Vengono catturati dal distaccamento ‘Biondoli’ alcuni soldati russi dediti al brigantaggio. Tradotti al Comando, avendo tentata la fuga mediante una reazione armata, vengono immediatamente passati per le armi.”. In un bando del 30 maggio 1944 si legge: “Chiunque illecitamente rialzi i prezzi delle merci stabiliti da questo Comando, ovvero faccia incetta di prodotti, ovvero eserciti il mercato nero in maniera da produrre una grave crisi nel campo alimentare, è punito con la confisca dell’intero patrimonio, e nei casi più gravi anche con la pena di morte. Le merci confiscate saranno distribuite alle popolazioni.”. Pippo non ha timore di inviare questo messaggio ai tedeschi: “Ricordate che il momento decisivo per la prepotenza tedesca è venuto; ognuno di voi è già sotto la mira di uno dei nostri fucili.”. Non gli mancava il sangue freddo. Più si va avanti nella lettura, più ci rendiamo conto della notevole statura di questo nostro patriota. Una vera e propria rigida rete di avvisi e di istruzioni di comportamento regola il Gruppo dell’XI Zona, e si ha la contezza di una organizzazione minuziosa ed esemplare. Nulla sfugge a regolamenti e regole: “Organizzare pattuglie mobili a perlustramento dei sentieri e dei punti transitabili circostanti; intimare l’altolà o respingere indietro qualsiasi persona di qualsiasi età incontrata; sparare sui recidivi; impedire che uomini dei Distaccamenti debbano scendere nei paesi senza autorizzazione dei Comandi di Zona; impedire che parenti od amici si accostino ai Distaccamenti.”. Ciò è contenuto in una ordinanza del 1 luglio 1944, che si conclude così: “Mi rivolgo a tutti i fratelli di lotta e di disagi in questa Zona Militare e chiedo loro di comprendere l’importanza del momento che stiamo attraversando, dal quale deriverà, ne sono certo, il benessere del nostro popolo. Da questo momento tutti al loro posto di combattimento.”. Comi fa a non attribuire a questo valoroso combattente un riconoscimento dello Stato italiano? Con quanto si legge in questo libro, frutto dell’intelligenza militare di Manrico Ducceschi, si potrebbe compilare, con gli opportuni aggiornamenti di tecnologia militare, una guida illuminata per ogni tipo di Resistenza. L’autore Andrea Giannasi ha compiuto, dunque, una paziente opera di ricerca e di ordinata classificazione, a cui ogni amante della libertà e della indipendenza del nostro Paese deve e dovrà riconoscenza. In una relazione che riguarda il periodo dal 14 luglio 1944 al 13 agosto 1944, si trova scritto al punto 3): “La guerra partigiana si dimostra efficace solo allorché il nemico venga tenuto costantemente e dovunque sotto l’incubo di una forza ostile, della quale non si può valutare, né l’entità, né la dislocazione, né l’efficienza”. Durante il massiccio attacco tedesco del 20 luglio 1944, c’è chi ha il coraggio di cantare inni patriottici: “Si distinguono in questa azione in modo particolare i componenti della postazione di ‘Monte Spigolino’, che respingono la pressione maggiore dell’attacco cantando a gran voce inni patriottici e distaccando una pattuglia di contrattacco che, nonostante l’esiguità, riesce a scompaginare i reparti avanzati tedeschi dopo essere piombata loro in mezzo, falciandoli con intense raffiche di arma automatica e granata a mano.”. Nella stessa battaglia si verificano anche errori di questo genere: “La Brigata ‘Gino Bozzi, astenutasi dal combattimento, ha erroneamente aperto il fuoco a distanza su alcuni nostri patrioti scambiandoli per truppa nemica.”. Si tratta del classico “fuoco amico”. Il 3 agosto 1944 viene annotato che il patriota lucchese Brunero Paoli, nome di battaglia “Cocchi”, al quale Lucca ha dedicato una strada, è stato fatto prigioniero. Dalla relazione del comandante del piccolo gruppo, incaricato di un’azione di sabotaggio, Alberto Fogli, nome di battaglia “Barbarossa”, veniamo a sapere “Il partigiano Brunero Paoli […] fu preso alle spalle poiché chi conduceva i tedeschi era a conoscenza del luogo della sentinella e perciò percorsero sentieri da capre solo noti a chi era del luogo. […] Ci risulta che il suddetto partigiano dopo una settimana di atroci torture è stato giustiziato. I compagni chiedono vendetta!!!”. Era stato fucilato, infatti, il 28 luglio in località Fabbrica, nel Compitese (così concluse, dopo alcuni interrogatori, un’apposita commissione. Da: Manlio Fulvio “Lucca, le sue corti, le sue strade, le sue piazze”, 1968). Allorché il 7 agosto 1944 una pattuglia di patrioti si trova ad attraversare il padule di Fucecchio: “Per infezione contratta dalle acque palustri si ammalano gravemente i patrioti Moschini e Giuntoli.”. Il 30 agosto 1944, l’XI Zona apprende la notizia della battaglia del Monte Rovaio, avvenuta il giorno prima, letale per il Gruppo “Valanga”: “Mentre una missione al comando del patriota La Loggia si stava accingendo a spostarsi presso il Gruppo ‘Valanga’, giunge improvvisamente notizia che il Gruppo è stato attaccato in data 29 da ingentissima forza tedesca e che nella impossibilità di darne tempestivamente segnalazione ha dovuto sostenere da solo il peso soverchiante, subendone gravissime perdite, tra cui quella dello stesso comandante Puccetti Leandro. Risulta che i componenti superstiti del Gruppo hanno ricevuto ordine dal vice comandante De Maria Mario di adunarsi in Vergemoli per ricostituire il reparto.”. Come è già stato scritto, Leandro Puccetti fu gravemente ferito nello scontro e morirà 5 giorni dopo, il 3 settembre, all’ospedale di Castelnuovo Garfagnana. Forse la tragedia del Gruppo “Valanga” può essere all’origine di questo malinteso e di questo scambio di attribuzione: il 31 agosto 1944 il Comando Alleato trasmette il seguente messaggio: “Angiolo Boffa giunto riferisce che capitano Berto partito per raggiungerci si è fermato a Pescia formando altra Banda dicendo che Banda Pippo è distrutta e si è proclamato capo undicesima zona punto Noi qui riconosciamo soltanto Pippo come capo comunicategli invitandolo porsi sotto ordini di Pippo punto Prenderemo provvedimenti in caso di disobbedienza verso di lui…”. L’autorità di Pippo non è mai stata messa in discussione dagli Alleati, che di lui hanno la massima stima e la massima fiducia. Dai documenti risulta, inoltre, quanto la nostra Resistenza molto debba agli Alleati, che non mancarono mai di rifornirla di ogni necessità attraverso continui aviolanci. Il lettore ha modo quindi di valutare autonomamente l’importanza di questi interventi e di non dimenticarsene mai. Abbiamo assistito troppo volte a momenti di oblio collettivo e strumentale, cancellando la consapevolezza che se oggi possiamo definirci una Repubblica libera e democratica, pur con tanti nostri errori, lo si deve alla partecipazione attiva e fondamentale degli Alleati alla lotta di Resistenza. D’altronde va anche riconosciuto che la nostra Resistenza ha costretto l’esercito tedesco a spostare forze significative dal fronte di guerra per contrastarla. Il che ha contribuito ad accelerare l’avanzata degli eserciti liberatori: “Le truppe americane stanno ormai giungendo nelle vicinanze di Pescia.”. Il 6 ottobre 1944 avviene un incontro importante ai fini dell’utilizzazione futura degli uomini di Pippo: “I capitani Rossetti, Romolus ed il tenente Castaldo dell’esercito americano prendono contatto a nome del Quartier Generale dell’O.S.S. col Comando di Zona, il quale, espressa decisione di continuare a combattere, prende accordi per un impiego graduale dei reparti sulle linee del fronte.”; “Il comandante ‘Pippo’ prende contatto in Pescia con il Comando di Settore, dando ordine per un parziale reimpiego degli uomini sulle linee del fronte a fianco delle truppe Alleate.”. È un riconoscimento che nessun’altra formazione partigiana potrà vantare. Un’idea della crudeltà di questa guerriglia condotta senza risparmio di energie e di volontà è data dalla notizia del 27 settembre 1944: “Il patriota Brini Valentino, inoltrato con compiti di staffetta e di esplorazione dal Comando di Zona in direzione ‘Borgo a Mozzano’, giunto in località di ‘Passerella di Piano della Rocca’, cade in un’imboscata di una pattuglia d’allarme tedesca. Colpito gravemente, precipita nel letto del fiume circostante, dove viene raggiunto e finito a colpi di pugnale dal nemico.”. Nei capitoli che riportano le relazioni del Gruppo “Valanga”, apprendiamo che, dopo la morte di Leandro Puccetti, è scelto come nuovo comandante Mario De Maria, e che dopo la feroce battaglia del 29 agosto in cui si contarono circa trecento tra morti e feriti nelle file dei nemici, “Le formazioni tedesche e repubblicane compirono come rappresaglia la distruzione completa di N. 11 case dell’Alpe di S. Antonio senza vittime civili, e ciò per merito della formazione che, pur avendo avuto il tempo di spostarsi, dopo l’uccisione del giorno 27 di un maresciallo tedesco, preferì accettare il combattimento anziché spostarsi in altra località, evitando così la presa di ostaggi della popolazione.”. Troveremo nella seconda relazione, firmata da Mario De Maria, l’interessante resoconto della battaglia del 29 agosto, cominciata all’alba, in cui furono impiegati ben oltre 2.000 tedeschi: “Ma ormai non ci facevamo più illusioni: avevamo visto l’imponente schieramento di forze del nemico, l’organizzazione perfetta dell’attacco ed il fanatismo con il quale combattevano quei demoni.”; “Malgrado la nostra situazione disperata non ci balenò neppure per un istante l’idea di arrenderci: tutt’altro! Si era ubriachi di polvere e di sangue. Risoluti a combattere fino in fondo.”. Sono parole di Pietro Petrocchi. Colpito a morte il patriota Ettore Bruni griderà al vice comandante De Maria: “Uccidi quei porci e dì alla mamma che sono morto contento di morire per la patria e per il mio ideale.”. Se questi non sono gesti di eroismo… Tra i patrioti erano presenti anche combattenti stranieri i quali, per la maggior parte, erano “già facenti parte delle truppe germaniche, ovvero prigionieri sfuggiti dai campi di concentramento, che all’inizio furono guardati a vista, ma che in seguito si dimostrarono essere profondi antinazisti e risultarono tra i migliori combattenti.” (dalla relazione del comandante di Formazione Dino Cipriani). In un’altra relazione, quella del comandante Pilade Perini troviamo scritto, con riferimento alla confusione createsi all’indomani dell’8 settembre 1943 e agli scopi della propria Formazione operante in Valleriana (Altopascio, Montecarlo, Pescia, Montecatini, Villa Basilica, Pizzorne, eccetera) con obiettivi di sabotaggio: “I tedeschi iniziarono la caccia ai prigionieri ed ai nostri soldati. Quello spirito totalitario e dispotico, quella loro spudorata padronanza sulla nostra terra, quelle sopraffazioni ingiuste, il pensiero del sacrificio dei nostri padri caduti per mano loro nella guerra ’15-’18, quel fascismo che cercava di ritornare ci spinse a deciderci. Fu allora che cominciò la lotta. E sebbene essa non si possa chiamare lotta partigiana armata, perché costituita di sola attività sabotativa, tuttavia aveva il suo grande significato patriottico. I primi a reagire contro il nazi-fascismo furono proprio quei militari che, umiliati dal disarmo, erano riusciti a fuggire dagli artigli tedeschi.”. In un’altra sua relazione ci riferisce che due patrioti austriaci, che avevano abbandonato l’esercito tedesco per arruolarsi tra i partigiani, sono stati, il primo, Jon, ferito in uno scontro; il secondo, Robert, “fucilato dai tedeschi perché scoperto come partigiano.”. È una lettura che dà appieno il senso tragico della guerra, di ogni guerra. Si uccide con la stessa indifferenza e con lo stesso automatismo con cui si cammina, o si coglie un fiore. La vita non ha più rilievo universale, ma conta solo, egoisticamente, per se stessi. Ogni guerra trasforma, rovescia e umilia i principi cardine di ogni coesistenza umana, tra i quali il rispetto e la solidarietà. Vincono l’odio e il desiderio di distruzione. Le relazioni che stiamo leggendo scarseggiano di pietà umana, spesso sono fredde ed indifferenti alla morte del nemico. È un libro che ci insegna, dunque, a ripudiare la guerra, a contrastarne ogni tentativo di metterla in moto, e a riflettere sull’efferatezza di ogni morte causata dalla nostra violenza. Ma è anche un libro che apre davanti a noi una scacchiera di libertà combattuta a prezzo della propria vita, quale bene al quale ogni altra virtù può essere sacrificata. I combattenti dell’XI Zona sono ritornati, grazie ai documenti prodotti, uomini in carne e ossa, ancora vivi e presenti, e in mezzo a loro, nel corso di tutta la lettura, al centro dello scacchiere, giganteggia, pur discreta e silenziosa, la figura del loro Comandante Manrico Ducceschi, “Pippo”. Egli è il riferimento di tutti; tutti i movimenti sorti qua e là spontaneamente, a poco a poco si radunano intorno alla sua Formazione, ne chiedono l’ingresso e la dipendenza. La sua è già una leggenda: si conosce la sua capacità di stratega e ad essa ci si affida. Uscirà vivo dalla guerra di Resistenza, come fosse stato segnato da una momentanea immortalità, come una bandiera che il nemico non è riuscito né a strappare né ad ammainare. In Toscana, la Resistenza è tutta rappresentata da “Pippo” e dal suo Battaglione dell’XI Zona. Nessuno potrà mai prenderne il posto. Ci hanno pensato la Storia e la verità a renderlo immortale in modo definitivo. Ora tocca all’Italia riconoscergli l’onore che merita. Per considerare finalmente compiuto il cammino avviato dalla Resistenza verso la libertà e la democrazia.
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