STORIA: I MAESTRI: La rivolta studentesca. I ribelli di Berlino21 Luglio 2013 di Giorgio Zampa Berlino, gennaio E’ da poco cominciato il sesto round. Il combattimento ebbe inizio a Berlino-Ovest, sul campus della Freie Universität, nel semestre estivo del ’65. Verrebbe fatto di pensare che in van taggio siano gli studenti, che i profes sori abbiano dovuto più che altro di fendersi, arretrare. Di fatto è stato così: nella lotta incomposta, continua, accanita che gli allievi della F.U. hanno condotto per due anni e mezzo con tro i loro docenti, sono stati questi ad avere la peggio. Nel corso della sua storia. l’Università tedesca forse non ha mai dovuto subire scontri più duri con i suoi studenti. La istituzione teu tonica per eccellenza, la cittadella del la Kultur, la roccaforte dove il sapere s: concentra e si impartisce, conosce prove che fino al ’64 potevano sembra re inconcepibili. Ho sott’occhio un articolo che scris si nel maggio del ’62, dopo una conver sazione con i rettori della F.U. Ernst Heinitz, nel rifarmi la storia della « Università Libera », fondata nel 1948 nel settore americano di Berlino in opposizione alla Hunboldt Universität controllata dai comunisti, mi parlava dell’importanza che in essa avevano gli studenti attivi, coi loro rappresen tanti in tutti gli organi, dal consiglio di Facoltà al Senato accademico, dalla Commissione di ammissione al Consi glio d’amministrazione. Il voto degli studenti aveva lo stesso valore di quello dei docenti. Tale colleganza aveva dato risultati positivi, i giovani facevano buon uso della fiducia loro accordata; la F.U. aveva assunto una funzione di guida rispetto alle Univer sità federali, che continuavano a reg gersi sui vecchi statuti. Molto diverso è il tono del colloquio che ho ora con Heinitz, ordinario di diritto penale. Dei quindicimila stu denti berlinesi, quattordicimila sarebbero apolitici, soggetti a essere «manipolati », per usare un’espressione che spesso ricorre nell’ambiente, da un pizzico di estremisti, appoggiato da un gruppo più consistente di radicali di sinistra. Gli studenti, secondo Heinitz, avrebbero deliberatamente rotto l’ac cordo che per anni aveva fatto parlare della F.U. come di un modello, avan zando una serie di richieste sempre più esigenti in campo disciplinare, didattico, amministrativo e tentando di coinvolgere l’intera Università in una attività politica che comprometterebbe la sua autonomia e la sua fun zione nell’ambito sociale. Ernst Heinitz è un prussiano. Lo conosco da molti anni, ha abitato a lungo a Firenze, ha avuto persino la nostra cittadinanza; sposato con una Codignola, fece parte del Comitato di Liberazione di Firenze. La sua dirittu ra, il suo spirito democratico, non pos sono essere messi in discussione; il suo interesse per gli studenti, per le loro condizioni materiali, economiche, oltre che per la loro preparazione scientifica, sono stati, per un pezzo, proverbiali. Che cosa ha indotto un uomo di tanta probità, equilibrato, aperto, a esprimersi ora con una ama rezza che a volte diventa sdegno? Le azioni di protesta che gli studenti hanno condotto e continuano a con durre, facendo di continuo parlare le cronache non solo tedesche, lo trova ne risolutamente contrario. Se una ri forma degli studi si dovrà fare, ciò av verrà su un piano di fiducia reciproca, in un’atmosfera dove il dialogo sia possibile; non, come ora accade, sotto la pressione di azioni che sfiorerebbe ro il terrorismo, rendendo vano ogni tentativo di intesa. I motivi addotti dagli studenti per le loro spettacolari proteste sono il più delle volte, conti nua Heinitz, pretesti per tenere l’Università in uno stato di agitazione per manente, per impedire lo svolgimento regolare dei corsi, per creare una ten sione che porti a una rottura. Perché possa documentarmi, l’ex-rettore mi mette a disposizione ampio materiale: fogli volanti, opuscoli, articoli, riviste, risoluzioni di tutti i generi sia da par te dei professori, sia da parte degli stu denti. Heinitz è un galantuomo: di quanto afferma non posso non tenere conto. Ma temo che la situazione, quale si è sviluppata, minacci di sfuggire di mano sia a lui, sia ai suoi colleghi. A meno che non intervengano fatti nuo vi, provvedimenti di carattere molto grave, ritengo che il movimento in atto, iniziato dagli studenti della F.U., non si arresterà. Tanto complessa è la situazione: numerosi i sintomi, contra stanti le ragioni, confusi gli appelli, intransigenti i punti di vista, che ogni diagnosi, per quanta attenzione si ponga nel documentarsi e nel cercare di interpretare ragioni e motivazioni, appare, più che difficile, impossibile. Per iniziativa degli studenti di Berli no, l’intera Università tedesca sembra, in ogni modo, entrata in una crisi da cui dovrebbe uscire trasformata. Da come appariva sino a due anni or sono: una massa di studenti (300.000) quasi indifferenziata politicamente, in teressata di passare senza fastidi at traverso l’Univèrsità per trovare siste mazione nella vita pratica, la gioventù accademica della Repubblica Federale si presenta oggi notevolmente cambia ta. Se è vero che attiva sul piano poli tico è solo una piccola parte di essa, incontestabile è che un interesse poli tico, sia pure generico, sta diffonden dosi, che sono avvertibili fermenti nuovi, avvengono fatti sorprendenti. L’inizio del conflitto risale al mag gio del ’65, quando il senato accademi co proibì al giornalista Heinrich Kuby di partecipare a una discussione nel l’aula magna della F.U. Nel luglio suc cessivo un assistente dell’istituto Otto Suhr, cioè della Facoltà di scienze po litiche, Ekkehart Krippendorff, non si vide rinnovato dal rettore l’incarico per il semestre successivo, a causa di un articolo giudicato irrispettoso nei confronti dell’Università. A ognuno di questi provvedimenti, seguirono ma nifestazioni studentesche di durata e violenza senza precedenti. In quale rapporto sia da porre que sto atteggiamento di una comunità studentesca, considerata privilegiata rispetto alle altre della Germania Oc cidentale, con la sommossa che nel l’autunno del ’64 paralizzò l’Università di Berkeley in California, fino ad assu mere le dimensioni di fenomeno poli tico su scala nazionale, è difficile dire. Sta di fatto che i metodi di resistenza passiva adottati dagli studenti califor niani, sit-in, teach-in, ripresi da for me di protesta dei negri statunitensi, vennero assunti dagli studenti tede schi, accanto ad altri più rumorosi e aggressivi, che portarono squadre di attivisti fuori del campus, per entrare in contatto con la cittadinanza e pro vocare discussioni. Come la rivolta di Berkeley ebbe i suoi capi negli stu denti Mario Savio e Jerry Ruby, gli studenti di Berlino trovarono un com pagno capace di elettrizzarli, di trasci narli con una forza di convinzione, una ricchezza di argomenti, una pas sionalità, una vitalità che la stasi, l’in differenza degli anni precedenti fanno apparire eccezionali. Nato nella DDR ventisette anni or sono, educato, sempre nella Repubbli ca Democratica Tedesca, in una comu nità evangelica e quindi influenzato da una forma di socialismo cristiano, Rudi Dutschke, dopo aver rifiutato di prestare servizio nell’esercito nazio nal-popolare ed essersi visto privato dei mezzi per continuare gli studi, passò nel 1961 a Berlino Ovest; dopo il 13 agosto non tornò più dall’altra par te del « muro ». Iscritto alla Facoltà di sociologia della F.U., laureando fuori corso, Dutschke, pur non essendo il capo ufficiale del SDB (Sozialistischer Deutscher Studentenbund) di un gruppo staccatosi nel 1960 dai social- democratici e modellatosi sulla « Nuo va Sinistra » inglese e americana, è di fatto l’animatore, la personalità di maggiore rilievo di una minoranza (gli iscritti sono meno di duemila) che ha avuto una parte determinante nei fatti accaduti a Berlino e altrove in questi ultimi anni. Conosco Dutschke di persona, ho parlato alcune volte con lui, l’ho ascol tato in riunioni di gruppo. Il mio giu dizio concorda con quello generale: neppure gli avversari disconoscono al giovane qualità intellettuali di primo ordine. Del campione sportivo che è stato fino a qualche anno fa, ha con servato l’andatura elastica, la rapidità dei movimenti; nella conversazione è un interlocutore piacevole, cortese, ra pido nelle intuizioni, preciso nelle ri sposte, equilibrato. In modo diverso si comporta quando si trova a parlare di fronte a molta gente, come gli accade spesso. Allora il suo « staccato » me tallico, la voce cantilenante con cui pronuncia frasi lunghe, complesse senza mai perdere il filo, seducono chi ascolta; ma al vigore dell’eloquenza non seguono sempre rigorosità e coe renza di argomenti, per cui anche gli intimi fra i suoi collaboratori sono in apprensione, ogni volta che lo vedono avvicinarsi a un microfono. Indubbia mente preparato, con una buona cul tura marxista, una conoscenza appro fondita di alcuni settori della sociolo gia, dotato di una forza di volontà che ha fatto parlare di impeto missiona rio, Dutschke si è formato soprattutto sugli scritti di Jürgen Habermas, di rettore dello Institut für Sozialforschung di Francoforte, e di Herbert Marcuse; mentre con il primo si trova ora in un dissenso ormai aperto, con il secondo continua a mantenere rap porti, sebbene anche il filosofo della Critica della pura tolleranza si sia di stanziato, in occasione di una recente visita a Berlino, rispetto a posizioni assunte da Dutschke sul piano pratico e su quello teorico. In questo momento Rudi-il-Rosso, come lo chiama la stampa di destra, e l’affermazione non sembri paradossa le, è una delle figure più interessanti della Germania Federale. Chiedersi « che cosa vuole Dutschke » è inutile: vuole tutto. Se da una parte è facile, e perciò pericoloso, ironizzare sulle sue esigenze, che partono dall’assoluto e nell’assoluto si concludono, è necessa rio dall’altra sottrarsi alla simpatia e alla forza di persuasione dell’uomo, per non seguirlo in astrazioni e dedu zioni che vanno al di là di ogni limite. Altro paradosso: la sua eloquenza è tutt’altro che improntata ai caratteri demagogici tradizionali. Gli stessi pro fessori ai quali indirizza memoran dum o proteste non sono mai sicuri di capire sino in fondo quanto scrive, in uno stile da tecnico che non vuole sa perne di concessioni. Dutschke teorico è l’opposto del Dutschke agitatore, dell’uomo che non esita ad affrontare quasi quotidianamente le forze dell’or dine, a provocarle (contro di lui pen dono sette od otto capi d’accusa, uno più grave dell’altro; l’ultimo per una dimostrazione tentata la notte di Na tale, nella Gedächtniskirche di Berli no): i suoi comizi, i suoi interventi in pubbliche discussioni, i suoi discorsi sono fitti di astrazioni, presuppongono familiarità con il linguaggio della so ciologia, dell’economia, del marxismo, rimandano di continuo a fatti e dati storici. Partecipai una sera a una riu nione di studio che il suo gruppo te neva sulla situazione in Bolivia, dopo la morte di « Che » Guevara. Non cre do che in un istituto universitario si sarebbe potuto esporre, discutere con maggiore precisione e conoscenza dei fatti. Gli interventi di Dutschke erano sempre tempestivi, fertili, penetranti; i compagni lo seguivano con una con centrazione, un interesse, con una partecipazione che invano si cerche rebbero in un seminario di Univer sità. Il capo dei ribelli non ha pubbli cato ancora nulla in volume. I suoi scritti, tutti occasionali, sparsi in pamphlets, fogli volanti, giornali e ri viste universitarie, sono, nella mag gior parte, introvabili. Stringere da vi cino quella che si può chiamare la sua dottrina, è impossibile; non ci sono riusciti nemmeno i redattori di Der Spiegel, notoriamente capaci di ridur re in soldoni anche la Critica della Ragion Pura. Dire che le sue premes se teoriche, partendo da Rousseau e Robespierre, attraverso Marx, Rosa Luxembourg e Lenin, arrivano a Mar cuse e a Fanon è di poco o nessun aiuto per una definizione soddisfacen te delle sue teorie.
La filosofia politica di Dutschke
In un recente articolo su di lui, in ogni modo, Der Spiegel gli attribuisce questi princìpi: « I detentori del pote re “manipolano” le masse che in forza di tale stato di cose non sono capaci di disporre di sé. Nella società capita listica gli operai sono “integrati”, e quindi incapaci di rivoluzione. Una base per questa può essere offerta da gli studenti: essi infatti non sono an cora integrati perché troppo giovani, non sono ancora finiti nell’ingranag gio della produzione. In compenso, sono “privilegiati”, per la loro capa cità di svolgere un razionalismo critico. Possono scoprire le manipolazioni, ravvisare le repressioni e comunicare queste loro conoscenze ad altri, in modo da renderli consapevoli ». Dut schke è convinto che la nostra società è incapace di cambiare in senso quali tativo. La sua sfiducia nei partiti, che considera soltanto strumenti della mi noranza al potere, privi di ogni con tatto con la base, piattaforme per car rieristi, lo induce a parlare di una « democrazia di interessi ». « Un certo numero di gruppi di interessi si dà convegno nella borsa politica, e rico noscendo lo Stato esistente, finge una lotta per la partecipazione del prodot to sociale lordo ». Tale interpretazione della « democrazia pluralistica » lo in duce ad auspicare l’abolizione del par lamentarismo e a vagheggiare un si stema di democrazia diretta, composta di soviet, con un sistema di elezioni che rispecchi il livello critico raggiun to dalla coscienza collettiva. « In que sto modo il predominio dell’uomo sul l’uomo verrebbe a essere ridotto al minimo ».
L’esempio dell’Università di Berkeley
Dutschke è convinto che attraverso una lunga marcia, un lungo processo di autoconsapevolezza, si raggiungerà uno stadio in cui l’uomo sarà padrone del proprio destino, non sarà più ma nipolato come un oggetto impolitico. Mai come ora si sarebbero presentate condizioni storiche più favorevoli per l’inizio di questo processo. Una rivolu zione permanente, da condurre in tut ti i settori della vita pubblica, deve maturare le coscienze, affinare il ra ziocinio critico nei confronti degli strumenti che la società sta foggiando per rafforzare forme di schiavitù. Obiettivi da raggiungere sono l’elimi nazione della guerra e della fame nel mondo: non assurdi, forse, come si penserebbe, considerato che il sistema in cui viviamo si fonda soprattutto sul l’industria del riarmo e su una calco lata politica di sprechi: la cosiddetta società del consumo, se rinunciasse alla dissipazione, allo sperpero siste matico, potrebbe compiere un passo avanti considerevole verso la libera zione dell’uomo da quelle che si pre tendono forze ineluttabili. Gli studenti possiedono possibilità sistematicamente negate ad altri settori sociali: solo essi, oggi, sarebbero in grado di provocare un profondo cambiamento nella mente dell’uomo. La politicizza zione dell’Università deve essere con siderata come la fase iniziale di un processo che dovrà concludersi con una trasformazione radicale, grazie al l’uso appropriato di strumenti critici, dell’intera società. Queste sono le posizioni personali di Dutschke, frammentariamente e oc casionalmente formulate. Parlare di riforme, di colloquio, di collaborazione fra docenti e discenti, dopo queste premesse, è inutile. Dutschke vuole una nuova struttura dell’Università in senso sindacale, pretende la cogestio ne: un terzo ordinari, un terzo assi stenti, un terzo studenti, tutti con pos sibilità pari. Egli sostiene anche, e an cora una volta bisogna richiamare l’e sempio di Berkeley con la sua Free University, la necessità di inserire nel quadro degli istituti accademici, farne addirittura parte integrante, una « Università critica ». Formata da stu denti e assistenti, essa dovrebbe trat tare discipline e argomenti non am messi nei corsi ordinari, discutere i fatti politici del giorno e definire la li nea da seguire nei loro confronti da parte della comunità universitaria; do vrebbe infine recensire le lezioni dei professori, chiamando gli stessi a ren dere ragione dei metodi che seguono. E’ a proposito di quest’ultimo punto, naturalmente, che si sono avute le re sistenze maggiori da parte dei docen ti; a torto o a ragione si parla di terro rismo (vedi Die Zeit, 29 dicembre 1967) e si ricorda come intorno al ’30 proprio nella gioventù universitaria il nazismo trovasse uno dei suoi terreni più fertili (ma si omette che altrettan to e più fertile si mostrò il terreno dei professori). Le posizioni teoriche di Dutschke, la sua strategia sul piano dell’azione, che esplicitamente si richiama all’in segnamento di Guevara, cercando di applicare alle metropoli le regole della guerriglia, sia pure incruenta, non sono ufficialmente condivise dal SDS né dalla AStA (Allgemeiner Studenten Ausschuss), l’associazione che rappresenta giuridicamente e obbliga toriamente gli studenti; appena più mitigato l’atteggiamento del SHB (Sozialdemokratischer Hochschulbund) mentre su una opposizione decisa si mantiene l’associazione degli studenti democristiani. Per dare un’idea del l’atteggiamento collettivo degli studen ti della F.U. basta citare la risoluzione rilasciata all’unanimità al termine di un sit-in il 22-23 giugno 1966: « Noi non lottiamo soltanto per il diritto di studiare più a lungo e di poter mani festare il nostro punto di vista in modo più energico; questo importa re lativamente. Ci interessa piuttosto che le. decisioni nei confronti degli studen ti vengano prese in modo democrati co, con la partecipazione degli studen ti stessi. Quello che accade a Berlino è, anche per quanto riguarda la so cietà, un conflitto il cui oggetto princi pale non è uno studio più lungo né maggiori vacanze, ma l’eliminazione di un predominio oligarchico e la rea lizzazione della libertà democratica in tutti i settori sociali. Noi ci rivolgia mo contro tutti coloro che in un modo o nell’altro disprezzano lo spirito della costituzione, anche se pretendono di rimanere nell’ambito della costitu zione stessa. Importa considerare la libertà dell’Università come un problema che trascende i limiti dell’Università. Per queste ragioni gli stu denti si vedono costretti a collaborare con tutte le organizzazioni democrati che della società per imporre le loro rivendicazioni ». Come si vede, il numero e l’impor tanza delle questioni connesse con la « rivolta » degli studenti di Berlino su pera i limiti dell’attività accademica, per coinvolgere l’intera società della Germania Occidentale, le sue istituzio ni, la sua politica interna e soprattut to quella estera. Gli studenti della F.U. pretendono un capovolgimento di quella che è stata fino a » oggi la fun zione di Berlino-Ovest: invece di servi re da testa di ponte delle democrazie occidentali nel cuore dell’Europa co munista, la porzione di città rimasta in mano alleata dovrebbe rinunciare alla sua politica velleitaria, di rivendi cazione e provocazione, per sostituirla con una realistica, consapevole, antici patrice, in grado di spezzare le perico lose incrostazioni conservatrici di Bonn, di eliminare strutture rimaste indenni dopo il ’45 e di attivare criti camente una mentalità pubblica torpi da, indifferente alla politica. Al con trario di quanto accade ora, con una stampa controllata (il 70% di quella berlinese appartiene al gruppo Springer), Berlino dovrebbe disporre di un sistema di informazioni non manipo late, oggettive, che pongano i cittadini di fronte alla realtà dei fatti, non li illudano né li suggestionino con espe dienti quotidiani. Di qui uno degli slogan che più ricorrono durante le dimostrazioni studentesche: « Espro priate Springer! ». Il programma è talmente vasto e complesso, solleva un tale numero di questioni, che persino un governo sa rebbe nell’impossibilità di affrontarlo. Gli studenti, dopo un ventennio di le targia, di atteggiamento passivo nei confronti dei padri, di chiusura rispet to a interessi sociali, si sono scossi e sentono come un dovere l’intervento diretto nella cosa pubblica, dalle pro teste contro la guerra vietnamita e la visita dello Scià di Persia nella Re pubblica Federale, all’esigenza di una più libera e coordinata politica nei confronti del Terzo Mondo: ma sotto quale veste? Ci si chiede da qualche parte. Non manca infatti chi contesta loro ogni diritto al « mandato » politico, chi disconosce la legittimità delle loro rappresentanze a intervenire al di fuori dei quadri della vita accademica. In questi ultimi tempi (Frankfurter Allgemeine Zeitung, 19 dicembre 1967) si tende sempre di più, dalla parte conservatrice, a mettere in dubbio la funzione dell’AStA, a disporre di un mandato politico. Se si dovesse insi stere su questo punto, riconoscere giu ridicamente, magari con sentenza del la Corte Costituzionale, l’incompeten za dell’AStA a rappresentare politica- mente i suoi iscritti, la lotta in corso avrebbe un esito scontato. Altrettanto indubbio però sarebbe, credo, l’esito negativo, sul piano di una visione complessiva della vita tedesca, che una sentenza di quel genere finirebbe con l’assumere; sia che gli studenti Faccettassero, consentendo a condizio ni che fatalmente farebbero loro per dere quanto, in questi ultimi tempi, potenzialmente hanno guadagnato; sia che a essa si ribellassero, rendendo più grave la situazione già ora delica ta. Le previsioni sono difficili soprat tutto per la discontinuità della politi ca nei giovani, per le sproporzioni del le loro richieste, per l’immaturità del la maggioranza rispetto alla scaltrez za, all’abilità di un piccolo gruppo.
Terrorismo con lancio di pomodori
A ciò si aggiunga la confusione tra le manifestazioni degli studenti e quelle dei provos, di anarcoidi, come i rappresentanti della « Kommune I » di Berlino, responsabile di tali eccessi che persino gli estremisti più sperico lati sono stati costretti a distanziarse ne. Si deve appunto a due rappresen tanti di questa « Kommune », Fritz Teufel e Rainer Langhaus, rimasti in stato d’arresto per mesi e solo poco prima di Natale rimessi in libertà, un mumero di dimostrazioni a Berlino, che poco hanno giovato alla causa de gli studenti. La « Kommune », è stato detto (e io trovo il richiamo giustificato), ripete con trenta o quarant’anni di ritardo tipici atteggiamenti dei surrealisti. Lo scandalo maggiore si ebbe con la diffusione di fogli volanti dopo l’incen dio del grande emporio di Bruxelles, avvenuto nella primavera scorsa. I co munardi istigavano a ripetere l’atten tato, visto che, secondo loro, di atten tato si era trattato, nei grandi magaz zini di Berlino, perché la popolazione avesse una dimostrazione concreta di uno degli effetti della guerra e si ren desse conto sulla propria pelle di quanto accade quotidianamente in Vietnam. Il tono di questi Flugblätter riprende con una evidenza che può sembrare caricaturale quello dei da daisti e dei surrealisti; il terrorismo a base di lancio di sacchetti di latte, di yogourt, di pomodori, di candelotti fumogeni, provoca spiegamenti di po lizia che fatalmente finiscono per di ventare comici; fotografie nelle quali si vedono ritratti di spalle, privi di ogni indumento, i membri della « Kommune », hanno suscitato lo sde gno di innumerevoli benpensanti: se si pensa a quello che erano capaci di fare al riguardo Eluard, Dalì e compa gni ai bei tempi della rivoluzione sur realista, vien fatto di rammaricarsi per la mancanza di humour con cui si accolgono questi fenomeni di provoca zione, dopo tutto, abbastanza ingenua. In ogni caso non so fino a che pun to in un Paese serioso come la Germania di Bonn questa attività a carattere carnevalesco-goliardico giovi realmen te alla causa degli studenti; non per nulla buona parte della popolazione di Berlino si è risentita del chiasso pro vocato dalla « Kommune » e ha assun to un atteggiamento di ostilità nei confronti dell’intera classe studente sca: quando era esattamente il contra rio che sarebbe dovuto accadere, nel l’interesse dei giovani. Gli stessi ispira tori più o meno diretti del movimen to, Marcuse e Habermas, hanno preso, come ho accennato, un atteggiamento abbastanza critico nei confronti degli estremisti. Se ciò è comprensibile da parte di Habermas che mai, nei suoi scritti, ha parlato di ricorso alla vio lenza, un quesito più delicato si pone quando ci si riferisce al teorico della « tolleranza repressiva ». « Io credo che per le minoranze op presse e sopraffatte esista un “diritto naturale” alla resistenza, all’impiego di mezzi illegali quando quelli legali si siano dimostrati insufficienti. Ordi ne e legge sono sempre e dappertutto ordine e legge di coloro che proteggo no l’ordine stabilito; è assurdo ricorre re all’autorità assoluta di tale ordine e di tale legge per agire contro coloro che soffrono sotto di essi e contro di essi lottano, non per vantaggio perso nale e per personale rancore, ma per ché vogliono essere uomini. I soli giu dici che abbiano sopra di loro sono le autorità in carica, la polizia e la loro coscienza. Se ricorrono alla forza non cominciano una nuova catena di vio lenze, ma spezzano quella stabilita. Consci di essere picchiati, conoscono questo rischio, e, se sono disposti ad assumerlo, nessuno ha il diritto, meno che mai l’educatore, l’intellettuale, di predicare loro cautela ». Che queste conclusioni di Marcuse siano petrolio sul fuoco è un fatto: la sinistra radica le studentesca vuole che la potenza « sublimata » dello Stato, mediante azioni provocatrici, si riveli quella che è, una potenza repressiva, che ignora le minoranze e intende smontare, pri ma che abbia assunto una forma orga nizzativa, ogni tentativo di sovverti mento dell’ordine costituito. Dutschke e compagni sanno di non poter opporre violenza a violenza, esplicitamente escludono ogni possibi lità di ricorso alla forza. Ma dello stes so parere non sono le forze dell’ordine e specialmente la polizia di Berlino, allenata, per ragioni ovvie, alla manie ra forte. Proprio a Berlino, infatti, sono avvenuti gli scontri più duri, che il 2 giugno dell’anno passato si sono tragicamente conclusi con la morte dello studente Benno Ohnesorg. Su questo incidente, che commosse la gioventù dell’intera Germania, esi ste ormai una letteratura. L’agente di polizia responsabile, certo Kurras, è stato assolto con formula piena, senza avere fatto un giorno di carcere pre ventivo. Dalle deposizioni di numerosi testimoni, da serie ricostruzioni dei fatti, sono emerse le responsabilità del borgomastro Albertz, del senatore per gli Interni e del capo della polizia, nessuno dei quali è oggi più in carica. Le stesse autorità accademiche ricono scono all’intervento delle forze dell’or dine carattere di aggressione, che solo per un miracolo non provocò più vittime. L’intervento in forma tanto bru tale fu provocato, come è noto, dalla preoccupazione di proteggere lo Scià in visita a Berlino dalle dimostrazioni di studenti persiani contrari al suo go verno e di loro colleghi tedeschi av versi alla politica autoritaria, al regi me feudale vigenti nell’Iran. Forse per la prima volta dai tempi del nazi smo si ricorse ad atti di violenza così aperta e gratuita, a una dimostrazione di forza intimidatoria, sconfinante nel terrorismo. Gli avvenimenti del 2 giugno furono commentati nel Congresso di Hanno ver che ebbe luogo l’8 e il 9 dello stes so mese, in occasione dei funerali di Ohnesorg. Presero parte a esso cin quemila persone; oltre ai capi delle as sociazioni progressiste studentesche di tutta la Germania, intervennero professori e assistenti. Gli interventi di maggior peso, pubblicati poco dopo, costituiscono un documento di inte resse che trascende la circostanza del la tragica morte dello studente per in trodurre nel vivo della situazione poli tica, intellettuale, morale della Germa nia post-Adenauer. Dutschke ha più volte insistito sul rapporto di causa tra la recessione economica, che nel ’65 ha posto termine alla cosiddetta èra del miracolo, e una serie di misu re che gli « uomini dei bottoni » avrebbero preso per fronteggiare una nuova situazione, coinvolgendo l’Università. Esclusione forzata dello stu dente dai quadri accademici dopo un dato numero di semestri, tempi di stu dio accelerati, tutte misure contro le quali gli studenti si ribellano, sarebbe ro conseguenza dell’intrusione dei tec nocrati nell’ambiente accademico, del la loro pretesa di avere a disposizione materiale facilmente e rapidamente « manipolabile ». E’ probabile che il nesso non sia in fondato, considerato l’influsso che la grande industria ha nella società della Repubblica di Bonn. La forma di dis senso espressa in questi ultimi due anni, in modi spesso inefficaci, goffi, controproducenti, da un gruppo di studenti che rappresentano « la sola forma di opposizione veramente inte gra », come è stata definita, « della Germania Occidentale », ha qualche probabilità di essere efficace contro strutture potenti, solidarietà di inte ressi, decisione di affrontare, e se è il caso reprimere, ogni tentativo di ri volta? La domanda viene spontanea, seguendo le cronache di queste ultime settimane. Alla fiammata dell’estate scorsa, sembra essere ora succeduta una calma, dietro la quale si intrave dono le misure in atto o progettate da parte dell’autorità. I ribelli di Berlino respingono la ri forma, perché vogliono la rivoluzione. Sono sicuri del fatto loro, la rivoluzio ne sarà forte abbastanza per compiere la lunga marcia di cui parla Dutschke. Ma gli studenti invecchiano, una ge nerazione segue un’altra, la rivoluzio ne non può conservare a lungo, in un campus, lo stesso viso. Dutschke è uno studente anziano, dovrebbe già essere fuori dell’Università. Ci sarà al tri capace di prendere il posto, per tante ragioni unico, da lui tenuto in questi due anni? Dutschke sostiene di sì: « Esistono molti Dutschke ». Forse è lecito dubitare. Quale sarà la sorte dei semi di inquietudine da lui getta ti? Come ho detto all’inizio, nella lotta sembrano vincere ai punti, sino a que sto momento, gli studenti. Ma il com battimento non ha limiti di tempo, le risorse della parte avversa sono ine sauribili.
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