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LETTERATURA: STORIA: Una commemorazione incompleta

8 Ottobre 2011

di   Mario Camaiani

      Un numeroso drappello di “SS” giunse di sorpresa accerchiando il campo di lavoro,   obbligando gli italiani che lì lavoravano a salire rapidamente sugli autocarri, strattonandoli brutalmente sotto la minaccia delle armi puntate contro di essi.   Era il 12 settembre 1944   e la cruenta scena si svolgeva non lontano dall’Alto Matanna, in una zona montuosa posta fra la Versilia e la Media Val di Serchio.     In quel territorio l’ esercito tedesco si stava attestando su una linea difensiva detta Gotica   per   fronteggiare gli alleati che stavano avvicinandosi; e per costruire le dovute fortificazioni aveva ingaggiato al lavoro degli italiani, quasi tutti giovani, che avevano accettato questa occupazione per sopravvivere, per guadagnare qualcosa e soprattutto per mangiare qualcosa, in un tempo di crisi tremenda e di miseria nera.     Quel giorno i militari delle “SS” fecero detta retata per portare quei lavoratori in Germania a lavoro coatto in operazioni ad alto rischio di vario genere come soprattutto per riparare le linee ferroviarie che continuamente venivano colpite dagli aerei angloamericani.

      Qui viene spontanea   una considerazione: la guerra di per sé è cosa negativa, è la barbarie che prevale sulla civiltà; ma quando, come in questo caso, un esercito usa la sua forza contro civili inermi per propri scopi militari, allora siamo ad un livello di brutalità selvaggia.

      Tra questi rastrellati, qualche   decina, c’era anche un giovane appena diciassettenne, Sergio Terigi, fratello di colei che anni dopo sarebbe divenuta moglie dello scrivente.     La famiglia Terigi era composta   dai coniugi e da undici figli, sette maschi e quattro   femmine; ma due uomini erano già morti in guerra: Aladino, alpino, disperso in Russia nella battaglia del Don il 31 gennaio 1943 e Umberto, disperso nel Mediterraneo il 17 febbraio 1943 nell’affondamento del sommergibile Asteria sul quale era imbarcato. Immaginarsi quindi da quale dolorosa apprensione fossero pervasi i familiari di Sergio, in particolare la mamma, alla notizia che un terzo figlio (dopo due dispersi e perciò quasi certamente caduti, come poi venne purtroppo confermato), fosse stato deportato in Germania, nell’infuriare della guerra.        

      Dunque, riprendendo il racconto, le “SS” con i loro autocarri trasportarono i prigionieri a Castelnuovo di Garfagnana depositandoli in un grande casamento sorvegliato da pattuglie armate. Ciononostante nella notte alcuni dei rastrellati scapparono calandosi a terra all’esterno dell’edificio tramite la tubazione dell’acqua piovana e fecero ritorno alle loro case.   Gli altri, fra i quali il nostro Sergio, l’ indomani furono fatti salire su un apposito treno e partirono verso la Germania.   Da notare che Sergio era un giovane mite, sensibile, buono di animo, non litigioso, che sempre evitava le contese che potevano capitargli, anche in famiglia: tutto questo verrà poi confermato da quei suoi compagni di prigionìa che dopo la guerra   fecero ritorno.   Essi parlarono di Sergio sempre in termini positivi: egli talvolta divideva il poco cibo che aveva con altri, li aiutava nel lavoro quando non ce la facevano, dava sempre fiducia che tutto poi sarebbe tornato alla normalità, in pace…Ma un destino crudele stava per colpirlo: dopo aver lavorato in tante località per la Germania si trovava infine a Berlino, quando il 25 aprile 1945 ( proprio il giorno della fine della fine della guerra in Italia), durante un bombardamento aereo sulla città ( sembra fosse l’ ultimo! ) fu ferito in modo grave e ricoverato in un ospedale.   E questo è ciò che i suoi compagni che erano con lui durante l’incursione aerea raccontarono ai suoi familiari quando rientrarono in Italia, senza sapere altro.

      Da quell’ospedale Sergio fu poi trasferito in un altro ospedale dove subì una grossa operazione chirurgica e quivi venne assistito amorevolmente da un infermiere italiano, Luigi Guarnieri, che lì prestava la sua opera,   il quale quando Sergio morì curò la sua sepoltura nel cimitero dell’ ospedale stesso. Poi, a guerra finita, quando poté rientrare in Italia ( diversi mesi dopo perché quella zona di Berlino si trovava nel settore russo), scrisse al parroco di Sergio perché informasse i di lui genitori del calvario e decesso del giovane, indicando anche che l’ospedale era   il “Lazzaretto numero 126 ( Bissoloff )” e vi accluse una foto della sua sepoltura,   con su scritto su una targa al centro della Croce:  

SERGIO TERIGI         NATO     18/7/ 1927     MORTO         7/5/1945             ITALIANO  

      A questa lettera, che purtroppo è andata perduta, il babbo di Sergio rispose a detto infermiere ringraziandolo e chiedendogli maggiori ragguagli sulla degenza e morte del ragazzo. Così Luigi inviò una seconda lettera al padre di Sergio, sempre per mezzo del parroco, lettera il cui originale è in possesso di mia moglie, nella quale è testualmente scritto:

                                                                                                                                                                                                    “ Triveneto 8/11/1945
      Molto Rev. Don Valfredo.

   Ho ricevuto la sua del 14 u. s. e mi affretto a rispondere, senza poter nascondere il mio dolore   constatando le disgrazie accumulatesi   sulla povera famiglia di Sergio la quale lui amava tanto.

  Durante il suo breve tempo all’ ospedale ricordo particolarmente che lui pensava continuamente alla sua famiglia e mi incaricò con preghiera di interessarmi a dare notizie, se caso mai le sue condizioni avessero dovuto peggiorare. Prima di operarsi ricordo ancora che volle ricevere i Sacramenti della Confessione e Comunione e durante il periodo dell’operazione disse che voleva vicino anche il Cappellano, ciò che non gli fu negato.   L’operazione riuscì molto bene ma le sue condizioni erano giù nonostante che gli furono praticate due trasfusioni di sangue da gr. 500 donate di spontanea   volontà affinché avessero potuto giovare, ma ogni tentativo riuscì vano.   Conservò lucidità di mente fino a qualche ora prima di morire, pur soffrendo così.   In pari data della sua   ho ricevuto anche una lettera del padre di Sergio, facendomi le medesime domande sue e per questo la prego di volergliene rendere noto. Il povero Sergio non conservava nulla di valore e ricordo, perché venne trovato ferito fuori e portato in un ospedale civile.   Quando venne trasferito poi nell’ ospedale ove è deceduto nulla portò con sé e né   ricordo di avermi manifestato qualche desiderio di aver lasciato qualche cosa che avrebbe potuto interessare lui, come la sua famiglia.

  Non avendo altro le porgo i miei più sentiti saluti a lei e famiglia Terigi.      

                                                                                                                 Guarnieri Luigi”

    In seguito i genitori ed i fratelli maggiori di Sergio fecero ricerche per sapere qualcosa di più sull’ ubicazione del suddetto cimitero del lazzeretto; ma come si è detto quella zona di Berlino era allora sotto la giurisdizione russa: erano i tempi della guerra fredda, quindi queste ricerche non approdarono ad alcuna valida risposta.    

      Da allora sono trascorsi tanti anni, tanti decenni e nel frattempo sono deceduti i genitori di Sergio e diversi suoi fratelli e sorelle: attualmente da undici che erano sono rimasti in tre: mia moglie, un’ altra sorella ed un fratello.   Quand’ ecco che un giorno, inviata da un apposito Comitato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, giunge a mia moglie una lettera ufficiale con la quale le viene comunicato che alla memoria di sua fratello Sergio il Presidente della Repubblica ha disposto il conferimento di una Medaglia d’Onore , nominativa, prevista per i cittadini italiani militari e civili deportati nei lager nazisti o obbligati a lavoro coatto.  

    La toccante cerimonia della consegna di questa medaglia è avvenuta presso la Prefettura di Lucca il 27 gennaio 2011, presenti varie autorità: il Prefetto, il Presidente della provincia, il Sindaco, l’ Arcivescovo ed i Sindaci dei comuni di appartenenza di coloro ai quali veniva conferita la Medaglia d’Onore ( erano sei, dei quali tre ancora viventi e gli altri tre rappresentati da familiari).

  Detta cerimonia è stata ancora più solenne perché inserita nella “Giornata della Memoria”, con interventi oratori delle autorità, con letture di brani, con testimonianze, con momenti di raccoglimento, con esecuzione di opportuni brani musicali.

    Ovviamente anche il sottoscritto era presente a questa commovente commemorazione; ma subito ho pensato come però non fosse completa: c’era infatti una evidente lacuna,   perché tutto si svolgeva dalla parte lesa, quella italiana, mentre mancava la parte tedesca: cioè sarebbe stato bello ed edificante che un qualsivoglia rappresentante ufficiale dello stato tedesco fosse stato presente stigmatizzando l’operato della Germania di allora, magari chiedendo umilmente perdono, o scusa…allora sì che che la commemorazione sarebbe stata completa.   E sarebbe stata una forma   tangibile di   fraternità   fra i due popoli, italiano e tedesco, che oggi fanno parte dell’Europa Unita.

    Ma non voglio concludere questa drammatica testimonianza con riflessioni negative; bensì desidero mettere in risalto come la cerimonia commemorativa sia stata altamente meritoria ed edificante.

    Ed altresì è encomiabile come il mio mancato cognato abbia sopportato   un’agonìa   fino alla morte in modo esemplare, con alto spirito cristiano; ed altrettanto è da ammirare la fraterna opera di assistenza e di informazione dell’ infermiere Guarnieri, civilmente elevata…  

  Come dal fango nasce il candido fiore del loto, così dal fango della guerra sono sorti   questi due episodi sublimi.

 


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3 Comments

  1. Commento by Mario — 8 Ottobre 2011 @ 20:42

    Come di consueto, anche per questo mio racconto, l’amico Gian Gabriele, che ringrazio sentitamente, mi ha inviato questo bellissimo commento:

                                         

    “La terribile realtà della guerra. L’annientamento di ogni valore d’umanità. La sofferenza immane e la distruzione. Il dolore immenso di una perdita, della morte. Se la parola non ci può riportare appieno i segni di una brutalità perpetrata, se non ci può riprodurre la concretezza fisica di una tragedia, è sicuramente espressione tangibile di uno spirito sensibile e attento, che significativamente ci riconduce su episodi e drammi, per non dimenticare.

    Racconto che si avvale di una solida tradizione narrativa. Scrittura spesso visiva, realistica, profondamente avvertita nel cuore, ma mai esasperata e tanto meno votata ad un risentimento esacerbato, anche se un opportuno appunto tende a indirizzare a chi non doveva essere assente in certe circostanze. Scrittura che testimonia la grande carica umana e affettiva dell’autore e dei protagonisti. Nella tragica situazione narrata, emergono, infatti, consolazione nel ricordo e nel riconoscimento giusto del valore a tutto tondo di chi ha contribuito alle vicende.

    Che tutto rimanga a indirizzare gli uomini verso la comprensione e non all’odio o all’uso della violenza e della sopraffazione. Questa deve essere la parte precipua, vera, essenziale dell’essere. Questo soprattutto ci porta in dono la storia, che incide nell’animo e ritrova, nel riferimento evocativo, quella forza di riflessione e di coscienza, secondo cui “dal fango della guerra” deve nascere il fiore di una partecipazione saggiamente etica alla vita, alla fratellanza, all’amore.
    Gian Gabriele Benedetti.”  

                                               

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 11 Giugno 2013 @ 20:16

    Metto qui un commento che ho ricevuto in privato e che credo di interesse generale:

     

    GENT.MO
    SONO ARRIVATA AL SUO SITO PER CASO GIRELLANDO SU INTERNET,HO LETTO TUTTO D’UN FIATO IL RACCONTO DI SERGIO.
    PERCHE’LE SCRIVO? PERCHE’ IO SONO UNA   TERIGI E MIO PADRE SI CHIAMAVA SERGIO TERIGI. OVVIAMENTE UN’ OMONIMIA,
    MA IL SUO RACCONTO MI HA RIPORTATO AI RACCONTI DI MIO PADRE ANCHE LUI SOLDATO DELL’ULTIMA GUERRA
    ANCHE LUI PRIGIONIERO DEI TEDESCHI SULL’APPENNINO TOSCOEMILIANO.
    GRAZIE PER AVERMI FATTO RIPENSARE TANTO INTENSAMENTE AL MIO VECCHIO CHE HO TANTO AMATO.
    CATERINA TERIGI
    P.S.
    caterina.terigi@gmail.com
     
    Ringrazio Caterina per l’attenzione al sito.

  3. Commento by Mario Camaiani — 13 Giugno 2013 @ 14:33

    Caro Bartolomeo, ti saluto e ti ringrazio per aver pubblicato il commento della signora Caterina.

    E’ bello che, dopo tanti e tanti anni, da drammatici episodi del periodo di guerra spuntino delle edificanti testimonianze, come questa.

    A lei, signora Caterina, le rivolgo cordiali saluti.

    Mario Camaiani

       

     

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