LETTERATURA: Una volta da Carignano a Lucca in diligenza con Frediano
17 Gennaio 2020
di Bartolomeo Di Monaco
I precedenti (nell’ordine) qui, qui, qui, qui e qui.
È ancora Mariano Giannini a restituire alla vita il nostro passato. Leggete qui.
“La nostra casa di Carignano dista da Frediano appena duecento metri in linea d’aria, per cui la mattina si udivano bene gli squilli della trombetta che egli suonava tre volte ad intervalli di 5 minuti prima di partire. Anche la zia Cecilia e Gemma, quando venivano a Carignano, prendevano questa diligenza e salivano sempre davanti a cassetta, perché lo star dentro in vettura faceva loro male.
Ogni corsa costava 20 centesimi e per compiere quei sei chilometri, Frediano impiegava a causa delle numerose fermate più di tre quarti d’ora. Nelle belle giornate preferivamo talvolta fare questo viaggetto a piedi, lungo gli argini del Serchio, passando il ponte di Monte S. Quirico, oppure traghettando il fiume con la barca al Palazzaccio.
Alla partenza da Carignano al mattino, salivano sulla diligenza per lo più le stesse persone: Zaira e Cesira, due sigaraie che si recavano a lavorare alla manifattura dei tabacchi; ciascuna portava seco un canestrino col pranzo e se lo teneva sulle ginocchia. Esse riempivano la vettura di chiacchiere e di un forte odore di tabacco che emanava dai loro vestiti. C’era Napoleone detto “il console†perché figlio di un vecchio console di Francia in pensione: abitava nella sua villa vicino a Frediano, in mezzo ad un ombroso parco di lecci circondato da un’alta siepe di bussolo, con il cancello sulla strada in cima alla prima breve salita. I contadini invece viaggiavano generalmente sui loro carri tirati da due vacche appaiate sotto il giogo, frequentissimi allora a vedersi per le strade di campagna, oppure venivano a Lucca col “caval di S. Francescoâ€, come suoleva dirsi, cioè a piedi e preferivano camminare scalzi per non frustare le scarpe e perché, non essendovi abituati, queste facevano loro male; le portavano perciò a cavalcioni sulle spalle, legate per le stringhe, e se le infilavano quando entravano in città .
Dopo un ultimo squillo di tromba per avvertire i ritardatari, Mediano montava a cassetta e raccolte in una mano le redini, dava una frustatina al suo cavallone dicendogli: “Ih!… va là , va lae!â€, frase che ripeteva ogni tanto lungo la corsa, quando pareva risvegliarsi da pensieri profondi, ma è più verosimile che non pensasse affatto: e non parlava mai.
Il cavallo, a dire il vero, non aveva bisogno né di frustate né d’incitamenti, perché manteneva sempre un trotterello uniforme che però cessava di colpo, per mettersi al passo, appena cominciava la salita ai montescendi di S. Alessio e di Monte S. Quirico. La bestia poi conosceva benissimo tutti i punti della strada dove qualcuno era solito scendere o salire e vi si fermava coscienziosamente anche quando non le veniva comandato, perché non c’era nessuno.
A S. Alessio, per esempio, si fermava sempre davanti alla bottega di Cecilia, una donna butterata, la quale, avvertita con uno squillo di trombetta, usciva correndo dalla bottega, lanciava a Frediano una balla vuota che egli afferrava a volo e gli gridava: “Quattro bianchi e cinque scuriâ€; numeri variabili delle due qualità di pani che Frediano doveva portarle da Lucca al ritorno.
Quando la vettura era piena, qualcuno rimaneva a terra e doveva venire a piedi od aspettare un’altra diligenza.
Certi giorni partiva con noi da Carignano una contadina di cui non ricordo il nome, con un fazzolettone pieno di uova che portava a vendere al mercato. Arrivati sul Giannotti, essa cominciava a distribuirne una coppia a tutti quelli che erano sulla vettura e ci pregava di tenerle in mano fino a che la vettura non avesse sorpassato la gabella, perché una coppia sola non pagava il dazio. Oltrepassata la cancellata dopo la Porta di Borgo, quando la guardia giudiziaria, od il “forasacchi†come lo chiamavano, era venuta ad affacciarsi alla vettura, dichiarando che potevamo proseguire, la contadina ci ringraziava, riprendeva le sue uova e le rimetteva nel fazzoletto.â€.
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