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LETTERATURA: Viaggi: MACHU PICCHU

31 Agosto 2009

di Vincenzo Moneta

Partendo con il   trenino da Cuzco ci “avventureremo”,   a piedi, lungo il sentiero degli Incas, per raggiungere Machu Picchu, l’unica città   inca che i conquistadores spagnoli non hanno mai trovato.  

  (Inizio commento treno fermo)  

 Alla fermata   del chilometro 88 scendiamo per avventurarci, iniziando con l’attraversamento   del torrente, sull’antico sentiero.  

 L’indio molla   la corda e con uno strattone fortissimo   la carriola parte. E noi ci ritroviamo dopo pochi secondi a volteggiare sopra   questo asse dall’equilibrio incerto, mentre l’Urubamba, “el rio sagrato de los incas”, sotto corre rapido tra le rocce.
E i 10, o forse più metri   di strapiombo non rassicurano nessuno.   Ma l’incertezza   dura un attimo, la carriola si è solo arrestata perché non c’è più forza d’inerzia.
 Basta però attaccarsi alla corda che scorre sopra le nostre teste per ritrovarci  dall’altra parte del fiume. La carriola a quel punto  ritorna indietro  ed è pronta a raccogliere quell’altra dozzina   di turisti che quel giorno è scesa con noi al chilometro 88 della ferrovia che dal Cuzco porta a Machu Picchu.
Inizia così in modo decisamente avventuroso l’antico cammino imperiale che in quattro giorni circa conduce alle rovine di Machu Picchu di cui non si sa ancora se fosse un centro religioso o une fortezza servita anche per combattere gli spagnoli e di cui si sa invece che è conservata in maniera quasi perfetta.

– Quattro giorni per i quali è difficile trovare aggettivi adeguati, non solo per le rovine in cui ci si imbatte costantemente, ma soprattutto por la varietà   e le bellezza della natura e del cammino stesso.
II “cammino” si snoda per gran parte attorno ai 4000 (quattromila) metri   e in salita, soprattutto quando ci sono  i passi da superare, si è presi qualche volta dallo scoraggiamento,   superato sempre
dalla bellezza e dalla vastità del luogo.  

– Attraversato l’Urubanba, il sentiero corre pianeggiante lungo  il fiume e tra gli alberi. Ma l’illusione dura poco.  Passate le rovine di Llactapata (un’insieme di pietre messe insieme) una salita breve ma molto ripida e sotto il sole a picco riconduce subito alla realtà.  

– Il secondo   giorno è molto pesante e forse il più  faticoso. Dopo tre ore di cammino ha inizio  la salita verso il monte  che, tradotto in italiano, si chiama “passo della donna morta”; la cima   è a 4200 metri   e raggiungerli è     quasi     una     conquista     ed     il     cuore   assume   un   battito     più   forte del consueto.  

Oltrepassate   le rovine di Runkuracay si stabilisce con la natura un rapporto totale, fino a sentirsi una stessa cosa.  

Da Runkuracay a Sayamarca ed   infine a Phuyupatamarca che   significa:   “città sopra le nuvole” e ciò che  rimasto di questa antica città era, non a caso, sospeso in un cielo grigio e minaccioso.
 

(Nebbia)

Nebbie argentee ricoprono spesso i bordi delle gola nelle mattine fresche.   Si cammina in mezzo alla nebbia, rabbrividendo per il freddo, in ansiosa attesa che il sole delle Ande rompa la spessa cortine delle nubi, faccia scintillare le erbe umide  e si rifletta  abbagliante sulle nevi.  

(Inizio commento piloni alta tensione)

 -Costeggiata   la   presenza del ventesimo secolo: i piloni dell’alta tensione, facciamo una deviazione verso le rovine di Winay Wayna, forse città satellite nata per i profughi che affluivano a Machu   Picchu.  
 
– Entriamo da Inti Punko (Inti vuol dire   sole e punko significa porta) luogo da dove il sole sorgendo illumina Macchu Picchu.

La città   riscoperta nel 1911 da Hiram   Bingham domina dall’alto   la profonda valle dell’Urubamba, che scorre alcune centinaia di metri più in basso. Agli occhi di chi l’ammira per la prima volta, Machu   Picchu appare come una   città incantata, modellata su di un altro pianeta.  

La visione di Machu Picchu, aggrappata ad un piedistallo di granito che galleggia su di un mare di nuvole, provoca, anche a cause, dell’aria. rarefatta, un irresistibile sentimento di estasi, perfetta simbiosi fra l’ambiente naturale e l’opera dell’uomo. La città nasce e si stacca dalla montagna attraverso une cascata di giardini pensili che degradano dalla cima fino all’inizio del vuoto, essi sono in effetti delle terrazze agricole.  

Questa città rimane come  unico e grandioso esempio dell’architettura incas. La mancanza   dell’arco architettonico e della chiave di volta finiva per essere meno  grave della non conoscenza della ruota: gli incas erano abilissimi muratori e sapevano fabbricare magnifici architravi rettangolari. Essi inclinavano verso l’interno   le pareti laterali delle porte è delle nicchie per ridurre  la lunghezza dell’elemento di chiusura alla sommità, la forma trapezoidale dell’apertura che ne risultava   è una caratteristica peculiare dell’edilizia inca.
Le costruzioni .sono   disposte lungo   i pendii a ripiani sovrapposti e paralleli. Negli edifici di Machu Picchu. è molto   frequente la curvatura della parte superiore delle pareti   verso l’interno. In queste costruzioni emerge la intenzionale continuità fra natura e manufatto umano.  

Queste rovine, a circa 2500   (duemilacinquecento) metri di altezza, incastonate fra le cime granitiche delle Ande compongono   un paesaggio tra i più impressionanti   della terra.  

A tre chilometri   dalla stazione di Machu Picchu si trova il paese di Aguascalientes, cosi chiamato perché ci sono delle sorgenti di acqua calda, ottimo tonificante dopo oltre quattro giorni trascorsi fra queste splendide montagne, incontrando queste incredibili civiltà.  

E’ un ricordo indelebile che riaffiora ogni volta che   si   frequentano i “bagni turchi” e le “saune” di questa città dell’Italia centrale.

Quanta differenza fra le forti sensazioni   del bagno nelle acque calde e fredde del paese di   Aguascalientes a l’esperienza “tecnica” e solitaria di questi affollati centri del “benessere”!

Vincenzo Moneta
Via G.B. Giorgini, 195/B – San Vito
55100 – Lucca – cell. 3494640184 – 0583999358
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2 Comments

  1. Commento by Tosca Pagliari — 31 Agosto 2009 @ 12:14

    Avvincente il viaggio verso l’incantevole città Incas, la descrizione è essenziale, ma inciva, quel tanto che basta per dare l’idea e lasciare che la mente, da sola, faccia il resto. Mi sarei risparmiata le altitudini tra parentesi,in quanto la misurazione in numeri era già d’effetto ed il volerla enfatizzare in parole risulta ridondante. Unica pecca di un racconto mirabilmente costruito e impreziosito dalla considerazione finale di sentirsi appagati in solitudine ed isolati tra un’anonima moltitudine.Complimenti.

  2. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 31 Agosto 2009 @ 23:40

    Descrizione visiva, precisa, accattivante di terre che fanno sognare. Luoghi che l’autore rivive e fa rivivere in maniera sentita, tanto da trovarci trasportati nella realtà che, con perizia, ci propone. E non manca di “colpirci” il fascino primordiale delle suggestive immagini.
    Avventura di viaggio e teoria poetica si incrociano felicemente
    Gian Gabriele Benedetti

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