Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LIBRI IN USCITA: Meridiano Zero 1/2010

13 Gennaio 2010

LE RECENSIONI
__________
Enrico Unterholzner
Lo stagno delle gambusie
– Euro 12,00

__________

www lankelot eu, 17.12.09
Geremia e’ all’apparenza uno dei tanti uomini soli e grigiastri che incrociamo quotidianamente per strada o al supermercato. Malgrado la fisicita’ invadente (centosette chili) la sua preoccupazione e’ restare invisibile. Non ama gli specchi per strada, non ama stare in mezzo alla gente e assolutamente odia che qualcuno si impicci delle sue cose. Fa l’informatico e nel suo lavoro e’ inappuntabile, puntuale, preciso, scrupoloso. Non ti aspetteresti nessuno slancio da uno cosi’.
Ma quando Geremia torna a casa e’ capace di grandi amori e di miracoli. C’e’ un regno, una terra di scontri e di battaglie nel suo appartamento. C’e’, perche’ lui l’ha chiamato alla vita. Ci sono due bellissime creature da difendere, ci sono armi e nemici letali. Varcata la soglia di casa Geremia diventa Parmio e Parmio e’ a capo di un fortino che protegge le vite fragili di Silfantea e Pamella, a qualunque prezzo.
(…)
(segue Unterholzner…)

_____________________________________
James Lee BurkeLa ballata di Jolie Blon – Euro 16,00
_____________________________________

nonsolonoir blogspot com, 17.12.09
“Sono cresciuto negli anni Quaranta, a New Iberia, giu’ lungo la costa del Golfo, e non ho mai messo in dubbio il modo in cui funzionava il mondo. All’alba, le case coloniali della East Main emergevano dalla nebbia, i portici ornati da colonne e i vialetti dei giardini e le verande umide di rugiada, i camini e i tetti d’ardesia segnati dolcemente dai rami delle querce che come un arco coprivano tutta la strada. Le carcasse delle navi affondate della Marina americana giacevano sui fianchi a Pearl Harbor e le stelle di servizio erano appese alle finestre di tutta New Iberia. Ma sulla East Main, nel chiarore illusorio dell’alba, l’aria era carica del profumo dei fiori notturni e dei licheni che crescevano sulla pietra umida, e dell’odore fecondo del bayou Teche, e anche se una stella di servizio d’oro era stata appesa alla finestra di una grande casa a indicare la morte di un membro della famiglia nell’esercito, l’anno avrebbe potuto benissimo essere il 1861 invece del 1942.”

Comincia cosi’ “La ballata di Jolie Blon”, opera tra le piu’ riuscite di James Lee Burke: con l’evocazione di un passato che sembra da tempo dimenticato. Ma la descrizione della Lousiana degli anni ’40, apparentemente paragonabile – avvolta com’e’ dal comprensibile alone mitico di ogni luogo della memoria – alla terra verde e rigogliosa del 1860, abitata da “bravi cristiani”, patrioti e gentiluomini del sud, non dura molto: concluso un antefatto che poi si rivela tale solo da un punto di vista temporale, perche’ e’ quasi scollegato dal seguito, l’autore passa alla “nuova” New Iberia, dipinta in tutta la sua miseria attraverso l’evocazione di un paio di omicidi, quello di una sedicenne di buona famiglia, legata sotto un albero, violentata e uccisa a colpi di fucile, e quello di una prostituta tossicodipendente. La falsa opposizione tra paradisiaco passato e decaduto presente, creata dai capitoli iniziali, ha vita breve: per risolvere il caso, Robicheaux dovra’ distogliere lo sguardo dal giovane, dolente bluesman Tee Bobby Hulin, presunto assassino delle due donne, per guardare indietro; e, nel farlo, non solo rivalutera’ (svalutera’?) il passato, sistemando vecchi ricordi irrisolti e afferrando meccanismi vigenti (ma per lui incomprensibili) all’epoca della sua infanzia, ma si trovera’ ad affrontare un temibile superstite: il vecchio schiavista Legion Guidry, emanazione prima del “male assoluto”.
E mentre lo scontro si fa duro, e gli assalti del diabolico Guidry diventano diretti e violenti, Robicheaux deve tentare di mantenere sotto controllo una banda di mafiosi italiani imparentati con la prostituta uccisa, accorsi in citta’ per indagare “in proprio”…

Il romanzo procede inesorabile, incidente dopo incidente, verso un “biblico” finale, e, intanto, quello che balza fuori dalle pagine, nel confronto serrato tra ferite passate e cicatrici presenti, tra antiche brutture e moderne crudelta’, e’ una profonda verita’ morale, un discorso sul male, sulla sua esistenza e immutabilita’; una riflessione che Burke affronta con grande serieta’, senza concedere al suo personaggio nessun tipo di scorciatoia: cosi’, grazie a una prospettiva fideistica popolar-hollywoodiana, a’ l’Ame’ricaine (e’ solo per merito del “soprannaturale” aiuto di un angelo straccione, che la vicenda si risolve positivamente), l’autore puo’ permettersi di chiudere senza introdurre un facile lieto fine e senza contrapporre una “violenza giusta” a quella, insopportabile del vecchio Legion.
Fabrizio Fulio-Bragoni
(segue Burke…)

_____________________________________
L.R. CarrinoPozzoromolo – Euro 15,00
_____________________________________

Corriere della Sera, 27.12.09
Luigi Romolo Carrino: memorie chimiche e violente da un manicomio criminale
Ci son tratti di continuita’ nella narrativa di Luigi Romolo Carrino, al suo primo vero romanzo con “Pozzoromolo”, avendo “Acqua Storta” (2008) movenze piu’ da racconto lungo. Torna, centrale, e piu’ cupo, il tema della “sofferenza” di chi vive una sessualita’ diversa: che in “Acqua Storta” colpiva a morte il figlio d’un boss della camorra improvvisamente scombussolato da un’attrazione omosessuale; e in “Pozzoromolo” narra del calvario per un protagonista dall’antifrastico nome di Gioia, la cui ibrida identita’ sessuale ne fa carne da macello, portandolo ad azioni che fatica a ricordare, oggi, a 39 anni, da quasi 25 in un ospedale psichiatrico giudiziario. Quanto alle opzioni strutturali, sostituite ad epigrafe le brevi riflessioni di “Acqua Storta” con poesie (“quando inizio un mese ci metto dei versi che mi significa una cosa nella bocca, che mi toglie per un momento le vespe dallo stomaco, che mi da’ l’infanzia di una cosa che so”), resta in “Pozzoromolo” il gusto per la scansione cronologica, con date qui pero’ dalle allucinate dilatazioni (51 marzo, 77 giugno). Ove pero’ alla manierata struttura recessiva del primo libro (l’io narrante risale dal lunedi’ conclusivo al venerdi’ precedente, per chiudere di nuovo sul presente), Carrino sostituisce la successione diaristica da gennaio ad agosto (quando Gioia si taglia i polsi); ripresa e conclusa al gennaio successivo, per cedere spazio a registrazioni ad uso medico. Pagine che hanno le discontinuita’ interne proprie di chi si confessa, in un manicomio criminale, spesso sedata, nelle cui parole si affacciano le situazioni piu’ diverse: d’un presente che la vede vivere e scrivere di notte sul pc tra filtranti luminosita’ della luna; passare dal letto di contenzione al respiro di un giardino con una quercia che pare farle da madre; muoversi tra squarci visivi del presente e del passato, detenuti o personale medico dai tratti anche materni (Anna) o conflittualmente paterni (dottor Mancuso). E d’un passato che riporta per squarci la sua fanciullezza: il padre sempre assente, la madre affamata d’uomini ma che Gioia non puo’ smettere di amare; separazione e trasferimento da Milano al Sud, dai nonni paterni, in una Irpinia devastata dal terremoto. Una vita di scarsa felicita’ e tanta sofferenza, propria di chi vive la duplicita’ sessuale che nella pagina si esprime indifferentemente col maschile e il femminile, e la porta nell’orrore quotidiano di violenze subite (sessuali dallo zio; d’ogni tipo dal lenone Mario, che ama) e date, di cui non ha sempre percezione chiara, e che dicono di morti, come il fratellino Luca durante un gioco; di Mario; dell’amante della madre squarciato con le forbici. Una storia dura, claustrofobica. Anche disomogenea, pur al di la’ d’uno stile che, nel ricorso ossessivamente paratattico, proprio sulla lingua punta per dare espressivita’ a una discesa nel demone di quel “Pozzoromolo” il cui tesoro e’ in realta’ la ridda delle dolorose, inconfessate, inconfessabili verita’ che portano alla pazzia. Una lingua sapientemente distribuita su vari registri dettati da farmaci, immaginazioni, consapevolezze. E che trascorre da infantilismi a ricercatezze retoriche, realismo, lirismo, dialetto e pure cadenze fiabesche.
Ermanno Paccagnini
(segue Carrino…)

www linsolito net, 21.12.09
Carrino e’ una lingua scritta a se’ stante. Sono letteralmente pazzo del modo in cui scrive. Unico. E’ uno di quei romanzi che ti incantano e ti prendono solo per il modo in cui le pagine ti parlano e ti entrano nella testa e nello stomaco. Se c’e’ qualcuno da indicare per il prossimo premio Strega (qualora tornasse ad essere un premio realmente meritocratico), e’ lui.
Christian Mascheroni
(segue Carrino…)

www recensionelibro it
Luigi Romolo Carrino: un autore da tenere d’occhio
Attraverso il passaparola e’ riuscito a farsi spazio tra i grandi autori con il libro “Acqua Storta”, adesso prova il bis con “Pozzoromolo” un romanzo sul lato oscuro della mente.
Dopo il fortunato romanzo di esordio “Acqua Storta”, Luigi Romolo Carrino ci conduce nella mente perversa di chi ha subito, ma non e’ riuscito a ribellarsi e per questo vive accartocciato sotto il peso di pensieri che non riesce a chiarire.
Non c’e’ consapevolezza oppure ce n’e’ troppa, in ogni caso e’ difficile capirlo quando la vittima di se stessa e’ una ragazza che ha l’anima sporca degli oltraggi altrui.
Gioia e’ una bambina che e’ stata rinchiusa in un manicomio criminale, dove viene divorata dalle ombre che escono dalla parete della sua stanza, mentre aspetta che le vengano date le medicine, quelle che le cancellano la memoria. Ma forse lei vorrebbe ricordare e non glielo permettono, per capire cosa le e’ successo, cosa deve ancora affrontare, perche’ e’ li’ e nessuno riesce a perdonare la sua pazzia.
Scene surreali si presentano davanti ai suoi occhi, vuoti colmati da immagini che sono proiezioni di una mente confusa. Tra incertezze e verita’, tra se stessa e quello che vorrebbe essere, fra quello che dimostra e cio’ che realmente e’, proseguono le giornate rinchiuse in quel posto oppressivo.
In realta’ Gioia e’ un ragazzo che non ricorda quale crimine abbia commesso e che cerca di capire e scoprire quale sia la verita’. Ed ecco allora la masseria, la luce calda del sole, e poi un padre che non c’e’, le punizioni subite, il corpo che viene maltrattato e usato, comprato dai clienti.
Gioia si sente donna e’ forse questo il suo peccato? Perche’ e’ nata uomo e si e’ sporcata le mani di sangue, dissetandosi dell’ambiguita’ di certi eventi che l’hanno spinta persino ad amare il suo carnefice?
Pozzoromolo dello scrittore napoletano Luigi Romolo Carrino, e’ un romanzo in cui aleggiano i fantasmi di un passato che inconsciamente cerca di sputare fuori la verita’, ma poi si reprime fino a rendere folle ogni gesto che si compie, cosi’ come tutto quello che si cela in un silenzio.
(segue Carrino…)

ferroetabacco blogspot com, 16.12.09
Ci vuole del tempo, ma non troppo per poter riprendersi e trovare le parole adatte per esprimere cio’ che lascia e cio’ che nutre la lettura di “Pozzoromolo”, ultimo romanzo di Luigi Romolo Carrino, che abbiamo conosciuto con il fortunato “Acqua Storta”.
Meridiano zero pubblica un racconto complesso che sfida colui che dal primo rigo e’ intrappolato dalla scrittura di Carrino: spezzata, sanguinante, viscerale, visionaria, cruda, sporca, ma soprattutto unica e nuova. In scena – perche’ noi vediamo quel che accade – c’e’ una persona che non conosce il mondo se non attraverso il graffio, la ferita, l’esclusione, la violenza, la rinuncia e la disperata ricerca di amore disinteressato, c’e’ una persona rinchiusa in un ospedale psichiatrico per i crimini che ha commesso e solo la scrittura permette a quest’individuo di riannodare i fili di quel che ha vissuto.
La sua scrittura, i suoi ricordi smozzicati e invocati ci feriscono e ci partecipano. C’e’ la vita ospedaliera con i suoi ritmi che goccia a goccia rendono i giorni sempre uguali eppure diversi sia per il contenuto delle memorie di Gioia, sia per i farmaci che rendono un essere umano un vuoto involucro incapace di reagire alle visioni notturne con le quali dialoga e dalle quali non puo’ difendersi perche’ il suo corpo e’ legato ad un letto.
Le pareti bianche di giorno sono uno spazio osceno di notte dove la madre, il padre, il fratellino e la paura sono messi in questione con volonta’ immensa, una volonta’ di comprendere la colpa inflitta, che eccede lo spazio della narrazione e diviene un nucleo di identita’ che crolla sotto il peso della ragione.
Un’Italia, quella del terremoto degli anni ‘80 e un contesto umano degradato incapace di osservare e comprendere un gesto che non sia della belva, quella che non conosce verbo, ma che sa dire io. Quest’Italia non c’e’ piu’ eppure insiste, le canzonette e una comunita’ agricola rara sono una delle cornici, dell’infanzia di Gioia. L’altra e’ la carne, perche’ e’ come carne che esiste l’uomo, come tessuto aderisce all’altro e stampa sulla propria pelle e nel proprio animo le parole che non abbiamo ancora conosciuto.
(segue Carrino…)

principeandrej.splinder.com, 27.12.09
C’e’ un po’ di “cognizione del dolore”; Ce’line, Bosch, ovviamente e tutti coloro che stanno da quelle parti. Il libro non lascia concessioni. Da leggere leggere leggere. Forse il piu’ bello del 2009.
(segue Carrino…)

_____________________________________
Laura LiberaleTanatoparty – Euro 10,00
_____________________________________

www linsolito net, 2.1.10
Il dolore della dipartita come arte estrema
Il potere seduttivo della morte
Una performer muore. Il suo corpo sara’ esposto, estrema unzione, come atto finale di un processo artistico che la donna, da viva, aveva nel suo imprimatur spirituale. Gli invitati, variegati, raccontano il loro legame con la defunta, le passioni che si attorcigliano, i misteri di amicizie appena accennate, i rituali carnali e intellettuali di un modo di percepire le cose concettualmente forte, sensuale, potenzialmente privo di limiti o pregiudizi.
“Tanatoparty” e’ il corrispettivo New Wave di un romanzo, banale ma vero, fatto di eros e thanatos. Trasgressivo nel contenuto, nella forma, nella sostanza, il primogenito di Laura Liberale, gia’ autrice di racconti, traduttrice, al lavoro su un nuovo progetto non dissimile da questo, e’ una riflessione cinica sulla sacralita’. Del corpo, del sangue, dei sentimenti, violati a piu’ riprese ma non per il gusto di trasformarsi in schlockmeister kitsch, piuttosto per valutare la portata socio-psicanalitica di un furore che non si placa neanche dopo la fine di tutto.
Laura Liberale e’, come l’oggetto della sua ossessione cartacea, musicista rock; suona il basso in un gruppo composto solo da scrittori. Ama Joy Division, Killing Joke e Bauhaus. conosce bene l’India e le sue filosofie. Ama le fucilate brevi, quelle che lasciano senza fiato, i colpi rapidi il cui segno sia indelebile. Perche’ tutto si puo’ dire di “Tanatoparty”, che sia troppo corto, che punti a scimmiottare la prosa ose’ di Isabella Santacroce, che faccia a priori del valicare i limiti la propria ragion d’essere; ma di sicuro e’ un’opera sincera e mai gratuita, che non passa inosservata.
A chi potra’ piacere un romanzo che entra nel dettaglio di tecniche come la conservazione dei cadaveri o la body art quasi esoterica? Domanda retorica, se si pensa agli affezionati fan di Nip/Tuck o Six Feet Under, ai cultori di surrealismo e dadaismo, ai fruitori del softcore intelligente, ai lettori che in una storia cerchino, principalmente, anima e sangue. Un romanzo difficile, complesso nonostante la mole ridotta, con ogni pagina contornata, letteralmente, da citazioni dal “Libro tibetano dei morti”. Un libro che potrebbe repellere o affascinare, o entrambi contemporaneamente, in un ballo infernale scatenato e languido.
Che il party abbia inizio.
Matteo Di Giulio
(segue Liberale…)

Mucchio, ottobre 2009
Nel suo primo romanzo “Tanatoparty” (Meridiano Zero), Laura Liberale immagina che un’artista passata a miglior vita diventi protagonista di un’installazione che la vede sulla scena. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Come le e’ venuta l’idea di un libro come “Tanatoparty”?
Certe tematiche fanno parte del mio immaginario da sempre. Le ho affrontate anche in altri scritti (oltre alla poesie anche in ambito indologico). Ho cercato di trovare delle risposte a interrogativi per me pressanti. Mi sono “curata” con la parola dopo la morte di mio padre e ho voluto offrire anche agli altri degli spunti di riflessione. In fondo “Tanatoparty” non e’ che un compianto.
Ecco, volevo proprio chiederle la sua idea sull’importanza del padre nella concezione della morte.
Del “padre” non so. In India c’e’ questa bellissima immagine di un divino femminile che e’, allo stesso tempo, fonte di vita e tremendo abisso di morte. Posso pero’ dirti dell’importanza di mio padre. Con la sua lucida consapevolezza e il suo coraggio mi ha dato una grande lezione. Mi ha mostrato con che dignita’ e radianza un uomo possa morire.
La protagonista del romanzo, Lucilla Pezzi, e’ morta. Un cadavere “congelato in un eterno presente per incarnare l’angoscia della post-modernita’”. Allarghiamo questa idea che mi pare interessante?
Allarghiamo pure. Allora: c’e’ una signora (di cinquant’anni suonati?). La conosce anche lei. E’ quella che ogni giorno trasale se il tempo le ha consegnato qualche nuovo segno sul corpo. E’ anche quella che si veste come sua figlia. Ma non puoi definirla vuota edonista, anche se non si fa mancare nulla. Se la tecnica puo’, la tecnica deve. Per cui la signora si fa congelare come un quarto di bue in un’apparenza stabile di giovanil turgore. Vede il tempo come il gran nemico.
La signora pensa che il barbone davanti al centro commerciale sia un’offesa insostenibile all’estetica. Che un morto sia brutto a vedersi, e guai a mostrare il papa’ malato al bambino. La signora si compiace intimamente della prestanza sessuale dei suoi ormai stagionati politici. Segno che il tempo si puo’ fregare, no? Ah. Ho detto “signora”, ma avrei anche potuto dire “signore”, con qualche piccola variante.
(segue Liberale…)

_____________________________________
Christian LehmannIl seme della colpa – Euro 13,50
_____________________________________

mauriziocrispi blogspot com, 17.12.09
I diversi volti della Medicina contemporanea nel crudo romanzo di Christian Lehmann
Per i tipi di Meridiano Zero e nella traduzione di Giovanni Zucca, ha visto la luce in edizione italiana Il seme della colpa del francese Christian Lehmann, inquadrato all’interno di una collana di noir, anche se – a mio avviso – ha poco del noir in senso stretto e sembra possedere piuttosto le qualita’ del romanzo-denuncia che, in questo caso, tocca i temi scottanti dei diversi volti della Medicina contemporanea divisa tra aspetti umanitari e pratiche di potere e violenza che ben poco hanno a cuore la salute del paziente, se non per “vetrina”.
La storia di Lehmann, egli stesso medico (pediatra) oltre che scrittore, mostra infatti il conflitto tra mondi diversi ed incompatibili nella pratica della Medicina odierna.
Da un lato, vi e’ lo zoccolo duro del lavoro silenzioso, senza gloria e con molti oneri, dei medici di famiglia che, se non si lasciano prendere dalla semplice burocratizzazione del proprio ruolo, sono costretti spesso a farsi carico di situazioni difficili e disperate, specie nel campo delle malattie degenerative di stadio avanzato e in quelle terminali.
Dall’altro, si riconosce in modo inequivoco la pratica della medicina come esercizio di potere, tipica di certi cattedratici e dei primari ospedalieri (almeno, di alcuni di essi), in cui cio’ che conta e’ la salvaguardia del proprio ruolo (tutelarsi sempre le spalle e il c***), e la possibilita’ di mietere riconoscimenti e benefit vari, mentre i loro collaboratori sono spesso gettati allo sbaraglio, costretti ad assistere impotenti a situazioni difficili o a dover fare salti mortali per sopperire a gravi carenze strutturali.
Infine, la terza realta’ e’ quella scintillante della Medicina mediatica, dei palinsesti che si occupano di problematiche mediche, di tutela della salute e/o di prevenzione, oppure di “casi” di malasanita’.
E’ questo un mondo scintillante (in cui cio’ che si presenta e’ sempre perfetto e all’avanguardia), ma nello stesso tempo crudele e spietato, quando va alla ricerca dei “casi” da esporre al grande pubblico (il battage mediatico attorno al caso Englaro ne e’ la prova).
Spesso i paladini di queste trasmissioni sono medici (specialisti e non) che hanno abbbandonato – o significativamente ridotto – la loro pratica professionale per entrare nell’universo mediatico.
E spesso si tratta di personaggi pronti a piombare come avvoltoi (o squali) sulla loro preda, che viene considerata cadavere ancora prima di esserlo, esibendo per far cio’ una falsa umanita’.
Spesso le apparenze ingannano e, in tali contesti, i processi mediatici vengono celebrati, prima che un un legittimo verdetto di colpevolezza sia emesso e provocando, a volte, degli effetti di linciaggio morale.
Prendendo spunto da un “presunto” caso di eutanasia, il romanzo di Lehmann ci mostra appunto questi intrecci in tutto il loro turpe squallore, gettando luce – tuttavia – sulla generosita’ e l’agire disinteressato di alcuni altri.
Maurizio Crispi
(segue Lehmann…)

lideablog wordpress com, 23.9.09
Ve lo devo confessare, io ho un problema. Quando entro in una libreria, reparto giallo/noir, inizio a scorrere i molti titoli di costa in cerca della M della Meridiano Zero. Non mi lascio scappare nessun suo gustoso nuovo o vecchio titolo. Chi ha portato in Italia il sopraccitato James Lee Burke? E Victor Gischler (occhio che a Novembre esce “Pistol Poets”!)? Vogliamo parlare di Angelo Petrella? Io 13,50 euro, se fossi in voi, li spenderei per questo libro. Potreste guadagnarci moltissimo e perdere tre birre al massimo. Ve le offro io.
(segue Lehmann…)

_____________________________________
Hugues PaganQuelli che restano – Euro 8,00
_____________________________________

www scanner it, 25.10.09
Una figura di spicco del noir transalpino come Hugues Pagan, e’ la dimostrazione palese di un talento che riverbera intensamente la sua scrittura nei paesaggi immobili della citta’ o della provincia, per esplicare un profondo senso di nero che si infonde nei rapporti dei protagonisti, avviluppandosi conscentemente con la storia: spettro di rimossi o rimorsi che trovano il gesto assolutorio di un grido. In questo libro che e’ il secondo episodio del ciclo inaugurato con Dead end blues, Chess e’ un ex sbirro dell’Usine con l’anima piena di cicatrici e gli occhi persi nel fondo di una bottiglia di rhum, ma la morte la fiuta meglio di chiunque altro. E quando Fortune, il magnaccia della prostituta massacrata, gli chiede di trovare l’assassino, accetta l’incarico con l’istinto da cacciatore di taglie. Un’indagine ombrosa condita da un amore malinconico pregnante per Dinah, una donna divisa tra l’imposizione fredda della polizia parigina e il grande desisiderio di sentirsi importante per l’uomo che ama ancora. Sara’ lei a sostenere Chess in questo percorso doloroso, alla ricerca di un colpevole che sfugge a pochi passi da lui. Se il blues e’ il canto del male che affoga nelle prime luci dell’alba, fa da contorto a una citta’, Parigi, popolata da criminali da due soldi e dove la corruzione alberga anche nella Polizia. Una metropoli trasfigurata come un palcoscenico dove va in scena una corsa violenta lungo gli abissi contorti di un inferno urbano. Una scrittura profondamente nichilista nel suo sguardo tetro che non lascia sconti per questa umanita’ persa lungo le maglie strette del destino. Un piacere riscoprire pagina dopo pagina la caratura di uno scrittore capace di ammaliarti per la sua calibrata precisione nel condurci in un ambiente, tra parole e azioni intrise di umana debolezza.
Matteo Merli
(segue Pagan…)


Letto 2041 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart