LIBRI IN USCITA: Meridiano Zero
19 Luglio 2009
blog: <<http://meridianozer0.blogspot.com/
Facebook: <<http://www.new.facebook.com/group.php?gid=52109261408
_____________________________________
NUOVA CENA CON MERIDIANO ZERO
Il 25 luglio ci sara’ una nuova cena con l’editore e la redazione di Meridiano zero, al bistrot LA TABLE di Via Tiziano Aspetti n. 7 (a fianco della casa editrice).
Prezzo indicativo 25,00 Euro.
Vi preghiamo di prenotare i posti.
_____________________________________
LE NOVITA’
Anatole France – LA RIVOLTA DEGLI ANGELI – Euro 9,00
Edizione a cura di Roberto SAVIANO
“IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA INCHIODA DIO ALLE SUE IRRIMEDIABILI COLPE”.
(Roberto Saviano)
“Il Dio vinto diventera’ Satana, io, Satana, da vincitore diventero’ Dio. Possa il destino risparmiarmi questa sorte spaventosa! Io amo l’inferno che ha formato il mio genio, amo la terra dove ho fatto un po’ di bene, se e’ possibile farne in questo mondo terribile.”
Su Parigi piovono angeli. Ogni giorno qualche puro spirito, disgustato dalla monotonia della beatitudine, abbandona il cielo, s’incarna e vive come un parigino di inizio ‘900 (e’ questa l’epoca del romanzo). Non sono messaggeri divini, ma personaggi alla Wim Wenders: hanno deciso, come i suoi angeli sopra Berlino, che e’ piu’ interessante cavarsela da soli sulla terra piuttosto che durare eternamente nella contemplazione divina.
Un avido banchiere, un musicista bohemien, un’anarchica affascinante: sono tutti angeli, anche se nessuno fra gli uomini lo sospetta. E’ una sorta di invasione degli ultracorpi, pacifica fino a quando Arcade, bellissimo angelo custode, non concepisce un folle progetto: rovesciare Dio, ripetere l’impresa tentata da Lucifero prima che il tempo avesse inizio. Sono stati i libri a perdere Arcade: ne ha divorati a migliaia nella biblioteca del suo custodito, il giovane aristocratico Maurice d’Esparvieu. Tanta scienza gli ha insegnato che il mondo non e’ la valle di lacrime descritta dai preti e ha suscitato in lui un’inestinguibile sete di vendetta contro il Dio uno e trino. Ma a Parigi e’ difficile pensare solo alla guerra: ci sono troppe belle donne disponibili ad avventure galanti; ci sono i loro innamorati da sfidare a duello; c’e’ la polizia da cui scappare, perche’ per un angelo e’ facile essere scambiato per un rivoluzionario…
In un’atmosfera molto francese di tranquilla amoralita’, sotto l’impero della galanteria, France svolge una trama divertentissima, ma composta delle questioni piu’ serie: la guerra in cielo e’ un trasparente riferimento al massacro del 1914; l’arrogante Dio della Bibbia e’ il simbolo della spietatezza di ogni potere. “La rivolta degli angeli” racconta, con linguaggio rapido e secco, “cose tali da far arrossire non solo un carrozziere, cio’ che non e’ dir molto, ma persino una parigina!”.
La prefazione di Roberto Saviano e le illustrazioni originali di Carlegle del 1925 fanno del libro un autentico gioiello.
(recensioni LA RIVOLTA DEGLI ANGELI)
Ennio Kitterlegnosky – CHRISTMAS PULP – Euro 12,00
KITTERLEGNOSKY: IL DRUGO DALLA SCRITTURA MESCALINICA
A Kitterlegnosky non piace il Babbo Natale che conosciamo tutti, quello che arriva il 24 dicembre, con la risata bonaria, le guance rubiconde e i bambini sulle ginocchia.
Lui preferisce immaginarlo a Ferragosto, su una panchina scrostata, con i bermuda sbrindellati, il fisico appesantito da vecchio clochard, e due borse sotto gli occhi figlie di notti selvagge e alcol. Sotto l’ombrellone vi raccontera’ di crocefissi in fiamme stipati di coca e di madri che chiedono aiuto con un coltello a serramanico in pugno.
Meglio non far avvicinare i bambini.
Christmas pulp ha un’unica vera protagonista: la perdita dell’innocenza. Una raccolta di personaggi divertenti e grotteschi, surreali e dissacranti. Sospeso nella piu’ pura assenza di sensi di colpa, sventaglia mitragliate di comicita’ sgangherata e irresistibile. Il suo stile abrasivo brucia come un bicchiere di tequila liscia buttata giu’ d’un fiato.
Veloce e sorprendente, il piglio sicuro di Kitterlegnosky trascina in guai senza scampo dei poveri diavoli pronti a sfracellarsi alla corsa dei carretti o a sequestrare Gesu’ Bambino, pur di trovare un briciolo di fortuna.
Il lato davvero comico della malasorte degli ultimi.
(recensioni CHRISTMAS PULP)
_____________________________________
LE RECENSIONI
_____________________________________
Harry Crews – LA FIERA DEI SERPENTI – Euro 13,50
omardimonopoli.blogspot.com,
Una volta all’anno la popolazione di Mystic, Georgia, si cimenta in cio’ che mostra anche uno dei migliori episodi dei Simpsons: quello in cui l’intera cittadina di Homer si dedica alacremente alla caccia al crotalo in una (per noi) inconcepibile Festa delle Mazzate. Dimenticate pero’ lo scanzonato humor dei “gialli” (con tanto di happy-end canterino assieme a Barry White). Qui l’atmosfera si fa subito malsana e i litri di whiskey scadente che scorrono (“ammazzato con la birra”, tanto per gradire) aiutano il lettore a mettere subito a fuoco una realta’ profondamente violenta, oscurata da convinzioni squallide e bifolche. Harry Crews, con questo suo romanzo breve (“La fiera dei serpenti”, Meridiano zero), ci trascina nell’angoscioso sfogo annuale di una tipica provincia americana del sud, mostrandoci un’umanita’ desolata e desolante, priva di un vero scopo e intrappolata in una cittadina che si trova in Georgia ma potrebbe benissimo essere nel Texas dei primi del ‘900 di Jim Thompson o in quello piu’ recente di Lansdale: posti in cui le ambizioni franate e i sogni irranciditi ricoprono ogni cosa d’una insopportabile patina di sconforto. E cosi’ nulla e’ edificante, per gli indigeni: non i rapporti familiari, sacrificati alla piu’ bieca violenza domestica; non il sesso, sempre accompagnato da un alone sporco; ne’ l’amore: destinato a provocare solo travasi di bile privi di cura. Il romanzo e’ un bel viaggio allucinato fino all’epilogo finale, in cui il sangue scorre a fiumi (e non solo quello dei serpenti). Lo stile e’ diretto e asciutto (ma lavorato al cesello), il linguaggio scurrile, con numerosi passaggi destinati a possessori d’uno stomaco in grado di sopportarlo. Per chi ama i viaggi a fari spenti nelle regioni piu’ buie dell’animo umano.
Omar Di Monopoli
(recensioni LA FIERA DEI SERPENTI)
_____________________________________
Chester Himes – CORRI, UOMO, CORRI! – Euro 14,00
lconti.com, 28.4.09
Qualche mese fa avevo parlato di Chester Himes e del suo fantastico “Corri, uomo, corri!”, da me tradotto per la vecchia Giano e uscito nel 2005, ma da tempo fuori catalogo. Si tratta di uno dei romanzi fondamentali di un grandissimo scrittore americano, al di la’ di ogni etichetta di genere, come sa benissimo chi ha letto “Vite difficili” di James Sallis, uno dei suoi massimi estimatori e studiosi (nonche’ biografo ufficiale). Sono felice di annunciare che il romanzo torna finalmente disponibile in libreria grazie alla lungimiranza di Meridiano Zero, e riporto di seguito i risvolti di copertina (che per questa edizione ho scritto io, quindi di piu’ non potevo davvero fare…). Un ringraziamento doveroso va a Marco Vicentini e al suo vulcanico ufficio stampa Matteo Strukul. Harlem rules!
Testimone involontario di un duplice, brutale omicidio a sangue freddo, il giovane studente nero Jimmy Johnson – che lavora come inserviente notturno in una tavola calda di Harlem – diventa a sua volta bersaglio dell’implacabile assassino, un agente di polizia corrotto e ferocemente razzista che vive in uno stato di perenne ubriachezza. Teatro di questa convulsa caccia all’uomo e’ una Harlem surreale e iperrealista, una sorta di girone dantesco i cui abitanti si dividono tra cattivi e ancor piu’ cattivi, oltre che una Manhattan mai cosi’ ostile e impenetrabile, pronta a respingere chiunque bussi alle sue porte in cerca d’aiuto. E l’apparente lieto fine con cui si conclude la vicenda nasconde invece un terribile doppio fondo in cui il cinismo e il pessimismo cosmico dell’autore trovano, per l’ennesima volta, la loro conferma.
Spremendo fino all’osso uno dei piu’ antichi luoghi comuni del thriller, l’innocente in fuga braccato dalle forze del male, Chester Himes confeziona in questo romanzo una delle sue messinscene piu’ macabre, i cui frequenti elementi di tragicommedia non fanno altro che rinforzarne la visione apocalittica e il nichilismo portato alle estreme conseguenze, soprattutto per quanto riguarda il perverso rapporto tra bianchi e neri. A partire dal magistrale, lunghissimo alternarsi di piani sequenza che apre il romanzo, settanta pagine di fulminante adrenalina che alternano il punto di vista dell’assassino e delle sue vittime, per poi focalizzarsi definitivamente sul testimone in fuga, Himes organizza una folle gimcana per le strade, le case e i locali della metropoli newyorkese ma allo stesso tempo, pur nell’angoscia della caccia, riesce a dipingere un minuzioso quadro della vita quotidiana nella Harlem degli anni Cinquanta, in un brulicante turbinio di cabaret equivoci, bische clandestine, botteghe di barbiere e stazioni di polizia: un mondo popolato da personaggi grotteschi e dominato dall’avidita’ e dal disprezzo, un sabba infernale in cui la differenza tra gli uomini e’ fatta dai soldi e dal colore della pelle.
Chester Himes, nato a Jefferson City (Missouri) nel 1909 da una famiglia della media borghesia nera e scomparso in Spagna nel 1984, fin da adolescente ha avuto grossi guai con la giustizia – truffe, emissione di assegni a vuoto, furti d’ogni genere – che culmineranno, nel 1929, con una condanna dai venti ai venticinque anni per rapina a mano armata. E’ in carcere, all’inizio degli anni Trenta, che inizia a scrivere e pubblicare (firmandosi, all’inizio, col numero di matricola) e nel 1936, al suo rilascio, decide di intraprendere la carriera dello scrittore, pubblicando alcuni notevoli romanzi a sfondo sociale che non ne decreteranno pero’ il successo.
Amareggiato e in serie difficolta’ economiche, costretto ad accettare una serie di lavori saltuari e di bassa lega pur di sbarcare il lunario, nel 1952 Himes parte per l’Europa, dove trascorrera’ il resto della sua tormentata esistenza, rientrando negli Stati Uniti per brevissimi periodi e non piu’ di un paio di volte.
Himes e’ autore di diciassette romanzi, uno dei quali rimasto incompiuto, che appartengono in prevalenza al cosiddetto “Ciclo di Harlem” che gli ha dato la celebrita’ e tra cui ricordiamo “Rabbia a Harlem”, “Cieco, con la pistola”, “Soldi neri e ladri bianchi”.
Luca Conti
(recensioni CORRI, UOMO, CORRI!)
_____________________________________
James Lee Burke – SUNSET LIMITED – Euro 9,00
www. repubblica.it
“Un’alba come questa l’avevo vista solo due volte in vita mia: la prima nel Vietnam, quando durante una missione notturna una granata a frammentazione era sbucata dal terreno e mi aveva azzannato le cosce con i suoi tentacoli di luce; la seconda, anni prima, nei paraggi di Franklin, Louisiana, quando io e mio padre avevamo scoperto il corpo di un sindacalista che era stato crocifisso alle caviglie e ai polsi, con chiodi da sedici centesimi, contro la parete di un granaio”. Benvenuti a New Iberia, Lousiana, nel mondo del detective Dave Robicheaux. Benvenuti all’inizio di “Sunset Limited”, quando il passato di Robicheaux torna a farsi vivo all’alba e incontra la figlia di quel sindacalista, giornalista premio Pulitzer, che gli porta un caso su cui indagare. Anche se oggi si cerca di etichettare tutto come noir, questo e’ un noir. Perché c’è una grande discrimante per capire il noir. L’autore che crede di scrivere un noir descrive quello che il protagonista e’ o vorrebbe essere, i suoi tic, la sue disavventure, il suo nichilismo, gli immancabili omicidi mettendo insieme tutti gli elementi che ritiene far parte del noir. L’autore che scrive un noir invece non descrive i suoi personaggi. Semplicemente li fa agire. Mescolandole, come tanti colori, le azioni danno il nero. Per questo “Sunset Limited” è un noir.
Dario Olivero
(recensioni SUNSET LIMITED)
_____________________________________
Oddone Longo – GALILEO GALILEI, L’uomo che contava le stelle – Euro 12,00
www. lankelot.eu, 11.7.09
Pamphlet di un decano dell’Universita’ di Padova, il Professor Longo, letterato e storico veneto classe 1930, “Galileo Galilei. L’uomo che contava le stelle” e’ strutturato in nove capitoli, da considerare – stando alle autoriali istruzioni per l’uso – un invito alla lettura degli scritti di GG: un percorso di lettura, non un trattato o un manuale, da seguire assecondando le proprie inclinazioni e le proprie curiosita’, senza paura di saltare un capitolo o un altro: ogni capitolo e’ autosufficiente, assicura l’autore.
L’opera di Longo parrebbe destinata, quindi, a lettori liceali o a giovani universitari o a semplici curiosi autodidatti, magari semplicemente desiderosi di un primo assaggio del senso, dei significati e della portata del pensiero di Galileo nel mondo: si parte da qualche notizia sul suo capolavoro (1632) “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano”; non mancano scolastiche spiegazioni di entrambi i sistemi, e notizie sull’espulsione dal dialogo del terzo “massimo sistema”, quello del danese Tycho Brahe, caro ai gesuiti del Collegio Romano e niente affatto simpatico al nostro scienziato (che rifiuto’ di incontrarlo e di rispondere alle sue lettere, attorno al 1600). Longo accenna alle difficolta’ “politiche” dei gesuiti di fronte alle loro recenti responsabilita’ storiche (l’assassinio di Giordano Bruno): per inquisire Galilei senza diventare oggetto d’odio in tutta Europa – il massacro di Bruno era avvenuto soltanto nel febbraio 1600 – dovevano puntare sull’abiura e sulla condanna non al rogo, ma al carcere perpetuo. Sottigliezze.
Nel capitolo secondo, si racconta dei “flussi e reflussi in laguna”, a Venezia, e del grande interesse del Pisano per questa tematica: si discute delle maree, a partire dalle considerazioni di Pitea di Marsiglia e Eratostene di Cirene (IV e III secolo a.C.), sino a spiegare perche’ le maree fossero centrali nei pensieri di Galilei: “cio’ che gli premeva era acquisire una prova attendibile che, diversamente da quanto sosteneva la scienza del tempo, la Terra non posava immobile al centro del mondo, e che il Sole, i pianeti e gli altri astri non ruotavano intorno a essa”.
Nel capitolo terzo, si discute di macchie solari: nel Seicento, la loro natura era controversa e derivava da preconcetti cosmologici. Galileo, fondandosi sulle sue prove osservative, poteva interpretarle e considerarle diversamente: Longo racconta del suo confronto-scontro dialettico col gesuita tedesco Scheiner, e della sua vittoria.
Nel capitolo quarto, si discute di “misteri delle comete”: problema complesso nell’epoca in cui la Terra doveva restare al centro del mondo, perfettamente immobile (come un buon democristiano), per far felice la Romana Chiesa. Galileo riesce nell’impresa di proporre una propria teoria cometaria coerente riuscendo al contempo a screditare l’avversario.
Nel capitolo quinto, si parla di stelle: a partire dalle catalogazioni antiche (Claudio Tolomeo, II secolo dopo Cristo: ne contava 1022; Ipparco di Nicea, 1088; ancora Copernico restava a quota 1022, nel 1735 saremmo arrivati a 3000) sino all’impegno di Galileo nel misurarne le distanze, sino all’assunzione di un punto qualsiasi dell’universo, e non del centro della Terra, come “point de repe’re da cui misurare le distanze dei corpi stellari: un’intuizione che precorreva di secoli un’astronomia e una cosmologia tutte di la’ da venire”.
Nel capitolo sesto, si parla del sistema solare: del nuovo strumento di Galileo, il cannocchiale, “capace di ingrandire di parecchie volte, e di avvicinare all’osservatore, gli oggetti piu’ lontani. Vi aveva lavorato partendo da un modello giunto dall’Olanda, e via via perfezionandolo e potenziandone le caratteristiche. Ma nessuno prima di lui se ne era servito per osservare il cielo stellato”. E cosi’, ecco i suoi rilievi lunari; i suoi rilievi su Venere, Marte, Giove e Saturno; sino all’intuizione di Nettuno.
Nel capitolo settimo, si parla delle scoperte astronomiche avvenute nell’inverno 1609-1610: dei satelliti di Giove, del “Sidereus Nuncius”, e della sua accoglienza (ingiunzioni a rinnegare del Sant’Uffizio incluse); nell’ottavo, si discute dei percorsi indipendenti e a volte divergenti di Galileo e Keplero, incluse le solite renitenze del Pisano ai dialoghi (epistolari in primis). Infine, nel nono, si racconta del famoso Processo a Galileo. “Abiurando” scrive Longo “che e’ come dire rinnegando se’ medesimo e quanto fino allora egli aveva compiuto, e salvando con cio’ la vita, anche se a prezzo della perpetua reclusione in una gabbia dorata come la casa di Arcetri, egli porto’ avanti fino agli ultimi giorni la sua battaglia per la riforma del sapere umano”.
Galilei e’ un patrimonio della letteratura italiana e della scienza mondiale. Questo sentito omaggio, scolastico e semplificato, pensato per un pubblico relativamente mainstream, e’ un atto dovuto e apprezzabile. Onestamente, avrei preferito una magnifica, abnorme e intelligentemente pettegola biografia romanzata di uno scienziato e di uno scrittore che ho piu’ volte incontrato, come ognuno di noi, nei miei studi: questo bignami di livello e’ un’anomalia rispetto al pattern delle edizioni Meridiano Zero ma rimane un prodotto di onesta qualita’ e di ottima cura editoriale per quanti volessero avvicinarsi a un’intelligenza che, secoli addietro e per sempre, ha saputo cambiare la storia del pensiero.
Gianfranco Franchi
(recensioni GALILEO GALILEI)
_____________________________________
Carl Hiaasen – CROCODILE ROCK – Euro 17,50
Mucchio, luglio 2009
Una rockstar in disuso muore in maniera apparentemente accidentale alle Bahamas. A Jack Tagger, io narrante di questo esilarante noir-rock, tocca fare il necrologio (coccodrillo, in gergo giornalistico). Siamo in Florida, Jack scrive sull’Union-Register. A 46 anni fa ancora il lavoro di un debuttante perche’ si e’ messo contro l’editore, un magnate fighetto al quale di giornalismo e cultura non importa granche’. Jack vive in uno stato di denutrizione affettiva e delusione professionale; inoltre e’ affetto da un’ossessione tipica di chi si occupa di coccodrilli, quella di morire alla stessa eta’ di persone famose. Ma quando ha per le mani il necrologio dell-ex rockstar Jimmy Stoma, quel Jimmy Stoma degli Slut Puppies, la vita gli fa clic. Perche’ gli succede tutto in una volta. Scopre di essere innamorato – ricambiato – di Emma, suo caporedattore. Entra in un intrigo musical-criminale mozzafiato, nel quale la vedova del defunto, “non favorevole ai lutti prolungati”, e’ un’aspirante divetta da MTV, nota anche come YouPube per la sua attitudine a servirsi di doti varie. Entra in un possesso di un misteriosissimo master su cui e’ registrato il nuovo lavoro del vecchio rocker, che doveva rappresentare il suo gran ritorno sulle scene. Subisce effrazioni e aggressioni in casa, difendendosi memorabilmente con un varano congelato. Se la batte con un ambiente di perverso arrivismo, da eroe disarmato in stile Big Lebowski, contro produttori, guardie del corpo e musicisti alla deriva. Senza poter anticipare piu’ di tanto sulla trama che e’ ottimamente congegnata, ricca di suspense e insieme di humour (ma sappiate almeno che si puo’ morire per una canzonetta), possiamo pero’ assicurarvi che la lettura del nuovo Hiaasen e’ uno spasso. Dialoghi felicissimi, grazie anche alla scoppiettante traduzione di Marco Vicentini, naturale simpatia (“credo che se me la facessi addosso non sarebbe una reazione del tutto inappropriata”; “mi addolora che ti sia stato concesso piu’ tempo che a John Lennon, ti sembra giusto?”).
Quando ti imbatti in una lettura cosi’ divertente come “Crocodile Rock”, c’e’ solo da incartare, dire grazie e portare a casa.
Gianluca Veltri
(recensioni CROCODILE ROCK)
_____________________________________
Hugues Pagan – IN FONDO ALLA NOTTE – Euro 13,50
Film TV, 29.3.09
Il sole non e’ per loro
Il migliore amico di Mat, poliziotto della Brigata Criminale, e’ un bandito. E gli propone un colpo facile, sicuro, pulito. Finisce come deve finire: male. Mat e’ Gerard Depardieu, l’amico e’ Olivier Marchal, regista, a volte attore. Il film si intitola “Diamant 13”, lo dirige Gilles Behat (Marchal sceneggia), per ora e’ inedito in Italia. Ci interessa perche’ e’ tratto da un classico del polar, “Dead End Blues” di Hugues Pagan, editro in Italia da Meridiano zero.
Personaggio tragico pagan, come solo il poliziotto francese sa regalare, sempre al confine tra realta’ e immaginario, gloria e abisso. Ex poliziotto nato in Algeria (come spesso i protagonisti dei suoi libri), denuncio’ la corruzione del dipartimento e fu costretto ad andarsene, per evitare le ritorsioni dei colleghi. La sua esperienza e’ diventata letteratura, vicina, per ispirazione e stile, a quella di Derek Raymond, in Francia piu’ noto con il nome originale di Robin Cook. Non a caso al centro delle sue storie c’e’ un’Usine (la questura), come nella Londra di Raymond una Factory. Non fa eccezione In fondo alla notte, esordio dello scrittore solo ora pubblicato da noi, ottimamente tradotto da Valeria Caredda.
Ex poliziotto sulla cinquantina, Jacques Cavallier ha lasciato in fretta e furia il 36 Quai des Orfe’vres e si e’ rifatto una vita in provincia, improvvisandosi cronista per un quotidiano locale. Una strepitosa fanciulla, Anita, si innamora di lui e se lo mangia sessualmente vivo, ma la felicita’ ha il suo prezzo, e presto chiede il conto. Come in “Dead End Blues”, e’ un vecchio amico a tramare nell’ombra, e Jacques si trova catapultato in un intrigo nero come la notte senza sapere perche’. Viene accusato di omicidio, qualcuno gli “regala” trecentomila franchi, lo picchiano, gli sparano addosso, lo arrestano, sullo sfondo del peggior tradimento che si possa immaginare.
Viene in mente James Woods davanti a Robert De Niro alla fine di “C’era una volta in America”: “Io ho rubato la tua vita, Noodles”. Cavallier conosce le regole del gioco, e non si illude piu’ di tanto: “Ero soltanto quel ‘riverbero di ricordi’ di cui parlava Ce’line, all’angolo di una strada in cui non passava piu’ nessuno”. Mitologia del fallimento e tradizione del polar al cento per cento. Questo promette Hugues Pagan e questo mantengono i suoi libri.
Mauro Gervasini
(recensioni IN FONDO ALLA NOTTE)
_____________________________________
Buddy Giovinazzo – LA LUNGA NOTTE DI BERLINO – Euro 15,00
www. sugarpulp.it
Newyorchese, classe 1957, Buddy Giovinazzo esordisce regista con “Combat Shock” (per la mitica Troma), e basta guardare un paio di trailers presenti in rete, per fiutare quale sarebbe stato il genere congeniale al nostro, gia’ dal 1986. Quarto lavoro letterario e primo edito in Italia, “La lunga notte di Berlino” e’ stato scritto ed ambientato interamente nella capitale tedesca, dove l’autore per qualche anno si e’ trasferito. La vicenda narra delle intenzioni di un boss americano di espandere il proprio impero nella Berlino della ricostruzione post 1989. A sondare il terreno vengono spediti due uomini di fiducia, e guadagnare la fiducia di Riccardo Montefiore e della sua insidiosissima consorte Lucretia non e’ cosa semplice. La coppia letale, inconsapevole della portata dell’affaire di cui rappresenta l’avanguardia, si ritrovera’ ben presto a fare i conti con i rivali russi. Il primo dei due, Tony (il nostro uomo), e’ il classico anti eroe, freddo, violento, ironico; l’altro, Hardy, e’ un cane rabbioso, da tenere strettamente sotto controllo, poco gestibile e perverso, con la passione per le preadolescenti, alle quali, quando va bene, si limita a staccare qualche capezzolo a morsi. Nel primo conflitto a fuoco in cui si trovano coinvolti sul posto, Tony uccide, in una circostanza in cui e’ quasi obbligato a compiere il gesto, la quattordicenne figlia del temibile avversario sovietico di Montefiore, Rudiyov. Sara’ il momento dal quale in Tony cambiera’ il modo di vedere le cose, infatti non portera’ a compimento la missione successiva, in cui risparmiera’ per la prima volta una sua potenziale vittima; complice del rinnovamento l’incontro con una ragazza del posto che risvegliera’ in lui sentimenti che pensava di aver messo definitivamente da parte. Ma l’assassinio dell’adolescente sara’ anche il gesto che scatenera’ una vera e propria guerra tra i due clan (per Hardy, l’Armageddon), a colpi di efferatezze decisamente pulp (una su tutte: un appartamento ritinteggiato dai russi col sangue delle vittime). Dagli USA giungeranno rinforzi, nonche’ Montefiore e consorte in persona, ma la letteratura e la cinematografia recenti, ci hanno insegnato che per la mafia italoamericana sono tempi duri, i russi non scherzano affatto. La scrittura e’ piacevolmente fruibile, con balzi temporali all’indietro che si alternano al contesto berlinese in modo repentino, lasciando spiazzato il lettore, ma solo per pochi secondi. Insomma un hardboiled molto cinematografico, il produttore/regista britannico Tony Scott, dovrebbe ricavarne un film. Speriamo che non sia Buddy a dirigerlo, propendiamo per le sue doti di mirabile intrattenitore di amanti del noir.
Michele Fiano
(recensioni LA LUNGA NOTTE DI BERLINO)
_____________________________________
Angelo Petrella – NAPOLI NERA – Euro 7,00
www. lankelot.eu, 5.7.09
In tascabile, sette euro soltanto, un’iniezione di male, di cattiveria e di personalita’; in due dosi. Si tratta dei primi due romanzi di Angelo Petrella, artista napoletano classe 1978: ecco “Napoli nera” (Meridiano zero, 2009), composto da “Cane rabbioso” (2006) e “Nazi paradise” (2007). Petrella si direbbe portato alla descrizione di personaggi cattivi, sbagliati, corrotti o stupidi; nel primo caso, “Cane rabbioso”, si tratta di uno stravagante poliziotto-scrittore, dissestato e violentissimo, drogato (eroina, alcol, tranquillanti, antidepressivi, sigarette francesi, cocaina), erotomane (ha raptus da pazzo), assassino e scocciato; nel secondo, “Nazi paradise”, si tratta di un giovane hacker partenopeo, skinhead di un gruppo di nazistelli, collaboratore della polizia (controvoglia), ultras di una frangia di teppistelli e erotomane alienato (chat).
Elementi in comune ai due romanzi: la rappresentazione, limpida e naturale, del sottoproletariato culturale o del proletariato culturale; la narrazione decisamente americana, cinematografica o fumettara – dipende dai punti di vista – delle (semplici) trame; il lessico, volgare, triviale e volutamente sciatto, macchiato qua e la’ da qualche tecnicismo proveniente dall’informatica (“Nazi paradise”) e da periodiche bestemmie, e’ sempre e comunque prossimo al parlato. Ancora: la natura performativa dei testi, che sembrano entrambi nati per la traduzione filmica o per la lettura dal vivo; la concentrazione autoriale sulla scrittura, e non sull’introspezione dei personaggi o sulla loro profondita’ psichica (nulla); l’estraneita’ assoluta, infine, alla letterarieta’. Il termine “estraneita’ assoluta” non e’ mai stato speso tanto bene come nel caso di “Cane rabbioso”.
E’ un romanzo di una ferocia e di una cattiveria espressiva probabilmente senza precedenti. E’ cupo, nero, irrimediabile: neanche disperato, disfatto. Disgregato. Ecco il principio della giornata del narratore: “Il telefono di casa inizia a squillare alle 6.55. Mi convocano direttamente in questura. Ho paura che sappiano qualcosa. Mi svesto, tiro una striscia di coca prima di andare al cesso verso le 7.13. Sara e’ uscita col cane. Mi faccio una prima doccia alle 7.22 e tiro una seconda striscia di coca. Prendo il caffe’ e mi accendo una gauloise alle 7.25, mi faccio una seconda doccia e sono indeciso se tirare o no una terza striscia, poi ci ripenso, mi vesto e ingoio un Valium con un sorso di rhum”.
E con questa stessa allucinante freddezza, questa incapacita’ di partecipazione che non sia filtrata tramite ogni genere di droga, il poliziotto descrive fellatio, pestaggi, furti, colpi di sonno post eroina, omicidi, “indagini” (le virgolette sono d’obbligo). E’ uno stile incredibilmente maligno, nevrastenico, prossimo al rasoterra nelle scelte lessicali, poggiato su un ritmo incalzante sino a essere forsennato, tutto un “dico-dice-dico-dice” nei dialoghi (e non e’ un’invenzione di Petrella, va da se’, ma questo non ha importanza): l’autore s’e’ concentrato sulla possibilita’ che le parole troia, pompino, merda, cazzo, coglioni, “ok” e simili possano essere la maggioranza assoluta nel romanzo senza che i lettori sentano il desiderio di tirare un ricco collo pieno al libro, spazzandolo fuori dalla finestra. Si’, Petrella, missione compiuta. Ho capito il gioco, l’ho apprezzato, sento una rabbia terribile, stupenda e micidiale nella tua scrittura, e una gran bella intelligenza, capace di sprofondare nel male – e a quanto pare di uscirne viva, e intatta – e confido che il terzo passo, la tua “Citta’ perfetta” (Garzanti, 2008) sia un grande libro. Auspico che magari, dopo esserti preso gioco delle forze dell’ordine e degli estremisti di destra (“Nazi paradise”), tu riesca a prenderti gioco – a fare satira cattiva, corrosiva, cancerosa – della gente dei centri sociali, che nel secondo romanzo chiami “pestoni”: le zecche. E’ un libro di cui sentiamo tutti un enorme bisogno, e siamo pronti ad accoglierlo con vero amore. Pensa soltanto alla questione dei finanziamenti dei vecchi partiti.
**
“Nazi paradise”, al di la’ di qualche ludica e divertente presa per i fondelli nei confronti dell’ambiente proletario (da tutti i punti di vista) degli skin – in questo caso, naziskin e non redskin – poggia su un tentativo di intreccio piu’ curato, su un’attenzione alla scrittura meno maniacale (ma non senza giochini autoreferenziali, rimandi interni e via dicendo), su una buona descrizione del territorio napoletano (e delle manifestazioni di piazza) e sulla solita, terrificante rabbia nei confronti di quelli che l’artista sente come nemici. Laddove Petrella ha individuato il male, allora sa che va caricato e sovraccaricato a oltranza, sino al parossismo. Nemmeno un’ombra di bene, nemmeno un’ombra di giustizia o di contrasto – niente che non sia caricaturale. Finalmente c’e’ uno scrittore che ha in canna la parola “male assoluto”, e sapra’ farla incarnare nella sua narrativa, sfogandosi a tutto spiano e mantenendo ritmi capaci di accelerazioni da caffeinomane olimpico.
Gianfranco Franchi
(recensioni Petrella)
_____________________________________
Carla Ammannati – LA GUARITRICE DI VENTOTENE – Euro 13,00
www. labileabile-traccia.com, 1.7.09
“L’hanno trovata due bambini, assiderata sotto la neve. (…) E’ stata la bambina, mentre raccoglieva strillando una manciata di neve, a trovare i suoi vestiti neri, il suo scialle di lana lavorato ai ferri buttato sulla vestaglia. Era uscita senza mettersi il cappotto, solo con lo scialle, come faceva quando andava in chiesa o da qualche paesana, qualsiasi tempo ci fosse.”
Il romanzo di Carla Ammannati prende avvio dalla morte della vecchia Zina, donna affascinante dal passato misterioso e burrascoso. Paradossalmente, il ritrovamento di quel corpo senza vita scatena il racconto della sua esistenza, fatto in terza persona dalla figlia Siliana.
Si tratta di un bel libro. Bello perche’ racconta una storia, e raccontare una storia non e’ impresa facile. Tutt’altro. La Ammannati non si limita a dire, ma ricostruisce una vicenda (quella di sua madre, quindi la propria) combinando i ricordi come tessere di un immenso puzzle. Sfogliare le pagine del suo libro significa aprire uno scrigno colmo di sensazioni private. Molteplici i luoghi, i colori, i profumi e le vicende che lo caratterizzano, ambientate queste ultime tra gli Appennini Toscani, ma anche sull’isola “esilio” di Ventotene e l’isolotto “penitenziario” di Santo Stefano (entrambi situati al largo della costa laziale).
L’incipit si tinge di mistero con il ritrovamento del corpo di Zina, ricomposto nel letto della propria camera. Quel corpo immobile e freddo racconta di se’ alla figlia che lo veglia. “Quel suo viso prosciugato d’argilla secca. Con gli orecchini d’oro e corallo rosa che sembrano un ornamento grottesco, adesso, e non un pegno d’amore. Mi chiedo come doveva essere la sua pelle quando aveva venticinque anni e camminava per le strade di Ventotene”.
Il mistero continua con il dono di Zina la zoppa, “dono di nostro Signore”, che le permette di guarire le persone con l’imposizione delle mani e la preparazione di tisane. “Le erbe gliele ha insegnate la sua nonna Elena, con la quale e’ stata da bambina, in mezzo all’Appennino. A Ventotene non ne ritrova di uguali ma ha il talento per impararne di nuove e adesso, dopo tre anni di vita sull’isola, conosce tutte le piante, i fiori, le bacche e le radici”. Cosi’, ogni giorno di piu’, il corpo della seducente guaritrice assorbe i profumi della terra e la sua pelle sa di borraccina, finocchi selvatici, rosmarino, limoni e fichi d’India. Sa di mare e di vento.
Sara’ uno degli innumerevoli pazienti di Zina a farla innamorare. Un uomo di nome Pacifico, costretto al confino politico sull’isola insieme a tanti altri disgraziati (Ventotene fu sede di una colonia tra il 1926 e il 1943). “Il suo corpo magro, il collo lungo, i capelli arruffati assomigliano al fusto di un albero di fiume (…) Pesa 48 kg, si e’ fatto restringere i pantaloni da una confinata di 18 cm, tira avanti a cardi e castagne bollite”.
Ma Pacifico non e’ il primo uomo di Zina: c’era stato Mario, il partigiano, “disertore degli eserciti regolari, combattente ribelle e grande amatore di femmine”; c’era stato anche il marito Michele, il pescatore violento e ubriacone, che “le rinfaccia di non averla trovata vergine (…)” e che “le ha perfino proibito di imporre le mani”. Gia’: Michele e il loro figlio Mario, che un giorno il mare inghiotte, restituendo solo il corpo dell’uomo e trattenendo gelosamente quello del bambino.
La ricerca disperata di un secondo Mario, alla quale Zina non rinuncera’ mai, culmina invece con la nascita di Siliana, frutto del legame passionale e amoroso con Pacifico. Una bambina che non vedra’ mai il padre, ma che riuscira’ ugualmente a conoscerlo grazie a una serie di lettere a lui indirizzate, scomparse e ritrovate molti anni dopo dal fratello Teo. Che le raccontera’ del proprio padre, mentre lei a sua volta fara’ riemergere dal passato un altro Pacifico, quello raccontato da Zina: quello autentico.
E’ una storia forte questa, sia per il periodo storico in cui si svolge che per i sentimenti tirati in ballo. Quasi che sull’isola tutto venisse amplificato, libero da leggi e convenzioni, anche se immerso in esse. Nascita e morte, amore e odio hanno un sapore antico. E’ come fare un salto indietro nel tempo. E lo si fa volentieri, perche’ la modernita’ ha reso tutto insipido e i sentimenti danno sapore alla vita.
Ottimo risulta il connubio tra ricerca storica e invenzione romanzata, che porta l’autrice a scrivere in terza e prima persona, con un continuo avvicendarsi di personaggi. Sul palcoscenico della Storia si alternano figure del passato remoto e di quello prossimo: imperatori romani, le loro donne ripudiate, traditori o semplici sospettati, antifascisti e sognatori.
L’unico punto debole del libro l’ho trovato nel finale, che non pare all’altezza del resto, quasi la Ammannati avesse avuto fretta di concludere. Una fretta forse dettata dal bisogno di non essere travolta dai ricordi. O forse, una mia impressione sbagliata. Ma una cosa e’ certa: la chiusa conduce inesorabilmente a una dimensione ultraterrena, a dire che la fine puo’ essere l’inizio di un’altra storia, un cerchio magico a scongiurare la morte.
“Verranno gli uomini della ditta che ho chiamato e la deporranno in una cassa di legno d’abete. Avrei preferito cremarla ma quando ne abbiamo parlato, pochi mesi fa, mi ha detto: ‘Orapronobi, se devo bruciare lascialo decidere a nostro Signore’.”
Lorella De Bon
(recensioni LA GUARITRICE DI VENTOTENE)
Letto 2443 volte.