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LIBRI IN USCITA: MERIDIANOZERO 6/2011

19 Marzo 2011

Care lettrici e cari lettori,

ancora una newsletter dedicata a “Il vangelo della scimmia” di Christopher Wilson, un piccolo gioiello che non vorremmo passasse inosservato. In attesa del ritorno di Victor Gischler (in libreria tra poche settimane con “Notte di sangue a Coyote Crossing”) ecco quindi a voi un paio di recensioni di Wilson. E ricordate: “Il vangelo della scimmia” e’ consigliato personalmente dall’editore Marco Vicentini: “Un libro che non deludera’ nessun tipo di lettore: chi cerca di riflettere, chi cerca di divertirsi, chi cerca la qualita’… Avvicinatevi e assaggiatelo…”

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LE RECENSIONI

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Il vangelo della scimmia di Christopher Wilson – euro 13
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www cabaretbisanzio com, 6.3.11

Il primo capitolo ha il titolo di un racconto di Kafka: l’autore vuole subito mettere in chiaro le sue intenzioni e se cercate un libro “leggero”, meglio cambiare volume. Christopher Wilson nella forma segue la tradizione di Swift, mentre nella sostanza si avvicina al conte philosophiquedi Ballard, d’altronde e’ pur sempre inglese. Il racconto ha sempre una lettura piu’ profonda, sebbene la trama sia scorrevole e perfetta gia’ al primo livello. Esprimere una critica alla nostra societa’ non e’ semplice perche’ siamo costantemente bombardati da notizie, scandali, dossier decrittati di WikiLeaks, (anche se all’epoca della scrittura questi ultimi non esistevano ancora), percio’ Wilson sposta la sua storia su un’isola sperduta del Regno Unito nel diciottesimo secolo.
Lord Iffe si dimentica di dimenticare, il reverendo Lovegrave e’ ossessionato dal peccato ovunque e sempre, tranne per quello che riguarda la sua anima, Hogg, il mercante, e’ convinto di essere derubato dal mondo, perche’ le sue uscite superano le sue entrate (Wilson-Hogg parla proprio di fluidi corporei…): una satira che distilla intelligenza e umorismo, “Il vangelo della scimmia” raggiunge il lettore attraverso un’ironia sottile, un filo teso che attraversa l’intero racconto. Il titolo del primo capitolo acquista il suo senso a meta’ del romanzo (che e’ breve), molti pezzi del puzzle iniziano a ricomporsi. L’intermezzo dell’assurdo universo giuridico di Jarvie (un altro richiamo a Kafka) chiarisce cosa sia l’isola di Iffe. Spero che i lettori abbiano l’intelligenza di cercare i nessi, di capire l’allegoria e gustare l’elegante bellezza dell’opera di Christopher Wilson.
Enzo Baranelli

meridianozero blog
Una scimmia, unica superstite di un naufragio, approda sull’isola di Iffe, dove vive una comunita’ di uomini e donne isolati dal mondo. Appare subito chiaro che mentre gli uomini sono tormentati dall’infelicita’ e dall’insoddisfazione, lei e’ un’entita’ completa, che non avrebbe bisogno di loro per sopravvivere. Sono gli uomini a interessarsi morbosamente a lei. In quanto diverso, il nuovo individuo arrivato dal mare appare come il perfetto ricettacolo di ogni aspettativa e sogno insoddisfatto.
Forse possiede conoscenze che agli isolani sono precluse, forse ha potere o ricchezze la’ da dove e’ venuto. In breve la scimmia diventa l’elemento piu’ in vista nella comunita’. Ma come puo’ capirli, lei che e’ priva di linguaggio, questi uomini che si contendono la sua attenzione e avanzano incomprensibili pretese?
Vera la pazza, tenerissimo personaggio del libro che, unica, si avvicina ad accogliere la scimmia per quello che e’ davvero, un essere della Natura e non del mondo, e’ un altro individuo che vive fuori dalla comunita’ umana. Vilipesa perche’ incapace di adeguarsi a un ordine di cui non puo’ capire l’esigenza. Vivendo senza una storia, senza un preciso ruolo sociale, senza un linguaggio chiaro e condiviso, Vera ha sfidato la comunita’, e per questo ne e’ stata esiliata. Con uno sguardo piu’ limpido di quello dei suoi concittadini e’ stata in grado di smascherare l’ipocrisia. Lei ha conosciuto i loro segreti nascosti dietro le facciate immacolate. Per questo la comunita’ si e’ vendicata, facendo di lei il canale di scolo dei propri vizi e il capro espiatorio su cui riversare l’odio e la paura del diverso.
Il ruolo di vittima sacrificale, pero’ ben presto passera’ alla scimmia, con una violenza e un accanimento ancora piu’ ciechi. Vera, per quanto mentalmente confusa, e’ umana, e ha sofferto della propria emarginazione. La scimmia invece, la Natura, non soffrirebbe affatto della perdita degli uomini. Per ottenere la sua sofferenza non basterebbe allontanarla, bisogna colpirla, colpirla e colpirla ancora.
Un piccolo libro, scritto meravigliosamente, divertente in ogni pagina ma spietato perche’ spietati sanno essere gli esseri umani quando il diverso minaccia il loro piccolo e fragile mondo.

(recensioni Il vangelo della scimmia)

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Stanze nascoste di Derek Raymond – Euro 16,00
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corpifreddi blogspot com, 23.2.11

Derek Raymond, pseudonimo di Robert William Arthur Cook, ci apre le stanze nascoste del suo passato, e non solo, grazie al libro autobiografico appena pubblicato da Meridiano zero (a diciassette anni dalla scomparsa dell’autore) – “Stanze nascoste”, appunto, il titolo traslitterato dall’originale inglese del 1992 “Hidden Files” – e lo fa non senza alcune riserve, essendosi misurato fino a quel momento col romanzo e avventurandosi in un genere nuovo: “Questa autobiografia e’ un tentativo di decrittare i codici di accesso a queste stanze nascoste, anche se non potra’ mai avere la leggibilita’ di un romanzo: dopotutto descrive solo un insieme di funzioni.Il fatto di essere come una macchina poco orientata agli altri, e di deludere ogni aspettativa proprio per queste stanze nascoste, e’ fonte di angoscia per me e per chi mi sta vicino. Ma nessuno di noi puo’ discostarsi, se non lievemente, da cio’ che e'”.
Ha sessant’anni Raymond, quando si accinge a ripercorrere i passaggi piu’ importanti della sua vita e non si sente vecchio perche’, di fatto, non lo e’. Pero’ accetta con piena coscienza quanto il tempo, sulla terra, sia soggetto a un “contratto universale” e lo spazio per la liberta’ di scelta preveda dei limiti. Eppure lui ha fatto della liberta’ la sua filosofia di vita.
Nato in una famiglia abbiente il 12 giugno 1931, a Londra, in Baker Street, a qualche passo dalla casa di Sherlock Holmes, a meno di dieci anni dovette assistere ai terribili bombardamenti della Seconda guerra mondiale, anche se allora li visse con la giocosita’ che difende i bimbi dal dramma: durante gli attacchi usciva di casa col fratello per contare gli aerei e osservare gli inseguimenti dei cacciabombardieri. La Storia sullo sfondo, quindi, e in primo piano i personaggi che l’hanno segnato nel ricordo e nell’anima. Tra questi ultimi emerge la madre, vissuta come nemica: “Ancora adesso, a ventitre’ anni dalla sua morte, non riesco a essere imparziale con lei; posso solo dire che e’ una tragedia odiare ed essere odiati dalla propria madre”.
Una volta cresciuto, non ci penso’ due volte a rinunciare ad agi e comodita’ per cercare un’altra casa: la strada, o meglio, le strade, osservatori privilegiati di quella che sara’ l’intera sua produzione. Conobbe l’Europa dei bordelli, dei quartieri malfamati, delle prigioni, dei marciapiedi, ma anche dei campi coltivati e si arrangio’ con lavori di ogni tipo. Negli anni ’60 torno’ a Londra e ancora la strada – quella piu’ nera, fatto di delinquenza, di angoscia – gli fu nutrimento spirituale.
Quanto vita e arte si interfaccino e’ l’autore stesso a spiegarlo in diversi punti e propongo un passaggio a proposito de “Il mio nome era Dora Suarez” (sempre pubblicato in Italia da Meridiano Zero, insieme ad altri 9 titoli, tra cui il penultimo per uscita e’ “Incubo di strada”), il romanzo che lo devasto’ per i diciotto mesi di stesura, relegandolo in uno stato solitario di costernazione. L’autore non si limito’ a redigere, ma entro’ nel libro e ne rimase ferito anche a fine stesura: “Non vedo come si possa penetrare nella tragedia e nella morte di un altro (di Dora) e aspettarsi di rimanere intatti, immutati, e’ una situazione che ti coinvolge del tutto o per niente, non ci sono mezze misure”.
Questa compenetrazione tra finzione e realta’ e’ un aspetto fondamentale dell’intera autobiografia, ma viene sviscerato nelle bellissime pagine dedicate al noir, intensi momenti di riflessione letteraria anche – e soprattutto – quando spiazzano con la loro semplice evidenza: “Il ruolo del noir consiste nell’approfondire un ritaglio di cronaca nera e di sviluppare la tragedia che realmente e’, nell’investigare sulla violenza, sulla miseria e sulla disperazione, nell’analizzare tutto il peggio, tutto quello che c’e’ di orribile e di sbagliato nel nostro modo di vivere”. E se Shakespeare, secondo Raymond, e’ il piu’ grande autore di noir, questo genere – ora in via di decadimento e minato dai suoi “deboli sostituti: il giallo e il poliziesco” – potrebbe “alzare la testa” e rinnovarsi. Raymond lascia qualche porta aperta, dunque. E comuque sia, rifugge dalle verita’ inestite di pretese di assolutismo. O da chi pensa di custodirla in tasca, la verita’.
Una bella lezione argomentata per tutti coloro che credono di essere gli unici depositari del noir o, al contrario, per chi ne ha annunciato un’apocalisse senza ritorno, perche’: “cio’ che differenzia il noir dal resto della letteratura e’ che non puo’ appartenere ad alcun programma cosiddetto ‘letterario’ studiato attorno a un tavolo, strangolato da quel raffinato, tortuoso, mediocre chiacchiericcio che proviene da un gruppo di nullita’ cultural-chic”.
Marilu’ Oliva

www rootshighway it, 21.2.11

E’ impossibile, soprattutto in virtu’ di questa splendida autobiografia, vedere ancora Derek Raymond come uno scrittore incastrato in un genere (il noir, alla cui descrizione e definizione ccomunque dedica alcune delle pagine piu’ significative). E’ stato uno straordinario narratore tout court, con una vita altrettanto romanzesca e maudit e tutta da scoprire nelle sue “Stanze nascoste” dove si capira’ che “l’arte e’ il frutto di un fortunato incontro con l’esistenza, la follia di uno sfortunato”. E’ questo l’elemento ricorrente nella storia e nelle storie di Derek Raymond: quella pericolosa linea d’ombra in cui matura “una forma di rifiuto della condizione umana”. Tutti i suoi romanzi (compreso, buon ultimo, “Incubo di strada”, sempre Meridiano zero) nascono dal tentativo di chiedersi perche’ il genere umano tenti sempre una via di fuga da qullo che Derek Raymond chiama il “contratto universale”. Senza dubbio il noir gli ha offerto spazi d’indagine infiniti, ma “Stanze nascoste” rivela con estrema chiarezza che da li’ Derek Raymond ha estrapolato tutta una sua filosofia visto che il “contratto universale” lo spiega cosi’: “Ha dei termini precisi, gli accordi sono chiari. Noi siamo la somma di passato, presente e futuro e sogniamo di liberarci dal tempo. Ce ne rendiamo conto attraverso l’arte, che si sforza di dare corpo alle nostre visioni, ai nostri sogni, ma in realta’ abbiamo soltanto il breve tempo che ci e’ concesso”. Unico, e per intenditori.
Marco Denti

(recensioni Stanze nascoste)

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Una donna di troppo di Carl Hiaasen – Euro 18,00
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liberidiscrivere splinder com, 6.1.11

Ci aveva gia’ pensato Alfred Hitchcock a giocare al delitto perfetto dimostrando con rigoroso cinismo che non esiste e non aveva certo scelto uno sprovveduto per impersonare il marito Barbablu’ deciso a far fuori la moglie per ereditare la di lei lauta fortuna. Immaginatevi cosa puo’ succedere quando e’ Carl Hiaasen a dirigere le danze. Di tutto. Sento qualcuno mugugnare nelle retrovie Carl Hiaasen chi? Beh vorrei far la parte di quella aggiornatissima, che sa tutto, che ha scoperto Hiaasen al primo libro ancora inedito in Italia mentre tutti si chiedevano perche’ cavolo Hiaasen si scrivesse con due a. E invece no ho scoperto Hiaasen con “Una donna di troppo” divertentissimo eco noir scovato dalla astuta ciurma di Meridiano Zero. Carl Hiaasen e’ un versatile scrittore americano di origine norvegese che ha iniziato la sua carriera occupandosi di giornalismo investigativo e nello specifico dando calci nelle gengive ai politici intrallazzatori della Florida sviluppando le sue doti di segugio soprattutto sul tema dello sviluppo edilizio a danno dell’ambiente naturale. Quando e’ approdato alla narrativa conscio che si puo’ fare piu’ danno con la fantasia che con la realta’ non ha mollato l’osso e nei suoi libri ha innestato il valore aggiunto dell’ecologismo militante e della denuncia dell’indiscriminato abusivismo e del sistematico avvelenamento dell’ecosistema. Ecologismo? Ecosistema? Che centreranno con il noir direte voi? Datemi tempo e dissipero’ le vostre legittime perplessita’. “Una donna di troppo” e’ un noir di nuova generazione un noir che usa la comicita’ per fare risaltare ancora di piu’ l’impegno e la meritoria lotta del bene contro il male. Ma andiamo con ordine partiamo dall’ambientazione, immaginiamo l’ex paradiso naturale della Florida del sud, fenicotteri rosa a go go, acque un tempo cristalline, ora un po’ torbide per i pesticidi ma di notte chi se ne accorge quando la luna scintilla e una coppietta di innamorati naviga su un panfilo da mille e una notte in una sorta di seconda luna di miele per festeggiare l’anniversario di nozze. Che quadretto romantico direte voi e invece all’improvviso il dramma. Chaz prende la sua bella e bionda moglie per le caviglie, la ribalta dal parapetto e la scaraventa nelle nere e infestate acque dell’Atlantico a miglia dalla costa compiendo ai suoi occhi il classico delitto perfetto. Non che sia intrinsecamente malvagio il povero Chaz, che a dirla tutta fa anche un poco di tenerezza tanto e’ stupido, superficiale, sessualmente promiscuo, pure un lampo di rimorso attraversa il suo universo ma non ha scelta. Ha troppo da perdere ormai convinto che la moglie sia a conoscenza del fatto che e’ un uomo corrotto, pagato dal vero delinquente della situazione Red Hammernut responsabile del piu’ grave disastro ambientale che la Florida ricordi e che sia sul punto di parlare. Gia’ ma Chaz non e’ un uomo fortunato, non e’ uno di quei baldi simpaticoni a cui la sorte strizza un occhio e solleva da tutte le responsabilita’. Joey Wheeler Perrone non ha nessuna intenzione di morire. E che fa? Dopo tutto e’ un ex campionessa universitaria di nuoto, una sirenetta di tutto punto e cosi nuota tra squali, alghe appiccicose e nefaste, meduse, onde salate, correnti atlantiche, e abbarbicata ad una balla di marijuana, trenta chili di giamaicana della migliore, abbandonata da un gruppo di allegri contrabbandieri distratti, approda sull’isolotto di Mick Stranahan ex detective con uno spiccato senso dell’umorismo, un dobermann svitato, 6 ex mogli e un debole per la bionda Joey che dopo essersi ripresa dal momentaneo sgomento medita vendetta. Da questo momento in poi per Chaz non c’e’ piu’ scampo e piu’ sprofonda nelle acque melmose dell’incubo e dei suoi peccati e piu’ il lettore se la ride con un retrogusto di amarezza e di disincanto legato allo spaventoso inquinamento causato dal massiccio afflusso di fosforo agricolo che ammorba i sistemi palustri degli Everglades rendendo impossibile qualsiasi forma di vita. In un crescendo mozartiano si arrivera’ alla resa dei conti finale che non sara’ certo considerabile come un lieto fine ma che cancellera’ di sicuro dalla faccia di Chaz il suo indisponente sorrisetto di altezzosa impunita’. Vedere per credere il destino che Hiaasen ha in serbo per lui. Dire che nella traduzione c’e’ lo zampino di Luca Conti con la brava Luisa Piussi mi sembra inutile ma comunque doveroso perche’ sembra, si mormora, che ci sia ancora gente che pensa che i libri si traducano da soli.
Giulietta Iannone

(recensioni Una donna di troppo)


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart