LIBRI IN USCITA: MERIDIANOZERO 9/2011
24 Aprile 2011
Care lettrici e cari lettori,
eccoci di nuovo con qualche buon consiglio di lettura, ancora una volta tinto di nero… Oltre all’iresistibibile nuova uscita di Victor Gischler, “Notte di sangue a Coyote Crossing”, che invitiamo tutti gli amanti del genere a non perdere, questo mese troverete in libreria altri due splendidi noir. Uno e’ “Piccoli delitti del cazzo” di Jason Starr, uno stupefacente ritratto di uno sgangherato giovane newyorkese, che per inseguire il suo sogno arriva al delitto. Se preferite un’ambientazione piu’ rovente, da New York si passa a Tijuana con Kent Harrington e il suo “Dia de los muertos”, un romanzo avvincente ambientato sul confine messicano. Le giornate perdute di un uomo senza piu’ illusioni, tra puntate alle corse dei cani, debiti non pagati e rischiosi maneggi oltre confine. Ma quando incontra la sua vecchia fiamma del liceo, vede la possibilita’ di cambiare la sua vita…
Per chi si fosse incuriosito vi proponiamo qui sotto qualche informazione in piu’ sui libri e sugli autori, oltre alle consuete recensioni.
Buona lettura,
La vostra redazione
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LE NOVITA’ IN LIBRERIA:
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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IL LIBRO: In mezzo allo sconfinato nulla dell’Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, non puo’ succedere nulla di di pericoloso, o almeno cosi’ credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte. I Jordan sono piombati in citta’, assetati di vendetta per l’omicidio del fratello Luke, ma il cadavere e’ scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verita’. Toby deve ritrovare il corpo prima dell’alba, e scoprira’ ben presto di non essere il solo a cercarlo…
L’AUTORE: “Victor Gischler ha la scrittura nel sangue e con ‘Notte di sangue a Coyote Crossing’ ha creato una splendida fusione tra padre e figlio della narrativa americana: il western e il noir. C’e’ riuscito, e con grande stile. Spero che il protagonista, Toby Sawyer, resti in circolazione ancora a lungo.” (Don Winslow)
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Aprile e’ il piu’ crudele dei mesi – Euro 9,00 ed. tascabile
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Di nuovo disponibile in tascabile “uno dei piu’ bei romanzi noir degli ultimi vent’anni” (Massimo Carlotto), nonche’ il secondo libro della serie della Factory.
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Dia de los muertos di Kent Harrington – euro 14
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IL LIBRO: Duro e disperato, Vincent Calhoun, agente della DEA, e’ l’eroe maledetto che accetta l’ultima scommessa. A Tijuana, terra di confine, sotto un sole torrido, ha gia’ perso molto: la fiducia, l’onesta’, e montagne di dollari alle corse dei cani. E’ diventato un senza legge, un coyote che trasporta illegalmente clandestini negli Stati Uniti. Ora e’ convinto di aver avuto la dritta giusta, di avere in tasca la scommessa vincente. Per la possibilita’ di ricostruirsi la vita con la donna dei suoi sogni. Ma forse si sbaglia.
L’AUTORE: “Se American noir fosse una voce del dizionario, ci trovereste una foto di Kent Harrington al posto della definizione.” (National Review)
“Gli ingredienti per la ricetta perfetta ci sono tutti: un agente della Dea che ha impegnato l’anima alle corse dei cani, una torrida cittadina messicana sul confine che vive di contrabbando, una donna bella e innamorata che potrebbe rappresentare l’ultima occasione di riscatto. Ma come in ogni noir americano che si rispetti, in “Dia de los muertos” di Kent Harrington vince la legge della dannazione. ” (Corriere della Sera)
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Piccoli delitti del cazzo di Jason Starr – euro 14,00
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IL LIBRO: Tommy Russo vorrebbe fare l’attore, ma non ne ha la capacita’ e soprattutto la costanza dell’impegno: al palcoscenico preferisce le tribune degli ippodromi, dove lascia buona parte dei suoi soldi. Quando un suo conoscente gli offre la possibilita’ di acquistare in societa’ un cavallo da corsa, Tommy decide di fare qualunque cosa per racimolare la somma necessaria, finendo per essere risucchiato in vortice di menzogna e cinismo fino a varcare la soglia del delitto.
L’AUTORE: ” Un noir grottesco, divertente, assurdamente reale, che conferma l’attuale supremazia della letteratura di genere. Veloce, senza pretese apparenti, ricco di episodi esilaranti. E solo dopo la fine una leggera inquietudine si insinua…” (Wu Ming)
LE RECENSIONI
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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tuttolibri, 2.4.11
Lo sceriffo coyote
Due fuoriclasse: Robert Littell e Victor Gischler. Due storie che piu’ diverse non si puo’. Ma di grande impatto e di notevole scrittura.
Per quanto riguarda Gischler e la sua “Notte di sangue a Coyote Crossing”, il quadro, vagamente ironico, sta nella cornice desertica di un angolo sperduto dell’Oklahoma dove – per anni – non e’ mai successo niente. Poi, all’improvviso, il cadavere di uno dei tanti fratelli Jordan viene trovato riverso per strada e il giovane e sgangherato aiuto sceriffo Toby Sawyer si trova, suo malgrado, a dover crescere in fretta per non soccombere a un furioso incendio di delitti e tradimenti che, invece, covava da tempo sotto la cenere. Rapimenti, pistolettate, colpi di scena, inseguimenti e una lunga scia di sangue: mancano solo gli indiani anche se ben sostituiti da un povero branco di messicani tanto derelitti quanto clandestini. Le cadenze sono quelle di un western moderno dove i cavalli sono sostituiti dai pickup e i tepee da un nugolo di roulotte immerse in un pezzo d’odierna America dove la legge segue ancora i ritmi dell’Ok Corral.
Piero Soria
www lankelot eu, 5.4.11
Prendete una cittadina dispersa nel deserto di uno stato degli Stati Uniti come l’Oklahoma dove furono confinate le Cinque Tribu’ Civilizzate e migliaia di altri nativi americani, che visse nel 1893 quella grande corsa alla terra che in pratica chiuse l’epoca del Far West (celebrata dal romanzo di Edna Ferber e dall’omonimo film “Cimarron” e successivamente nella pellicola “Cuori ribelli”), la stessa Oklahoma che fu poi scenario della fuga della famiglia Joad nel romanzo “Furore” di John Steinbeck e poi buttateci dentro Quentin Tarantino, Jim Thompson, Joe R. Lansdale, Cormac McCarthy, i fratelli Cohen, la sfida all’Ok Corral fra storia, mito e cinematografia (ma un film con le tinte di questo romanzo a mio avviso non e’ stato ancora girato), la pellicola “Un dollaro d’onore” di Howard Hawks, immigrati che cercano di cominciare una nuova vita alla faccia del muro costruito sul confine messicano, musicisti falliti, poliziotti corrotti, famiglie sbandate, sparatorie, cataste di morti, istinto paterno e poi mescolate tutto con il talento di uno scrittore hard boiled di razza come Victor Gischler, autore tra l’altro di un altro incredibile romanzo sempre pubblicato da Meridiano Zero come “La gabbia delle scimmie” che non si degna minimamente di tirare il freno a mano e di prendervi a pugni e avrete “Notte di sangue a Coyote Crossing”.
Tiriamo il fiato e senza cercare di svelare troppo della trama cerchiamo di capirci qualcosa in questo calderone che sputa fiamme e sangue e non ha un momento di tranquillita’.
Toby Sawyer e’ un ex aspirante musicista che tornato dopo inutili pellegrinaggi in giro per gli Stati Uniti al paese natale Coyote Crossing piazzato in mezzo al nulla, in seguito alla morte della madre, si ritrova a vivere una vita senza particolari guizzi. E’ un giovane aiuto sceriffo part – time sposato con Doris una donna che non lo ama e che gli ha donato un figlio che e’ la sua sola ragione di vita. La sua vita sembra la consueta vita di un uomo senza qualita’, condannato a trascorrere i giorni in un luogo dove si aspetta la morte o da cui si scappa ma lui e’ gia’ scappato una volta e non ha la forza e nemmeno il desiderio di rifarlo. Deve tutto allo sceriffo Krueger che sembra volergli bene come potrebbe fare un padre con un figlio sbandato. La sua esistenza cambia pero’ improvvisamente una notte quando viene chiamato a sorvegliare il cadavere crivellato di proiettili di un giovane sbandato, Luke Jordan. Toby non e’ un aiuto sceriffo modello e cosi’ abbandona il cadavere a se stesso dedicandosi ad una piu’ piacevole scappatella con la minorenne e sempre disponibile Molly. Al suo ritorno sulla scena del crimine il cadavere e’ pero’ sparito e nessuno sa che fine abbia fatto.
Da quel momento la sua notte si tramuta in un incubo e Toby si ritrovera’ ingabbiato in una lotta senza respiro contro trafficanti di immigrati, killer spietati, poliziotti corrotti, contro gli stessi fratelli del cadavere scomparso che lo ritengono responsabile del suo omicidio e che lui conosce da sempre e con una moglie che scappa lasciandogli il figlio e cosi’ questo ragazzo che indossa una maglietta degli Weezer imparera’ ad uccidere e i morti saranno tanti, tantissimi, in situazioni mescolano efferatezza e comicita’ splatter. Tutto in una notte sola. Senza respiro. In piedi solo grazie a caffe’ e bibite energetiche e non si riesce nemmeno a capire come Toby possa resistere a tutti quei pestaggi, corse senza fiato, inseguimenti senza fiato ma tant’e’, ha un figlio da proteggere e se non resiste sono tutte e due morti.
Eppure Toby non diventa mai un giustiziere senza macchia, e’ un eroe-pistolero quasi inconsapevole, che si ritrova a combattere perche’ non potrebbe fare altro per continuare a vivere. Quello in cui si muove e’ un mondo marginale, alla deriva, con ragazzi predestinati alla delinquenza, alla fuga, alla birra, ai piccoli furtarelli, in un paese dove non accade mai niente, che sembra davvero gia’ post-atomico senza nemmeno lo scoppio di una bomba atomica che quasi ci si chiede per quale motivo, a parte il petrolio, si siano voluti strappare alla natura e alle popolazioni indiane questi territori per poi vederli avvizzire in questo modo.
”C’e’ chi viene reso piu’ forte dalle avversita’, cosi’ come dalle delusioni e dalle sciagure, e c’e’ chi diventa piu’ stronzo. Sono i casi della vita e nessuno ne e’ immune, che sia una vecchia o una messicana infuriata o un aiuto sceriffo part-time. Fai girare la ruota, e prendi quello che arriva.”
E poi Toby si fermera’ e il romanzo insieme a lui quasi come se fosse stato lo stesso Victor Gischler a posare la pistola scarica ma ancora incandescente in mezzo al deserto.
Andrea Consonni
(recensioni Notte di sangue a Coyote Crossing)
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Aprile e’ il piu’ crudele dei mesi – Euro 9,00 ed. tascabile
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Di nuovo disponibile in tascabile “uno dei piu’ bei romanzi noir degli ultimi vent’anni” (Massimo Carlotto), nonche’ il secondo libro della serie della Factory.
(recensioni Aprile e’ il piu’ crudele dei mesi)
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Dia de los muertos di Kent Harrington – euro 14
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il Mattino
Giocare con il genere, reinventare gli stereotipi e’ qualcosa che sta interamentente nella tradizione del noir americano. Cosi’ come ci sta Tijuana, da sempre il luogo della perdizione per gli americani, la citta’ di confine tra il nord e i sud del mondo, tra la lucida tecnologia e il sudore accaldato del mondo latino.
E dunque quella che racconta Kent Harrington in Dia de los muertos e’ una variazione sui temi cari a Chandler e a tutta una lunga schiera di narratori piu’ o meno grandi. Anzi, se c’e’ in Harrington qualcosa di veramente nuovo e’ l’adesione anche ideologica al mondo di Chandler, con la presenza di quei duri con le mani sporche ma dal cuore puro di cui Marlowe e’ un prototipo.
Vincent Calhoun e’ dunque un uomo perduto, un agente corrotto, un trafficante di carne umana, un giocatore irredimibile, ma e’ anche un uomo autentico, sfibrato ma non sfinito, e la storia che Harrington racconta e’ quella, a suo modo, di una redenzione, di un riscatto, di una recuperata purezza.
Giallo veloce, teso, ambientato in una atmosfera ricca di odori, di umori, mette in pratica felicemente le regole del genere.
Niccolo’ Mennitti Ippolito
(recensioni Dia de los muertos)
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Piccoli delitti del cazzo di Jason Starr – euro 14,00
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bookshighway blogspot com, 27.2.11
“Quaggiu’ ci sono solo vincenti e perdenti e non devi finire dalla parte sbagliata di quella linea”: ci vuole “Atlantic City” come colonna sonora, per questi “Piccoli delitti del cazzo”, titolo prosaico che pero’ rende alla perfezione l’atmosfera di un mondo e di una quotidianita’ che sono sempre sul filo dell’illegalita’. All’inizio non e’ mai niente di grave: qualche sotterfugio, furti banali, quel tanto di espedienti da sbarcare il lunario. Poca roba, piu’ stupida che fuorilegge, pero’ la spirale non conosce interruzioni per cui ad un certo punto si arriva anche ad una rapina vera e propria e si finisce con un omicidio atroce e maldestro. Protagonista di questa rapida e progressiva discesa nei bassifondi degna di James Cain e’ Tommy Russo, un fallito di primissima qualita’ che sogna di diventare attore ma perde gran parte del suo tempo (e tutto il suo denaro) a scommettere sui cavalli sbagliati. Da qui, l’insistente necessita’ di liquidi (mettiamola cosi’) che lo espone, passo dopo passo, alle deviazioni verso the wrong side of the road, per dirla con Tom Waits. Nella New York umida, fangosa, poco pulita e molto cupa tratteggiata da Jason Starr non ci vuole molto: basta una parola al momento sbagliato o uno scherzo del destino e tutti, chi piu’, chi meno, contribuiscono a spingere Tommy Russo sempre piu’ a fondo. Chi mente, chi nasconde qualcosa, chi si ritrova invischiato, se non altro come testimone nelle sue gesta: tutta la varia umanita’ di Piccoli delitti del cazzo sembra concorrere a creare un’atmosfera ambigua tra vincenti e perdenti che si interseca con i confini fra ordine e illegalita’. La costruzione dei dialoghi, sempre frammentari e sferzanti, ha un ruolo tutt’altro che secondario perche’ i personaggi di “Piccoli delitti del cazzo”, a partire da Tommy Russo parlano come camminano. Quando la sua ragazza scopre che l’ha derubata, si giustifica cosi’: “Ho il vizio del gioco. Non avrei voluto dirtelo, ma e’ la verita’. Ho iniziato a scommettere quando ero alle superiori e da allora e’ stato sempre peggio. Vado sempre all’ippodromo e nelle agenzie ippiche, a puntare soldi su quei cazzo di cavalli. Mi dispiace di non averne mai fatto parola, ma non sapevo proprio come affrontare la questione”. Se lui l’ha derubata, lei gli ha mentito e, pare di capire, nessuno e’ innocente e tutti hanno qualcosa da nascondere (a volte anche un cadavere). Con il ritmo di un vero e proprio thriller, “Piccoli delitti del cazzo” ribadisce quell’attitudine che Jason Starr aveva gia’ dimostrato con “Chiamate a freddo” (un libro sicuramente da riscoprire): una scrittura noir e senza particolari pretese letterarie, ma che non concede nulla ai modelli ristretti della narrativa di genere e, anzi, li sfrutta al meglio per ridefinire mondi, caratteri ed atmosfere dove la sconfitta morale del genere umano e’ dietro l’angolo. O appena dall’altra parte della linea tracciata da “Atlantic City” canzone il cui tema che, sara’ per caso o chissa’ perche’, coincide in gran parte con la storia di Tommy Russo, dei suoi “Piccoli delitti del cazzo” e di una New York che tanto innocente non e’ mai stata.
Marco Denti
(recensioni Piccoli delitti del cazzo)
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Il vangelo della scimmia di Christopher Wilson – euro 13
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www mangialibri com, 5.4.11
Siamo nel Diciottesimo secolo. Nella sperduta isola di Iffe, a largo dell’Inghilterra, la tranquilla e ottusa routine quotidiana degli abitanti viene un giorno lacerata da un evento che cambiera’ per sempre le esistenze di tutti. In seguito ad una violenta tempesta infatti sulle impervie scogliere di Iffe finisce arenata una nave da guerra. Di tutto l’equipaggio si salva solo Maria, la scimmietta intima amica del cuoco di bordo, sollazzo e compagna di viaggio dell’intera brigata marinara. La bestiola ha indosso solo un gilet e alcuni monili e dopo un breve momento di spaesamento non appena messo piede sull’isola, si mette a ciondolare di ramo in ramo, per esplorare quel fazzoletto di terra in mezzo al mare. Non tarda cosi’ a fare la conoscenza dei principali e grotteschi abitanti di Iffe, i quali – non avendo mai visto una scimmia – ognuno a modo loro cercano d’interpretare e di fare i conti con quello strano e peloso straniero. C’e’ Lord Iffe, l’ottuso e conservatore governante dell’isola, l’intellettuale Gallimauf – il quale dall’alto dei suoi cinque libri letti decide dopo aver studiato un po’ l’animale, che non puo’ trattarsi d’altro che di un francese -, c’e’ Hogg, il mercante che immediatamente intravede grazie allo straniero finalmente un futuro matrimoniale per sua figlia ancora zitella, e c’e’ Vera, la pazza del villaggio, che vuole quel misterioso visitatore come amante dei suoi sogni. Sapranno accettare tutti il diverso e aprirsi a lui?..
Il londinese Christopher Wilson con “Il vangelo della scimmia” – in realta’ scritto nell’86 ma solo ora editato in Italia – costruisce con uno stile umoristico e cinico al tempo stesso un mondo fittizio e fantasioso che assomiglia terribilmente a quello vero. L’Isola di Iffe ha tutti i peggior difetti della nostra societa’ moderna. La chiusura mentale, la cattiveria, il razzismo, l’egoismo, il conservatorismo. Tutto cio’ per anni si e’ accresciuto avviluppandosi su se stesso grazie alla totale chiusura con l’esterno, fino a che un elemento di rottura – l’arrivo di una scimmia scampata ad un naufragio – non ne mette alla prova, e quindi in crisi, gli interi meccanismi esistenziali. Il primate si posiziona sugli alberi e da li’ comunica a modo suo – in modo a volte rude, a volte osceno, a volte semplicemente divertito -, il suo status di essere puro e libero da sovrastrutture mentali. Dal basso invece l’intera comunita’ di Iffe, improvvisamente piombata nel caos, la studia, la osserva, la teme, cerca via via di relazionarsi – ognuno interpretando il proprio grottesco ruolo istituzionale e sociale – fino a dover arrivare ad un necessario quanto inevitabile sacrificio, pur di ripristinare l’ordine precedentemente costituito. Una bella metafora su quanto stupidamente e ottusamente conservatori sappiamo essere davanti al diverso, al nuovo, a cio’ che e’ altro da noi, capace – come ricordato in aletta di copertina -, di farci respirare “l’aria dei Viaggi di Gulliver e, insieme all’ironia, il lascito di Kafka” e che per certi versi richiama alla memoria “Il gorilla” memorabile di Fabrizio De Andre’.
Raffaello Ferrante
(recensioni Il vangelo della scimmia)
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Stanze nascoste di Derek Raymond – Euro 16,00
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Lo Straniero (diretta da Goffreddo Fofi), aprile 2011
Chi ritiene il noir una forma d’evasione potrebbe restare sorpreso nello scoprire che Derek Raymond, uno dei piu’ profondi interpreti di questo genere negli ultimi decenni, odiava la letteratura di facile consumo ed era ostile a qualunque storia usasse omicidi poliziotti e detective privati come travestimento o pretesto per intrattenere in nome del mercato. Raymond, scomparso nel 1994 e buon cugino maggiore di James Ellroy spostato su altre latitudini (se per l’autore de “I miei luoghi oscuri” l’inferno si chiama Los Angeles, la Londra di Derek Raymond e’ l’epicentro europeo del mondo sotterraneo), e’ autore di una pietra miliare come “Il mio nome era Dora Suarez”, quarto capitolo della “serie della Factory”, che ha ulteriori episodi di rilievo in libri come “E mori’ a occhi aperti” e “Come vivono i morti”. Derek Raymond e’ morto nell’anno in cui Pulp Fiction ha sbancato le sale cinematografiche di mezzo mondo, ma poche poetiche gli sarebbero risultate indigeste come quella fatta propria da Tarantino. La violenza da cartoon e per questo ricondotta senza colpo ferire nel cuore pop dello stesso mercato che l’ha generata non ha niente dei bassifondi (veri) da cui racconta Raymond, e dunque non dice niente del cuore di tenebra dell’uomo che – con Sofocle “piu’ terribile di tutte le cose terribili” – e’ l’unica entita’ che interessa davvero allo scrittore.
Se per Tarantino un morto ammazzato e’ (troppo postmodernamente) l’allegoria di qualcosa che non c’e’, e dunque per questo la scintilla che accende tutti i virtuosismi offerti da un buon gioco di specchi, per Raymond e’ veramente un uomo ammazzato, e dunque (se guardato con gli occhi di un altro uomo, non con quelli di una macchina) l’inquietante pozzo senza fondo dal quale nel tempo si sono sporti Edipo e Amleto e Raskolnikov e Quentin Compson e Bardamu.
Tutto questo e’ teorizzato (anzi raccontato) molto bene in “Stanze nascoste”, il libro-testimonianza-manifesto a cui Raymond si abbandono’ quasi come terapia dopo aver scritto “Il mio nome era Dora Suarez” (il romanzo la cui stesura – per eccessiva mimesi con l’assassino e un vero e proprio trasporto amoroso nei confronti della vittima – rischio’ di distruggerlo e farlo impazzire). Un libro, questo “Stanze nascoste”, che allo stesso tempo si puo’ considerare memoir, autobiografia, romanzo di formazione e insieme un manuale di scrittura nel quale nulla viene detto a proposito della tecnica e tutto sull’approccio da tenere se ci si vuole spingere in quel continuo viaggio alla scoperta del mondo (e, dunque, dell’altro) che e’ scrivere un’opera di narrativa.
Ma “Stanze nascoste” e’ anche un doloroso e vivo apologo sul come si diventa uomini. E’, da questo punto di vista, la cronaca della trasformazione di Robert William Arthur Cook in Derek Raymond, dove la scelta dello pseudonimo (Cook divenne Raymond nel 1984, quando i libri pubblicati erano gia’ sette) non e’ un vezzo e solo ufficialmente un modo per smarcarsi dall’omonimo Robin Cook (Robert inizialmente si firmava Robin) autore di gialli di successo. In realta’ si tratta della certificazione di una conquista costata molti rischi e molta fatica. Diventare un altro, appunto, come unico modo per riuscire a capire chi si e’.
Nato in una ricchissima famiglia londinese attiva nel campo dei tessuti, Derek Raymond si rende conto molto presto di quale trappola dorata possa essere il mondo in cui trascorre infanzia e adolescenza: l’inebetente classismo delle classi agiate, la capacita’ di Eton di distruggere qualunque approccio critico brandendo una cultura mondata da cio’ che la fa davvero grande, la stupidita’ (che il giovane Derek registra giorno dopo giorno con crescente insofferenza) di una famiglia ricca da poche generazioni, la quale, dimenticando come la Storia sia un cimitero di aristocrazie, considera i propri privilegi alla stregua di un diritto divino e non di cio’ che realmente rappresentano: risorse sottratte a chi non ne ha. Soltanto rinnegando le proprie origini, strappandosi dai propri privilegi, allontanandosi violentemente dal proprio padre e dalla propria madre e’ possibile attraversare la linea d’ombra diventando, da rampolli che si era stati, uomini, e poi scrittori. Raymond cosi’ inizia a frequentare i bassifondi, i quartieri bui, incontra gli emarginati, i maledetti, gli scarti della societa’, e intanto scrive calato in questa nuova dimensione sociale e economica che e’ innanzitutto una diversa condizione esistenziale. Essere stranieri in ogni luogo e’ l’unico modo per vedere davvero: soltanto allontanandosi dai quartieri ricchi si puo’ capire su quali precisi meccanismi psicologici puo’ reggersi lo sfruttamento del prossimo e solo aggirandosi nel ghetto sprovvisti di risorse materiali ma armati di un buon apparato critico e retorico si puo’ capire com’e’ facile che i bassifondi ipnotizzino col loro squallore i propri figli lasciandoli affondare nell’oblio delle metropoli.
Nasce da queste riflessioni e soprattutto da queste esperienze l’approccio particolarissimo che Derek Raymond ha nei confronti del noir. Il noir non e’ il giallo di Agatha Christie e nemmeno la spettacolarizzazione della retorica del private eye da cinema di cassetta (bassamente cinematografico anche se realizzato usando solo una macchina da scrivere). Non e’ un genere di intrattenimento per signore borghesi o per giovani rampanti. E tuttavia il noir – come pure si e’ detto e si e’ scritto negli ultimi anni nel tentativo di nobilitarlo – non e’ nemmeno del tutto un genere che usa la fiction in chiave sociologica per scoperchiare i mali della nostra societa’. Il noir, piuttosto, ha a che fare con la metafisica. E’ questa la spiazzante, vertiginosa, irriducibile posizione di Derek Raymond. Omicidi, corruzione, disperazione, oscurita’, disgregazione dell’io sono entita’ che, metafisicamente ma non religiosamente, si prestano a venire ricomposte nella stessa enigmatica forma di alcune domande fondamentali. Che cos’e’ la violenza? Perche’ la prevaricazione? Ha un senso un mondo perennemente diviso tra sommersi e salvati? Quale segreto pulsa nella distruzione di una vita umana? E in chi la distrugge? Cosa c’e’ di indicibile nel fondo della civilta’ occidentale, di cui l’Europa unita nel segno delle grandi banche (tema molto caro al Raymond degli ultimi anni), se non attualmente il suo interprete piu’ violento, ne e’ pur sempre la scaturigine? Che cos’e’, infine, il Male? A tal proposito, per il creatore di Dora Suarez il noir non e’ un gioco di prestigio che, mostrando il Male in edulcorate forme spettacolari e dunque negandolo, ci fa illudere che esso in fondo non esista. Il noir e’ al contrario, nei suoi momenti migliori, un esercizio di catarsi che, prendendo le misure al Male per cio’ che effettivamente e’, mostra specularmente la possibilita’ del suo contrario. Rovesciando la poetica di Tarantino e simili, e’ la possibilita’ del Bene a doversi rivelare attraverso un gioco di lenti, perche’ il Male e’ ovunque.
Non sembrera’ a questo punto strano che Derek Raymond, amante di T.S. Eliot e dell’esistenzialismo francese, considerasse il piu’ grande interprete del noir di tutti i tempi William Shakespeare.
Nicola Lagioia
(recensioni Stanze nascoste)
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Una donna di troppo di Carl Hiaasen – Euro 18,00
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Buscadero, gennaio 2011
In una notte piovigginosa di una crociera per l’anniversario di matrimonio, Chaz, marito irrequieto e con parecchio da nascondere, afferra le belle caviglie della moglie e la fa volare nell’oceano. I motivi dell’agguato sono incomprensibili per Joey, la consorte che lotta nelle acque turbolente, ma hanno radici profonde in una storia di corruzione, di debolezze, di ambiguita’ e di violenza che inevitabilmente chiama vendetta. Non contento di aver fatto volare la moglie nell’oceano, Chaz sparera’ anche all’amante, non prima di averla denigrata declassandola, in una conversazione, a “donna delle pulizie”. Errore ancora piu’ grave di puntarle contro una pistola: nella vita di Chaz c’e’ sempre “una donna di troppo” e dato che la sua incontenibile (diciamo cosi’) energia lo spinge a considerare la condizione femminile soltanto nella cornice delle prestazioni sessuali ed erotiche (e anche qui siamo nel campo degli eufemismi) non sono insolite o fuori luogo altre voglie che mettono, piu’ del piacere, la vendetta in cima alle preoccupazioni quotidiane.
“Una donna di troppo” e’ una commedia degli equivoci guidata da un personaggio cosi’ viscido, imbranato, imbelle e improbabile nel suo incontinente priapismo da risultare persino simpatico, visto che alla fine gliene combinano di tutti i colori (la vendetta, qui, oltre ad essere gustata fredda, ha parecchie portate). Se non bastasse Chaz c’e’ soltanto l’imbarazzo della scelta a partire dalla sua guardia del corpo (o custode, la differenza con il passare delle pagine si fa minima) che viene chiamato Tool (il nome dice gia’ tutto) e a cui non sembra vero che il destino abbia riservato un minimo di redenzione.
Per andare in pareggio con i tratti comici ed esilaranti che in fondo sono gli elementi trascinanti di “Una donna di troppo”, la commedia prende fosche tinte noir, anche se Carl Hiaasen non rinuncia mai all’ironia, al sarcasmo e a una divertita perfidia nel rivelare per gradi una storia molto intricata ma anche piuttosto attuale. Come se il gesto inconsulto di Chaz all’inizio di tutto, fosse un sasso buttato nello stagno e i cerchi concentrici si fossero allargati fino a schiarire la misteriosa trama. Svelata con un riflesso ecologista proprio dov’era cominciata, nelle paludi delle Everglades, nell’acqua, metafora nemmeno tanto velata dell’essenza femminile di tutta la vicenda. E’ anche logico perche’ e’ da li’ che prende forma l’intrigo, che pero’ viene tenuto sommerso per gran parte del romanzo, come se i danni maggiori, comunque, gli esseri umani li facessero sempre a se stessi.
Brillante, divertente, frenetico Carl Hiaasen (uno che scrive sotto una fotografia dei Rolling Stones a New York nel 1964) oltre al film di riferimento (“Quei bravi ragazzi” di Martin Scorsese) fornisce anche la colonna sonora ideale: tra gli altri cita Neil Young (con una certa frequenza e sempre nei momenti giusti), ma soprattutto George Thorogood che pare accostarsi alla perfezione alla spensierata vitalita’ di Chaz e dedica il libro a Warren Zevon a cui non sarebbe affatto spiaciuta questa storia di donne risolute e dure a morire.
Marco Denti
(recensioni Una donna di troppo)
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Angeli perduti del Mississippi di Fabrizio Poggi – Euro 15,00
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Alias, 10.4.11
…un altro testo significativo sul blues, “Angeli perduti del Mississippi-Storie e leggende del blues” (Meridiano zero). Ne e’ autore Fabrizio Poggi, un nome ben noto anche in ambito musicale: Poggi e’ un eccellente armonicista, all’opera sia in campo blues, sia nella ricerca sulle nostre musiche popolari e di tradizione orale. La particolarita’ del testo e’ di essere organizzato come un vero e proprio prontuario alfabetico del blues, dalla a di ‘Alabama’ alla zeta di ‘Zydeco’, il blues degli afroamericani creoli della Louisiana. Nel mezzo ci trovate di tutto: biografie condensate dei grandi protagonisti, spiegazioni di come il termine ‘banjo’ sia in realta’ il risultato di un lungo slittamento fonico di una parola africana, il rapporto di Bob Dylan con il blues, le espressioni intraducibili, a prima vista, che in realta’ nascondono prodigi di ‘double talking’, di doppio o triplo significato. Da tenere sotto mano.
Guido Festinese
(recensioni Angeli perduti del Mississippi)
Letto 4431 volte.