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Lo smemorato del Colle rinnega i vecchi amori comunisti

10 Giugno 2012

di Francesco Borgonovo
(da “Libero”, 10 giugno 2012)

Se qualcuno è stato comunista, quello è sicuramente Giorgio Napolitano. Nell’intervista concessa all’ex dissidente Adam Michnik (direttore del giornale polacco Gazeta Wyborcza) e ripresa ieri da Repubblica, il presidente non si è cimentato in acrobazie veltroniane negando il suo passato, e gliene va reso merito. Forse però è il caso di notare qualche piccola dimenticanza in cui lo smemorato del Colle è incorso. La parte più interessante della conversazione riguarda gli «errori » che Napolitano attribuisce al Pci, a cui aderì nel 1945. Il presidente spiega che il moloch di Botteghe oscure «non era un partito stalinista come molti altri in quanto aveva una fondamentale matrice antifascista e democratica e comprendeva forti componenti liberali ». Poi riconosce che esso «portava nel suo Dna il mito dell’Unione sovietica e il legame col movimento comunista mondiale. Questi elementi originari, a un dato momento, sono diventati una prigione della quale il Pci doveva liberarsi ».

Poco dopo, tuttavia, Michnik chiede a Napolitano di commentare l’intervento militare sovietico in Ungheria del 1956. Risposta del presidente: «Fu una tragedia, anche per il Pci, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. Poi, anche prima che si ammettesse l’errore, si comprese la lezione ».

Napolitano sembra commentare i fatti con un certo distacco. Peccato che tra coloro che appoggiarono l’intervento sovietico ci fosse anche lui. Anzi, egli si rese protagonista – durante l’VIII congresso del Pci (8-14 dicembre ’56) – di un durissimo intervento contro il compagno Antonio Giolitti, uno dei pochissimi ad avere il coraggio di contestare l’Urss. «L’intervento sovietico in Ungheria », disse il giovane Giorgio, «evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente [ha] contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione (…), non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo ».

Altro particolare rilevante dell’intervista riguarda l’antisovietismo di Napolitano, a cui Adam Michnik chiede: «Quando ha pensato che il modello sovietico non era quello che ci voleva? ». Risposta: «A partire da Dubcek: la Primavera di Praga fu per me assolutamente rivelatrice ». Quindi l’inquilino del Colle avrebbe preso le distanze dall’Urss già nel 1968 (anno in cui lo stesso Michnik veniva incarcerato dal regime polacco).

Forse ricorda male le date. Citiamo in proposito alcuni documenti dal libro Compagno Napolitano (Kaos edizioni). «Tenere ferma la nostra linea significa (…) evitare ogni scivolamento sul piano dell’antisovietismo, ribadire il nostro profondo convincimento sul valore non solo storico, ma attuale della funzione mondiale dell’Urss » (1969). «Noi abbiamo respinto nel modo più fermo tutti i tentativi di farci spezzare o anche soltanto indebolire i nostri legami con gli altri partiti comunisti e operai, e prima di tutto con il Partito comunista dell’Unione sovietica » (1970). «La figura di Lenin, teorico e artefice della prima grande rivoluzione socialista, è oggi, per i giovani che si schierano contro il capitalismo, un luminoso punto di riferimento » (1970). «Il gigantesco sviluppo, le grandiose conquiste del primo Paese socialista, del Paese di Lenin, dell’Unione sovietica (…) hanno mutato profondamente i termini della situazione mondiale » (1970). «Quel che si ignora (…) è la ricchezza e la complessità della vita culturale, della ricerca, degli studi, in Paesi che hanno innegabilmente conosciuto, grazie alla trasformazione socialista, uno straordinario elevamento del livello di civiltà e di cultura delle masse » (1972).

Dulcis in fundo, un ricordo dell’anno 1974. Aleksandr Solzhenitsyn, autore di Arcipelago Gulag, viene espulso dall’Urss. Napolitano spiegò sull’Unità che lo scrittore aveva assunto «un atteggiamento di “sfida” allo Stato sovietico e alle sue leggi ». E precisa: «Che questa ormai aperta, estrema “incompatibilità” sia stata sciolta dalle autorità sovietiche non con una incriminazione di Solzhenitsyn, ma con la sua espulsione, può essere considerato più o meno “positivo” ». Niente male, per uno che era antisovietico dal ’68.


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Bart