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L’opposizione ridotta a metter zizzania

9 Gennaio 2011

Il Pd in modo particolare non ha mai camminato con le sue gambe. Fino al novembre del 1989, data della caduta del muro di Berlino, il suo punto di riferimento era l’URSS di Stalin e di Breznev. Già Kruscev cominciava a impensierirlo. L’URSS era un punto di riferimento poiché da Mosca partivano le istruzioni e i rubli per il sostentamento dell’organizzazione comunista più forte in Occidente.

Una volta caduto il muro, una volta disfatta l’URSS, il vecchio Pci si è trovato costretto a camminare con le proprie gambe, esercizio a cui non era abituato.
Già adulto, non ha trovato in sé la naturalezza del bambino che impara spontaneamente a camminare. Quel poco che è riuscito ad imparare lo ha costretto, ahimè, su di una sedia a rotelle, da cui ogni tanto si alza per compiere, barcollante, pochi e striminziti passi, e mai nella stessa direzione.

Non si può che spiegare con questi dati storici l’immaturità e la confusione che regnano sovrane in questo partito, oggi denominato Pd. Anche la corsa verso nomi differenti (la scomparsa addirittura della vecchia falce e martello) certifica uno sbandamento che ancora persiste.

Avete mai visto l’attuale Pd (ex Pci) presentare agli elettori un proprio candidato alla carica di presidente del Consiglio? Mai. Si è sempre dovuto appoggiare a qualcun altro, così come un tempo si appoggiava all’URSS di Stalin e di Breznev.
Una vecchia abitudine che è rimasta e che non si può più curare, probabilmente perché ormai costitutiva del suo dna.

Per andare al governo una prima volta ha dovuto avvalersi di un vecchio boiardo democristiano, Romano Prodi. E per arrivare ad occupare la poltrona della presidenza del Consiglio ha dovuto ricorrere ad una congiura di palazzo, mandando a casa Prodi a metà legislatura per sostituirlo con l’uomo del cachemire, Massimo D’Alema.

D’Alema, al pari di qualsiasi altro ex comunista, non si è mai presentato direttamente agli elettori come candidato alla presidenza del Consiglio, da quando ciò è consentito dalla legge elettorale del 2005.

Ancora oggi, come tutti possono constatare, il Pd è seduto sulla sedia a rotelle, malconcio e malfermo.
Infatti, per conquistarsi un posto al sole, ossia al governo, non lancia la sfida con propri candidati, ma continua a barcollare, agendo trasversalmente.

La sua strategia azzoppata e miope è diventata quella di mettere zizzania e di fomentarla. Ieri si è servito dell’utile idiota Fini, ed oggi, sbatacchiato contro il muro il primo, mette zizzania corteggiando Tremonti.

Naturalmente i quotidiani spalleggiatori, che una ne sbagliano e mille pure, come ad esempio la Repubblica, fanno da sponda cercando di insinuare in Berlusconi ogni tipo di sospetto contro il suo ministro, nella speranza di far deflagrare una lite creata sul poco se non addirittura sul nulla. Ancora, come ieri, ci soccorre Shakespeare con il suo Otello. Ma il Pd non è Jago; e soprattutto Berlusconi, che di donne ne ha da far invidia a tanti, non è Otello.

Il gioco è tanto mai scoperto da far sorridere. È una certificazione di immaturità di cui nessun dirigente piddino si accorge. Spero che i suoi lettori ne avvertano il ridicolo crescere ogni giorno di più.

Insieme a Tremonti, si corteggia anche Casini, promettendogli mare e monti. Perfino a Bossi si offre un federalismo (fino a ieri inviso) quasi su carta bianca, pur di schiodarlo da Berlusconi.
Non c’è pudore che tenga.

Sarebbe un tale malato cronico, che non è mai cresciuto, a pretendere di salire alla guida del Paese?
Stupisce che ancora ci sia qualcuno in Italia disposto a credergli.

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1 commento

  1. Commento by Mario Di Monaco — 9 Gennaio 2011 @ 10:45

    Nonostante i suoi vacui e frequenti proclami al dialogo, anche il nostro Presidente della Repubblica soffre, a mio avviso, di quell’insana prerogativa del PD di seminare zizzania. Non so se consapevolmente o meno, ma ogni volta che affronta un qualsiasi argomento con il dichiarato proposito di favorire la distensione fra le varie forze politiche sferra colpi bassi che producono in realtà contrasti, soprattutto nella maggioranza, a cui il premier deve porre faticosamente rimedio.

    Insomma, come si dice, predica bene ma razzola male.

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