Mann, Thomas7 Novembre 2007 “La morte a Venezia”Ci credereste che desidero qui citare questo noto scrittore non per “I Buddenbrook” o “Doctor Faustus” o “La montagna incantata”, sibbene per questo libriccino piccolo piccolo, un autentico gioiello letterario?  Quando si pensa ad un capolavoro, di solito s’immagina anche un testo voluminoso ed impegnativo (e lo sono, infatti, le altre opere dello scrittore che ho citate); in realtà , il capolavoro si rivela nell’armonia, nella bellezza e nei turbamenti che sa ispirare, e non si misura a peso o a numero di pagine. Thomas Mann è uno di quegli scrittori che reputo intellettuali, e perciò non amo; i suoi testi si snodano e rotolano come massi pesanti, mentre a me piace avvertire in un narratore quel piacere del raccontare che si deve trasmettere a tutti (lo gustiamo in modo superbo in Dickens). Ma Mann ha incontrato un momento felice della sua ispirazione in “La morte a Venezia”, in cui le sue riflessioni si fanno più morbide e persuasive e riescono ad entrare nell’animo del lettore. Lo stile si fa accettare ed assume quella piacevole scorrevolezza che ammalia. Aschenbach, turbato dalla bellezza di Tadzio, non è che uno strumento per dispiegare una inquieta vicenda di decadenza nella quale fa spicco, nel superbo capitolo 5, una Venezia ammorbata. Come è noto, dal libro Luchino Visconti trasse quel “Morte a Venezia”, che resta uno dei capolavori della cinematografia mondiale. Al termine del capitolo 2 troviamo questa frase molto vera: “l’arte è vita su un gradino più alto” e “la conoscenza sa, comprende, perdona, è priva di decoro e di forma, ha simpatia per l’abisso, è l’abisso.” (al termine del 5 °. Trad. Bruno Maffi) Letto 2522 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||