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Marcello Pera – Maurizio Belpietro – Piero Ostellino sulla situazione politica

23 Novembre 2011

Siamo stati annessi alla Germania. E ce lo meritiamo
di Marcello Pera
ex presidente del Senato
(da Libero, 23 novembre 2011)

Signor Direttore, la sostanza politica di ciò che è accaduto col Governo Monti ha un no ­me tecnico ben conosciuto da ­gli storici: nella lingua in cui questa operazione è stata con ­gegnata, si chiama Anschluss. L’Italia è stata ancora una volta forzosamente annessa alla pe ­riferia del Reich. È vero che c’è stata anche un’operazione simil-napoleonica da campagna d’Italia, ma essa è stata solo aggiuntiva e preventiva. A Pa ­rigi hanno detto: «Signori del Reich, noi possiamo solo spin ­gere il bottone come abbiamo fatto con la guerra in Libia, ma voi andate avanti. E quando toccherà a noi, ricordatevi dell’aiuto che ora vi diamo e non fateci troppo male ».

È a causa di questa portata storica dell’evento che, mentre il Presidente del consiglio co ­mincia i primi negoziati europei, merita riflettere sull’operazione Anschluss. In ­tanto, come si ricorderà, essa non è nuova. Già qualche an ­no fa un governo italiano, anch’esso composto di professori e banchieri, ne fece una detta ­ta dal medesimo Reich. Allora i Francesi dissero ai Tedeschi: «Voi volete l’unificazione della vostra nazione, ma noi abbia ­mo paura e allora vogliamo in ­gabbiarvi in una moneta uni ­ca, l’Euro ». Quelli risposero: «Sì, accettiamo, ma alla condi ­zione che l’Euro sia in realtà il Marco e che tutti siano vinco ­lati alla nostra moneta, ai no ­stri parametri, alla nostra Ban ­ca Nazionale ». Fu così che fummo annessi: un Euro un Marco, un Marco duemila lire. Non importa se con duemila lire si consumava un pasto e con un euro si dava una man ­cia. Anzi, siccome l’Euro-Marco era famelico, dovemmo persino pagare la “tassa per l’Europa”. I professori e ban ­chieri del Governo di allora ci spiegarono che era per il bene nostro, che così non avremmo avuto più guerre in Europa, che mai non saremmo finiti come l’Argentina. Diventarono popolari e ci guadagnarono persino dei premi.

UN PAESE SVENDUTO

Questo per dire anche che neppure allora l’operazione Anschluss sarebbe andata in porto se, come oggi, non aves ­se trovato la classe politica ita ­liana accondiscendente e re ­missiva, anzi, se l’Italia (di de ­stra, centro e sinistra) non fos ­se stata addirittura felice di svendere la sovranità popola ­re, la costituzione, la democra ­zia, il parlamento. Operazioni del genere richiedono quinte colonne, alle quali il Reich do ­manda di far passare un’impo ­sizione come una libera scelta, una sospensione delle prero ­gative democratiche come un atto di coraggio a vantaggio del “bene supremo del Paese”. Anche stavolta le quinte co ­lonne ci sono state, sono state abili, tempestive, e spregiudi ­cate con la carta costituziona ­le. Avranno anch’esse i premi che furono dati alle colonne precedenti, in loro onore si eri ­geranno altari e si celebreran ­no riti. La letteratura encomia ­stico cortigiana dei commen ­tatori politici, non so se ignara o solo leggera, lo sta già facen ­do.

Siccome l’operazione An ­schluss ha un precedente, non si deve pensare che sia esatta ­mente come il precedente. Stavolta è peggio. Basta con ­frontarla con operazioni simili che gli uomini del Reich han ­no condotto di recente con al ­tri paesi europei per capire che questa volta si è fatto un passo in più. Gli uomini del Reich si sono affacciati al Brennero e hanno detto: «Via tutti! ». Non hanno detto: «Via questo go ­verno », come in Portogallo, in Grecia e altrove. Hanno detto: «Via qualunque governo poli ­tico, via qualunque classe po ­litica, via qualunque partito politico. Vogliamo solo nostri emissari ». Questo, si converrà, è molto amaro. I Greci e tutti gli altri hanno arato l’onore delle armi: eliminato un presi ­dente del consiglio, a loro è stato concesso il diritto di sce ­glierne un altro. Agli Italiani, no. Siccome gli uomini del Reich conoscono la nostra sto ­ria e sanno bene quanto poco o nulla da noi siano conside ­rate la sovranità e dignità na ­zionale, hanno avuto buon gioco nel dire: «Via tutti i po ­litici italiani, solo tecnici ». Ela Sventurataha alzato la sbarra al Brennero senza muovere ci ­glio.

Si dirà: la Sventurata non poteva fare diversamente. E io sono d’accordo: non avevamo scelta, neanche stavolta pote ­vamo fare diversamente. Per ­ché Berlusconi aveva fallito la sua missione storica, non era più credibile, la sua immagine era diventata imbarazzante. E, sull’altro lato, perché nessuna forza di opposizione a Berlu ­sconi era, ed è stata, in grado di sostituirlo. Per limitarsi an ­cora a Berlusconi, non si può minacciare una rivoluzione a parole senza che ti piombi ad ­dosso una contro-rivoluzione di fatto. Non si può mettere in piedi un governo da poco e far credere che sia autorevole. Non si può sfidare il ridicolo senza sapere che anche di ri ­dicolo si muore. Perciò, è inu ­tile gridare ora alla democrazia tradita o invocarela Resisten ­za. È vero, la nostra democra ­zia è stata venduta e tradita, ma bisognava pensarci prima. Gli Inglesi, che da secoli sanno che cos’è una nazione, hanno in questi giorni strillato per contro nostro. Noi neanche una parola, non dico di prote ­sta ma neppure di preoccupa ­zione.

CE LA FAR�

Quanto al professor Monti, egli ora si presenterà agli uo ­mini del Reich e imiterà una frase storica: «So che tutto, compresa la vostra cortesia, è a favore di me; dunque, mettia ­moci d’accordo sulle clausole di annessione ». E, all’inizio, spread o non spread, ci riusci ­rà, perché l’uomo è compe ­tente, ha esperienza, è stima ­bile, e soprattutto ha licenza di cedere. Io personalmente lo stimo, ma mi perdonerà se ri ­cordo a lui e ai suoi, anch’essi stimabili, colleghi (non tutti, ché c’è anche una presenza fuori posto), che la loro qualità non è diversa da quella dei moltissimi uomini, professori e non, di centrodestra ai quali Berlusconi aveva promesso un sogno per poi lasciarli a bocca asciutta. Colpa nostra, ora toc ­ca al Professore. Altro che stac ­care la spina, c’è da fare am ­menda e ricominciare da ca ­po.

Ce la farà il Professore? Oltre alle molte che già conosce, ora egli dovrà imparare una disci ­plina in più: la politica. Quan ­do deciderà di riaprire le Ca ­mere (erano già chiuse da tan ­to tempo, ma nessuno se ne accorgeva) scoprirà che bestie sono il parlamento, i partiti, i gruppi, gli interessi, i negoziati, gli scambi, le pressioni, insom ­ma quel bel lavoro sporco che si chiama democrazia. Pren ­derà le misure che erano già state prese o erano in via di es ­serlo. E vi aggiungerà quelle che il precedente Governo non era riuscito a prendere, anche se gli Italiani, ove fossero stati trattati da adulti e non da guardoni, sarebbero stati d’ac ­cordo. Di nuovo: ce la farà? Siccome l’operazione è in cor ­so e ne va della nostra pelle, io posso solo augurarmelo, an ­che se vivo l’Anschluss come un’umiliazione.

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Napolitano adotta i clandestini
di Maurizio Belpietro
(da Libero, 23 novembre 2011)

Dopo essere stato insediato in tutta fretta per sot ­traile il Paese alla bancarotta, del governo dei sec ­chioni si è persa traccia. Il primo Consiglio dei mi ­nistri si è concluso con un fondamentale decreto attuativo di Roma Capitale, quindi il premiere partito per un giro nelle altre capitali. Nessuna notizia dai responsabili dei vari dicasteri, i quali, in ossequio al silenzio stampa imposto dal presidente del Consi ­glio, hanno deciso di disertare i talk show, asserra ­gliandosi negli uffici loro affidati. Zitti pure gli esponenti dell’ex maggioranza: dopo aver parlato e qual ­che volta straparlato, oggi paiono colpiti da muti ­smo. Una sindrome che non ha risparmiato neppure l’ex opposizione, i cui membri, forse per non di ­sturbare il manovratore, paiono soggetti

a un’improvvisa afonia. Tra tante bocche cucite, a non aver perso la voglia di far sentire la propria voce è il capo dello Stato, cioè il vero comandante in capo dell’esecutivo appena nominato. Il presidente, infatti, anche ieri non ci ha fatto mancare la sua parola e, du ­rante un incontro svoltosi sul Colle, ha dichiarato di augurarsi che in Parlamento si possa affrontare la que ­stione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da im ­migrati stranieri. «Negarla è un’autentica follia, un’as ­surdità », ha sentenziato Napolitano. Ora, si può essere favorevoli o contrari alla tesi del capo dello Stato, ma su una cosa si può convenire e cioè che mai come oggi l’argomento pare escluso dall’ordine del giorno.

Come possono una Camera e un Senato commissa ­riati, che solo la crisi ha costretto a dire sì al governo tecnico, discutere di una riforma chiave come quella della cittadinanza? C’è qualcuno che può immaginare un sereno confronto sul tema a un anno e mezzo dalle elezioni? Soprattutto in un momento in cui la gente è preoccupata per la crisi, teme di perdere il proprio posto di lavoro e di peggiorare la propria condizione economica? Il rischio sarebbe una guerra tra poveri, con gli italiani più indigenti che guardano in cagnesco i nuovi arrivati contestandone i diritti.

Non solo: ma con i bambini nati dai clandestini co ­me la mettiamo? Ai piccoli diamo la cittadinanza, mentre i loro genitori li mettiamo alla porta? Oppure ospitiamo le famiglie clandestine fino al raggiungi ­mento della maggior età del bimbo che ha acquisito la cittadinanza italiana? E se fare figli diventalo strumen ­to per aggirare la legge e il conseguente rimpatrio, che si fa? La materia ovviamente avrebbe bisogno di lunghi approfondimenti, ma gettata nel mezzo del dibattito politico, quando l’opinione pubblica ha i nervi a fuor di pelle perché in pena per i propri risparmi, c’è peri ­colo di far divampare un incendio.

Perché dunque il presidente, uomo misurato e pi ­gnolo, che i cronisti ricordano come attentissimo alle parole, ieri si è messo a discettare di libertà religiosa e di diritti degli immigrati? Ora chela Legaè all’opposi ­zione, ha forse ritenuto che si siano allentate le moti ­vazioni che suggerivano di non discutere di certe fac ­cende? A essere sinceri non abbiamo una risposta, ma una sensazione sì. Ovvero, annusando l’aria, ci pare che passando i giorni e dimenticando le origini assai poco popolari del governo presieduto da Mar io Monti, il presidente voglia ricordare che l’esecutivo è nelle sue piene funzioni. Altro che ministeri tecnici, cui è stato affidato un mandato a breve, limitato ai temi di com ­petenza economica. Ogni giorno che passa si capisce semmai il contrario e cioè che l’ex rettore della Bocconi non è affatto un premier dimezzato, ma anzi ha inten ­zione di usar e i mesi che lo separano dalle elezioni per dar corso a una serie di riforme benedette dal Colle.

Di quella riguardante il sistema elettorale si è già parlato, sugli immigrati ha provveduto ieri a colmare la lacuna il capo dello Stato, ma non è detto che nei pros ­simi giorni non spunti altro. Più passa il tempo e più si comprende come l’urgenza che ha portato Mario Monti e i suoi ministri a Palazzo Chigi non era econo ­mica, ma tutta politica. A noi non piace parlare di com ­plotti e ancor meno ci appassioniamo ai misteri che piacciono tanto a certi cronisti pistaioli. Preferendo stare ai fatti, constatiamo che ci si è serviti della finanza per fare piazza pulita del Cavaliere e dei suoi cari. Obiettivo nobile secondo alcuni: ma c’è qualcuno in grado di spiegarci dove ci vogliono portare i nuovi ti ­monieri?

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Quei vecchi fantasmi nascosti dietro l’idea di sacrifici ed equità
di Piero Ostellino
(dal “Corriere della Sera”, 23 novembre 2011)

Nel lessico del presidente del Consiglio è comparsa un’espressione che è più una concessione alla demagogia che il pensiero di un economista liberale: «Ora sacrifici per chi ha dato di meno ». È il solito omaggio del vizio â— (di) mettere le mani nelle tasche degli italiani â— alla virtù, l’equità, per giustificare l’arrivo di nuove tasse. Se, in Italia, c’è «chi ha dato di meno » non è per virtù dello Spirito santo, ma perché la politica protegge le corporazioni più forti. Al Senato, Monti aveva pronunciato spesso la parola «crescita » e poco quella «sacrifici ».

Poiché la crescita non dipende tanto dal governo â— che se mai, quando si sovrappone alla società, limitandone le libertà, la deprime â— quanto dalle forze sociali, la parola pareva significare che il governo si metteva al servizio dei cittadini per accrescerne le libertà nella produzione di ricchezza; non pretendeva si ponessero essi al suo servizio, come suggerisce la parola «sacrifici ».

Non era stata la preminenza (ideologica) dell’anima cattolico-liberale su quella cattolico-sociale del professor Mario Monti, che convivono in lui pacificamente; ma ima dichiarazione programmatica da concretare con provvedimenti governativi. Segnalava una «discontinuità » rispetto a quella (retorica) auspicata dai gattopardi quando vogliono andare al governo per cambiare qualcosa affinché tutto rimanga come prima. Di tale conservatorismo ha dato prova la capogruppo del Partito democratico, signora Finocchiaro, quando ha impugnato la Costituzioneper dire cosa chiede il suo partito: una forte redistribuzione della ricchezza attraverso nuove tasse. Roba da socialismo reale, non da socialismo scandinavo, dove le tasse servono per pagare i servizi sociali e non penalizzano â— si veda l’ultimo libro di Luca Ricolfi (La Repubblica delle tasse) â— i produttori di ricchezza, imprenditori e lavoratori. Una dichiarazione non di fedeltà alla Costituzione, bensì alla cultura che l’ha generata in una fase storica dalla quale il mondo è uscito col fallimento del socialismo reale, la metamorfosi del comunismo cinese e la crisi del keynesismo; dei quali la signora Finocchiaro pare non essersi accorta.

Con la parola «sacrifici » e con l’espressione «per chi ha dato di meno », torna il lessico del conservatorismo del vecchio establishment. C’è chi ha accusato il presidente del Consiglio e la maggioranza dei suoi ministri â— gente che negli ultimi vent’anni è stata nei Consigli di amministrazione delle maggiori aziende pubbliche e private nazionali â— di essere «i poteri forti al governo ».

Un’accusa â— nella sua ridicola accezione «classista » â— speculare a quella della sinistra quando sostiene la natura di classe dell’imposizione fiscale. Il governo per rassicurare il Paese â— non ha bisogno di provare, con testimonianze personali, che non è «i poteri forti ». Mostri di voler cambiare davvero: meno vincoli legislativi e amministrativi; mercato del lavoro più flessibile; radicale riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale; liberalizzazioni e dismissioni di parie del patrimonio demaniale; ripristino dello Stato di diritto, e della certezza del diritto, da parte anche di una Pubblica amministrazione, pletorica e oppressiva, da ridurre drasticamente.

Un segnale positivo lo dà, per ora, la riforma, in senso «contributivo » della previdenza sociale, preannunciata dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, moglie di Mario Deaglio, due vecchi amici (di sinistra), cresciuti all’ombra di quel bel cenacolo liberale che è stato il Centro Einaudi. Non ci sarebbe neppure più bisogno di fissare autoritariamente l’età del pensionamento â— che peraltro la riforma ancora prevede â— perché ciascun lavoratore la potrebbe decidere autonomamente sulla base dei contributi versati e della previsione di pensione che si aspetta di percepire. Un residuo della cultura dirigista e burocratica (europea) è, invece, la rivendicazione, da parte del professor Monti, come ex commissario dell’Ue, di aver fatto pagare care le tentazioni anticoncorrenziali della Microsoft. Caro Mario, porto a testimone la stampa anglosassone, da te stesso citata, che ti ha definito il Saddam Hussein â— bada: non l’Abramo Lincoln

del business, per ricordarti che, in uno Stato liberale, la burocrazia avrebbe istruito la pratica e un giudice terzo l’avrebbe sanzionata con ima sentenza. La multa inflitta dall’Ue è stata l’esecutorietà della sanzione amministrativa da parte di una burocrazia.

La prevede anche la nostra Pubblica amministrazione. Un abominio. Una delle tante cose che, da quel liberale che sei, ci aspettiamo che il tuo governo vorrà cancellare.

Altri articoli

“Il governo Monti? Un golpe Per Sansonetti l’artefice è Napolitano l’antidemocratico” di Domenico Ferrara. Qui.

“Giustizia, adesso lo dice anche Napolitano: “Serve un codice deontologico per le toghe” di Andrea Indini. Qui.

“Ma a governare così sono capaci tutti” di Salvatore tramontano. Qui.

“Fondatori non affossatori” di Mario Sechi. Qui.


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Bart