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Massimo D’Alema, tocca a te!

30 Dicembre 2009

Ho sempre preferito Achille Occhetto a Massimo D’Alema. Più trasparente, più entusiasta, più spontaneo, rispetto al furbo ed enigmatico pensatore, che praticamente siede sulla scranna più alta del partito dalla morte di Enrico Berlinguer. Dietro ogni scelta c’è lui. Bersani ne è l’esempio più recente.

Può essere davvero che questa volta D’Alema pensi seriamente alle riforme e voglia contribuire a togliere di mezzo ogni ostacolo per riuscirvi, dando perfino una mano a sconfiggere l’antiberlusconismo. Fu lui a denunciare quanto male esso producesse sul Paese. Ebbe molto coraggio, ed infatti ci furono i soliti che campano su Berlusconi a gridargli contro.

Non si dimentichi che Franceschini, sebbene abbia guidato per pochi mesi il Pd, fece dell’antiberlusconismo la bandiera della sua segreteria. In ciò aiutato dalla passionaria e barricadera Rosy Bindi.

Per liberarsi del nocivo antiberlusconismo c’era da fare una sola cosa, dunque, cambiare il segretario, e D’Alema pensò a Pierluigi Bersani, uomo con i piedi per terra, la cui prima dichiarazione, infatti, al momento della sua candidatura fu che Berlusconi non si combatteva con l’antiberlusconismo, ma costruendo una politica alternativa.

Tutti sanno come sono andate le cose. D’Alema ha vinto alla grande, e Bersani è oggi il nuovo segretario del Pd.
Tutto quindi avrebbe dovuto scorrere su binari tranquilli. Ma perché non è così e la voce di Bersani si sta illanguidendo?

La ragione sta nel fatto che D’Alema non ha avuto la mano forte nel momento che la nuova segreteria ha dovuto scegliere la propria dirigenza. Franceschini è stato lo sconfitto per eccellenza, eppure non gli si è negata la carica di capogruppo del Pd alla Camera. La Rosy Bindi è uno dei maggiori rappresentanti dell’antiberlusconismo, insieme con Franceschini e Antonio Di Pietro, eppure le si è assegnata la presidenza del partito.

D’Alema, perciò, che aveva condannato l’antiberlusconismo e si era battuto per Bersani apposta per ottenere questo risultato, ha fatto rientrare dalla finestra ciò che aveva fatto uscire dalla porta.

Assegnare due cariche così prestigiose a ben due esponenti dell’antiberlusconismo è stato un errore imperdonabile. Non riesco a capire perché D’Alema lo abbia commesso. Chi vince deve sempre guardarsi le spalle dagli avversari più insidiosi; è una regola che non confligge con la democrazia. Che cosa ha impedito alla maggioranza uscita vincitrice al congresso di occupare anche le due importanti poltrone andate a Rosy Bindi e a Franceschini?

Se con questa mossa si è voluto evitare una qualche lacerazione del partito, D’Alema doveva prevedere che quella decisione rimandava semplicemente la resa dei conti. Non solo, ma avrebbe paralizzato le scelte del partito.

Oggi, se D’Alema e Bersani desiderano veramente porre mano alla riforma dello Stato, devono prima e subito affrontare quella resa dei conti che vollero eludere. Rispetto ad allora, la partita si è fatta indubbiamente più difficile. Quelle due cariche consegnate in mano a due antiberlusconiani per eccellenza pesano come due macigni. Franceschini e Bindi non accetteranno mai riforme che in qualche modo valorizzino il ruolo dell’attuale presidente del consiglio, fossero anche le migliori in assoluto. Il loro no è pregiudiziale, frutto dell’odio verso una persona e non dell’interesse generale del Paese. Per loro l’Italia può pure sfasciarsi, purché con lei si sfasci anche Silvio Berlusconi.

E’ chiaro che con queste pesanti catene ai piedi, il Pd ha praticamente precluso ogni movimento riformista che sia veramente tale, e non camuffato.

La Bindi e Franceschini sono, inoltre, i più attratti dal giustizialismo dipietresco e non a caso corsero al No B-Day portandovi il loro entusiasmo, ad un tempo goliardico e barricadero.

Non se n’è parlato molto, perché i giornali amici pensarono bene di mettersi la museruola, ma quella partecipazione fu il primo grande schiaffo alla segreteria di Bersani e al suo anfitrione D’Alema.

D’Alema si è dimenticato molto probabilmente che un’alleanza con Di Pietro la sperimentò il suo predecessore Achille Occhetto alle elezioni regionali del 2001 e il risultato è sotto gli occhi di tutti, con una causa ancora in corso tra lo stesso Occhetto e Di Pietro.

La Bindi e Franceschini vogliono mantenere e rafforzare una tale alleanza, e si sa che Di Pietro di riforme non vuol sentire nemmeno l’odore.

E allora?
Può D’Alema proclamare la necessità di sedersi al tavolo delle riforme e contemporaneamente portarsi dietro due grossi esponenti del partito che gli remeranno contro?
Quale linea riformatrice del suo partito rappresenterà mai Bersani? Quella della maggioranza dalemiana uscita vincitrice dal congresso – come dovrebbe – o l’ala antiberlusconiana?

Non è possibile che tanto D’Alema quanto Bersani pensino di contribuire alla riforma dello Stato senza chiarire prima a se stessi e al Pd che la loro linea di riforma non potrà che prescindere dalla presenza di Berlusconi al governo. La riforma dovrà muoversi nell’unica direzione possibile, quella dell’interesse generale dello Stato. Perciò dovrà essere obiettiva e rispondere ad una sola domanda: Questa riforma è utile allo Stato? Se la risposta sarà sì, si dovrà procedere senza alcuna riserva mentale.

Mentre, se qualcuno dovesse porsi anche una seconda domanda, ossia: Questa riforma è utile anche a Berlusconi? pensando che Berlusconi non sia un cittadino come gli altri, e questa seconda domanda dovesse essere messa sul piatto delle riforme, allora qualunque sforzo in buona fede di procedere alla riforma dello Stato sarebbe vano, nonché una dannosa perdita di tempo.

Tocca dunque a D’Alema, lo sponsor autorevole della nuova segreteria del Pd, fare in modo che le carte non siano truccate, se la sua volontà riformatrice è sincera.
E perché le carte non siano truccate, occorre fare chiarezza all’interno del Pd e, se necessario, arrivare, prima del confronto con la maggioranza, ad una resa dei conti tra l’anima riformatrice e quella antiberlusconiana.

Perfino un sia pur minimo residuo di antiberlusconismo potrebbe essere fatale se portato, con tutta la sua forza incendiaria, al tavolo del confronto.

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Travaglio su D’Alema (video). Qui.


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6 Comments

  1. Commento by Ambra Biagioni — 30 Dicembre 2009 @ 20:27

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    Temo, caro Bartolomeo, che D’Alema abbia in mente un progetto più ambizioso: un’alleanza palese con Casini e una nascosta con Fini.

    Comunque sia sarà una stagione dura.

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 30 Dicembre 2009 @ 21:21

    Non è da escludere, Ambra. D’Alema se li beve, i due, in una sola sorsata.

  3. Commento by Ambra Biagioni — 30 Dicembre 2009 @ 21:24

    Per quanto sia su tema diverso, è l’associazione dei nomi che induce a pensare come si cerchino tutte le strade per consolidare alleanze sospette

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 30 Dicembre 2009 @ 21:30

    Fini, Casini e Violante sono i tre ultimi presidenti della Camera, carica che probabilmente coincide con quella ricoperta da Karroubi.

  5. Commento by Ambra Biagioni — 30 Dicembre 2009 @ 21:36

    Forse hai ragione, ma io intravedo prove di compatibilità che non mi piacciono.

    D’altra parte Violante cerca alleati perché, per la riforma sulla giustizia, si riporti a galla la sua proposta e possa quindi aver voce in capitolo.

  6. Commento by Ambra Biagioni — 31 Dicembre 2009 @ 10:06

    Qui i commenti sul Legno

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