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MUSICA: I MAESTRI: Bach organista tra Weimar e Lipsia

14 Settembre 2012

di Lionello Cammarota
[da “La Fiera Letteraria”, numero 10, giovedì 9 marzo 1967]

Giovanni Sebastiano Bach contava appena diciotto anni quando nel 1703 eb ­be ad Arnstadt il suo primo impiego. Il contratto lo invi ­tava a svolgere le mansioni di organista nella Chiesa Nuova, risorta appena da vent’anni sul ­le rovine della secolare chie ­sa di S. Bonifacio, e continua ­va in questi termini: «… avre ­te buona, cura dello strumento conservandolo con ogni dili ­genza, avvisando subito di qual ­siasi difetto avesse, rammen ­tando subito ogni necessaria ri ­parazione, proibendo a chiun ­que di sonare su di esso sen ­za previa licenza del signor Sopraintendente; e adopererete ogni migliore diligenza vo ­stra per preservarlo da ogni danno e per tenerlo in buono stato e ordine… ». L’organo per il quale le autorità chiedevano tanta cura era da poco uscito dalle mani del costruttore Wender, ed è attualmente conser ­vato integro presso il museo di Arnstadt, con manuali, pe ­dali e registri disposti così co ­me erano al tempo di quel con ­tratto con Bach.

Comunque, già prima di que ­sto impiego, Bach se n’era qua ­si assicurato uno simile a Sangershausen, dove era deceduto da circa un anno l’organista Grafenhayn; ma a causa del ­l’età troppo giovane gli fu pre ­ferito un certo Giovanni Ago ­stino Kobelius. Sia a Sangershausen e sia ad Arnstadt Gio ­vanni Sebastiano turbò profon ­damente l’uditorio, allorché dette mostra delle proprie ec ­cellenti qualità tecniche, e da r ei momenti il diffondersi della sua fama, quale insupe ­rabile organista, andò sempre aumentando. Gli anni di Wei ­mar, quelli di Köthen e di Lip ­sia, non faranno poi che im ­porlo fra i contemporanei an ­che al di fuori della Turingia e della Sassonia. Ma tanta notorietà in vita, accentrata sulle sole doti di virtuoso del ­l’organo, fu nociva per il Bach compositore, e ne offuscherà la grandezza anche dopo la morte.

Era necessaria questa pre ­messa per poter comprendere di quale entità sia stata l’in ­clinazione di Giovanni Seba ­stiano verso la tastiera dell’or ­gano, e per porre tutta la pro ­duzione bachiana nella sua più vera e più semplice luce: un monumentale edificio scaturi ­to dalle esperienze organisti ­che. Allorché egli si rivolga al ­le voci o agli strumenti di una orchestra, si ha sempre una visione architettonica struttu ­ralmente derivata dalla compa ­gine dell’organo; si potrebbe parlare addirittura di proiezio ­ne di medesimi elementi su piani diversi. Ecco che, pur ri ­manendo comunque capolavori le cantate, gli oratorii, i con ­certi e ogni altra composizio ­ne nata da quell’ingegno, sarà sempre la musica organistica a doversi considerare al di so ­pra di tutto, in quanto più di ­retto e più puro mezzo di co ­noscenza del genio di Bach.

E’ sull’organo che gli si con ­centrano tutte le complesse e svariate tendenze che hanno costituito il movimento storico a lui antecedente; i filoni cul ­turali che vi convergono si fon ­dono in nuova sintesi dando vita a una nuova sorgente d’ar ­te. Dalle maniere di J. J. Froberger, di J. K. Kerll, di J. Pachelbel attingerà il gusto del ­la variazione e della coloritu ­ra; dai maestri del Nord, cioè da D. Buxtehude, da J. A. Reinken e da G. Boehm ricaverà invece lo spirito della libera elaborazione contrappuntistica e della meditazione religiosa. La tecnica di Giovanni Seba ­stiano, pur nella ricchezza de ­gli espedienti costruttivi, degli schemi formali, degli sviluppi diatonici e cromatici e fin nel ­la più complicata tessitura, non tradisce mai il principio della essenzialità: ogni ele ­mento, il più piccolo, vive la sua esistenza in rapporto agli altri, necessario e indispensa ­bile, mai superfluo, natural ­mente concepito e risponden ­te a una precisa logica. Ma non si tratta solo di equilibrio formale: il tutto vibra intensa ­mente di espressione dramma ­tica; sono accenti ispirati e fre ­menti, interpreti di un sentire profondo che si concreta in immagini di monumentale grandezza.

Il concerto dell’organista Mi ­chael Schneider, alla Sala di via dei Greci dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, è sta ­to fra i migliori avutisi nel ­l’anno in corso. Le qualità tec ­niche e interpretative dello Schneider sono risultate eccel ­lenti sotto ogni aspetto, e han ­no pienamente rievocato l’in ­confondibile spiritualità di Bach. Ha aperto il programma la « Fantasia e Fuga in sol minore », fatta ascoltare secon ­do lo Spitta al Reinken nella Katharinen-Kirche di Ambur ­go dallo stesso autore nel 1720; quindi si è aggiunta la « II So ­nata in do minore », che fa parte, con la « VI Sonata » pu ­re eseguita, delle Sechs Sona ­ten dedicate al primo figlio Wilhelm Friedemann, composizioni queste ove è palese la de ­rivazione dalla struttura della sonata da chiesa italiana, e nel ­le quali vi sono in embrione gli elementi di’ ciò che realiz ­zeranno poco più tardi Piatti e Haydn.

Altra cosa eccelsa sono le un ­dici variazioni sul corale « Sei gegrüsset, Jesu gütig », deno ­minate come « Partite diver ­se ». Dopo il « Preludio e Fuga in re maggiore », che mostra un’accentuata somiglianza con altri lavori dello stesso Bach e del Pachelbel, il concerto ha avuto la sua conclusione con la celeberrima « Toccata e Fu ­ga in re minore ». Peccato che una così alta manifestazione non sia stata adeguatamente accompagnata dalle note illu ­strative del programma: alla più che autorevole introduzio ­ne del Pannain segue una più che scadente guida ai pezzi eseguiti. E’ cosa, questa, spes ­so denunciata anche da altra ­stampa, alla quale l’Accade ­mia non crede di porre riparo. Peggio è poi l’aver dovuto leggere sui manifesti affissi in ogni angolo della città « Par ­tita sul corale » invece di « Par ­tite diverse sul corale », a pro ­posito delle variazioni sopra « Sei gegrüsset, Jesu gütig », il cui equivoco è dato dall’ignorare che con Partita s’intende Suite, mentre con Partite Diverse s’intende Variazioni (vedi le edizioni della Herausgegeben von der Bach-Gesellschaft, oppure le tavole tematiche dello Schmieder, o ancora il trattato di G. Bas sulle forme musicali, pagg. 187 e 222). E queste sono cose inammissibili.


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