MUSICA: I MAESTRI: Gli hobbies di Chopin21 Marzo 2012 di Luciano Chailly Il primo hobby di Chopin si manifestò quando, fan Âciullo, udì eseguire da un pianista un accordo talmente lato di estensione che le sue piccole mani non arrivavano a seguirlo: ideò allora e co Âstruì un curioso apparecchio da applicarsi tra le dita, e che egli portava giorno e notte malgrado il fastidio che gli procurava, allo scopo di allun Âgare le dita stesse e di disten Âdere la pelle interdigitale. Fin da ragazzo, inoltre, di Âmostrò una enorme passione per il teatro di prosa: riusciva assai bene nella recitazione ed era dotato di una particolare fa Âcilità nel mutare la propria fisionomia. Oggi si potrebbe di Âre che avesse attitudini per il cinema. A quindici anni scris Âse pure una commedia, che re Âcitò assieme ai suoi compagni di studio per festeggiare il compleanno del padre. Egli sapeva imitare perfet Âtamente i gesti, la voce, l’at Âteggiamento delle persone. Una volta si sedette al pia Ânoforte e « rifece » Liszt tal Âmente bene da poter essere scambiato con lui. Ma la sua migliore mutazione rimase quella del celebre violinista Pixis. Una sera, in teatro, Pi Âxis in persona entrò nel palco in cui erano installati gli ami Âci di Chopin, i quali, creden Âdolo Chopin travestito da Pi Âxis, gli batterono violentemen Âte le mani sulla schiena e gli risero in faccia dicendogli: « Ma va là , buffone! », provo Âcando lo sbalordimento, prima, i poi la vivace reazione del Pixis, sorpreso e indignato di quella stravagante accoglien Âza. Cliopin ebbe anche l’hobby della pittura, in particolare delle caricature. Al Liceo di Varsavia si rese famoso con una caricatura del direttore che, finita proprio nelle mani del « soggetto » messo in bur Âla, gli procurò, anziché il rim Âprovero che si aspettava, una lode per il tratto impeccabile del disegno e per la perfetta somiglianza. Nel 1825 dimostrò una vera mania per l’« oelomelodicon », nuovo strumento a tastiera, poi passato in disuso, a cui si dedicava con un trasporto fa Ânatico e che volle far sentire persino all’imperatore Ales Âsandro I., di passaggio a Var Âsavia, il quale, commosso dal talento del giovanetto-prodigio, gli fece dono di uno splen Âdido anello di brillanti. Chopin aveva il terrore che gli venissero sporcati i fo Âgli di carta pentagrammata delle sue composizioni. Aveva la fissazione di conservarli sempre puliti, rigidi, come nuovi. Una volta dovette mo Âstrare una partitura manoscrit Âta di un suo Concerto a un di Ârettore d’orchestra che aveva in animo di eseguirlo. Gli raccomandò subito di voltare le pagine lentamente e di non imbrattarle. Il direttore d’orchestra, per riguardo, si mise persino i guanti, e co Âminciò a leggere la partitura. Ma a un certo punto, improv Âvisamente, Chopin divenne tri Âste e taciturno: il direttore d’orchestra, fumando, gli ave Âva annerito con la cenere di Âverse pagine. Spendeva molto per la casa. Aveva la passione dei ninnoli, dell’argenteria, dei tappeti, dei lampadari di cristallo e dei fiori. In ogni stagione la sua casa era piena di fiori. E quan Âdo le sue amiche della nobil Âtà venivano a trovarlo, aveva Âno l’abitudine di portargli una rosa o un’orchidea, ch’egli metteva subito, personalmen Âte, in un vaso, restando poi a lungo a contemplarle, come un innamorato. A Parigi, il suo appartamento di via Pigalle era rinomato per un magni Âfico salone color caffè-latte, ric Âco di meravigliosi vasi da fiori giapponesi, arredato con mo Âbili verdi; in un angolo, c’era un grande scaffale in quercia carico di ogni curiosità , tap Âpezzato sulle pareti da tele di gusto raffinato, tra cui egli pre Âdiligeva «  L’Aurora » di Ca Âlamatta e i dipinti di Delacroix. Adorava l’intimità della sua abitazione. Anche durante il periodo di Nohant raramente usciva di casa. Faceva qualche breve passeggiata per cogliere fiori, ma presto tornava a chiu Âdersi nel suo studio. D’indole prettamente aristocratica, accettava soltanto allieve e ami Âcizie dell’alta nobiltà . Lo urta Âvano le risate volgari di certi amici della Sand appartenenti alle classi inferiori, le grida invadenti degli invitati, la con Âfidenza dei domestici, le sbor Ânie del fratellastro Ippolito. Non tollerava in particolare il frastuono, le voci alte, le di Âscussioni. Nessuno lo superava in di Âstinzione ed eleganza. Ci tene Âva in modo speciale, ai guanti. Vestiva come un prin Âcipe tra i principi che lo cir Âcondavano nei tanti salotti di cui era l’idolo e dove si reca Âva sul suo snello calessino per Âsonale, ch’era uno dei suoi vanti. La prima cosa che lo colpì a Berlino, e che subito scrisse al padre, fu che « le berlinesi vestono male; cam Âbiano molto, è vero, ma è un peccato per le belle stoffe sciu Âpate per tali pupattole ». Dei vari musicisti del passa Âto, ebbe una cotta, durante l’adolescenza, per Handel e Weber, ciò che un poco sor Âprende trattandosi di nature così diverse dalla sua. In se Âguito le sue preferenze s’indi Ârizzarono a Bach e, più di tut Âti, a Mozart, che rappresenta Âva per lui il tipo ideale di mu Âsica, il poeta per eccellenza. Aveva orrore del « fracasso pianistico »  come lo chiamava. Detestava il melodramma. Per Âfino certe cose di Beethoven non rispondevano ai suoi gu Âsti, perché troppo fragorose. Soffriva di vari complessi. Pri Âma di tutto, cosa insospettabi Âle in un concertista del suo ca Âlibro, era soggetto al timor panico. La folla lo intimidiva, si sentiva paralizzato dagli sguardi curiosi, dai visi estra Ânei. Quando poi veniva invitato a pranzo aveva sempre paura che, dopo il pasto, lo si pregas Âse di suonare. E una volta che la padrona di casa gli fece ca Âpire ch’era suo dovere ricam Âbiare, si irritò al punto di smentire per un attimo la sua tradizionale distinzione: prese il cappello e uscì dicendo che aveva mangiato talmente poco che poteva anche andare sen Âza rimorsi. Era geloso. Non era, natural Âmente, la sua, una gelosia co Âmune, ottusa. Era come un bi Âsogno di sentire suoi e soltan Âto suoi i pensieri, le aspira Âzioni, le fantasie dell’amata. Sentì talmente forte la fiam Âma dell’amor di patria da arri Âvare sino all’esaltazione. Nel 1830, da Vienna, lanciato a ve Âlocità pazza su di una carroz Âza, inseguì l’amico Titus Woyciekowsky per correre a com Âbattere in difesa della Polonia, ma non riuscì a passare il con Âfine. Il pensiero della patria in pericolo lo sconvolgeva ed era sempre presente nelle sue lettere e nelle sue composizio Âni di quel tempo. Nutrì pure un amore scon Âfinato per le melodie popolari della sua terra, che soleva cantare dolcemente, con gli occhi perduti nell’infinito, e che troviamo spesso trasferite e trasfigurate nella sua musi Âca. Da ragazzo ebbe anche la passione della danza paesana e talvolta si recava, ballerino perfetto, a far « quattro salti » nei dintorni di Varsavia. Sulla base di quei ritmi e di quel folklore sarebbero nate le «  Mazurche » e le « Polacche ». Durante gli ultimi tempi della sua vita, l’idea dell’im Âperfetto e dell’incompiuto lo torturava. Bruciava spietata Âmente tutto quello che iniziava. Ogni idea musicale gli sembrava, monca e stentata. L’ultimo incubo della sua natura ipersensibile e tormen Âtata fu quello di riprender vita nella tomba. Le estreme parole, scritte stentatamente di suo pugno, sono le seguen Âti: « Poiché la terra mi soffo Âcherà , vi scongiuro di fare aprire il mio corpo perché io non sia sepolto vivo ». Letto 2819 volte.  Nessun commentoNo comments yet. 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