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Ora li chiamano dossieraggi

6 Agosto 2010

Quando si ricevono le veline dalla magistratura e si getta fango sulle persone avversarie, tutto è ok. Quando invece sono i giornalisti a fare le indagini autonomamente e scoprono gli scheletri nell’armadio in casa dell’amico, allora il loro lavoro viene tacciato spregiativamente di dossieraggio.

Hanno cominciato a divulgare questo ordine di scuderia, al modo che facevano i comunisti di una volta, ieri Ferdinando Casini, che addirittura ha parlato di squadrismo, e oggi Flavia Perina in un fondo del Secolo d’Italia.

Siamo davvero alle comiche finali.

Proprio quando ci imbattiamo in giornalisti che fanno realmente il loro lavoro, e non aspettano l’imboccata di certi magistrati, si cerca di esporli al pubblico ludibrio, dimenticando che il compito del vero giornalista è, ove possibile, ficcare il naso laddove ci possano essere notizie interessanti per il lettore e per la collettività. Il giornalismo è questo, o meglio: anche questo.

Ma siccome si è trovato qualcosa di losco che può toccare la persona di Fini, i giornalisti dovrebbero fermarsi come davanti ad una specie di nuove colonne d’Ercole, al di là delle quali l’ignoto deve essere protetto.

Nessuno del Secolo d’Italia (paura dell’ex monarca?) che inviti, invece, Fini a fare chiarezza e a soddisfare, almeno con una conferenza stampa, gli interrogativi posti dalla vicenda.

Questo è, dunque, il rispetto che Fini ha della professione di giornalista? Anche D’Alema, nei confronti della stampa, aveva ed ha la puzza al naso. Fini lo sta copiando? È diventato di sinistra anche in questo?

Continuo a dire che Fini deve chiarire o dimettersi. Leggo che, a causa delle rogatorie internazionali, i tempi della magistratura non saranno brevi, né sarà facile avere tutte le carte che occorrono. Scommette su questo Fini? Non sente il dovere di rassicurare subito i cittadini, che rappresenta come terza carica istituzionale?

La conferenza stampa non è uno strumento importante della democrazia?

Intanto, è grazie alle indagini autonome dei giornalisti che siamo venuti a sapere oggi, per bocca della direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina, in un’intervista a Repubblica, che al tempo della vendita Fini non era presidente di An, guidata invece dal triunvirato composto da La Russa, Matteoli e Alemanno. Anche se sappiamo dalle testimonianze recate nei giorni scorsi da altri giornali, che Fini doveva autorizzare tutte le cessioni di immobili. E sempre grazie al lavoro autonomo dei giornalisti è stata mostrata su Repubblica la famosa schedina Enalotto relativa alla vincita miliardaria e la reelativa delega all’incasso, firmata da Elisabetta Tulliani, data al Monte dei Paschi di Siena, agenzia 4 di Roma (qui).

Dunque, la domanda che viene spontanea rivolgere a Fini è ancora la stessa: Perché aspettare lo stillicidio della verità, quando egli, che non sembra potersi escludere dalla conoscenza della vendita, potrebbe in una conferenza stampa mettersi a disposizione dei giornalisti e chiarire tutto?

Il prolungato silenzio lo rende colpevole. Lo sa questo? Lo sa che l’opinione pubblica comincia a credere alle accuse mosse ad An e a lui stesso? Vuole che l’opinione pubblica cominci a pensare che una importante carica istituzionale (la terza) è implicata in una faccenda dalle mille sfaccettature sospette e inquietanti?

Si dimetta, allora, e subito, se non avverte questo dovere. Non è degno di ricoprire una carica che si fonda sul rispetto della democrazia e dei cittadini.

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3 Comments

  1. Commento by giuliomozzi — 7 Agosto 2010 @ 09:56

    “Quando si ricevono le veline dalla magistratura e si getta fango sulle persone avversarie, tutto è ok. Quando invece sono i giornalisti a fare le indagini autonomamente e scoprono gli scheletri nell’armadio in casa dell’amico, allora il loro lavoro viene tacciato spregiativamente di dossieraggio”.

    Per essere più precisi:

    Quando lo Stato indaga su un cittadino che ricopre cariche pubbliche, e vengono alla luce comportamenti moralmente discutibili (nel caso specifico, sulla rilevanza penale di questi comportamenti è ragionevole avere dubbi), ha senso domandarsi se non sia il caso che quel cittadino lasci, almeno temporaneamente, la carica. Se non altro per evitare che la riprovazione creatasi, a torto o a ragione, sul conto di quel cittadino, possa riverberarsi sulla carica (esempio: un capo del governo che compera prestazioni sessuali da belle ragazze, non è che getta un po’ di discredito, oltre che su di sé, anche anche sulla carica di capo del governo?).

    Quando un privato entra in possesso di informazioni su comportamenti moralmente discutibili di un cittadino che ricopre cariche pubbliche, e le mette da parte per farne uso quando potrà ricavarne un profitto economico o politico o d’altro genere, ha senso domandarsi se ciò non possa essere descritto con la parola “ricatto”. (Tra parentesi: e i famosi “dossier a luci rosse” sul conto di G. Fini che V. Feltri minacciò di pubblicare nel settembre di un anno fa? Dove sono finiti? Feltri se li tiene per dopo? Non ritiene Feltri che, se il presidente della Camera è un porco, e lui ne ha le prove – o consistenti indizi -, questa sia una notizia che va data alla nazione? O semplicemente quei dossier – come tanti altri dei quali periodicamente si parla e straparla – non esistono? Perché, francamente, questa faccenda della casa a Montercarlo non è giornalisticamente gran che. Gli “scambi di coccole ed affettuosità” di Salvo Sottile erano già meglio).

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 7 Agosto 2010 @ 12:54

    La faccenda della casa di Montecarlo è molto seria, invece. Altro che le donne di Berlusconi. Là si configurano dei reati, qua si tratta di un uomo pubblico che in quella veste reati non ne compie. Potrebbe, come vorrei anch’io, rinchiudere nel privato la propria vita intima, ma come avrai visto, lo spiano perfino dal buco della serratura. Questa violazione della privacy è reato, e non la sua frequentazioni di escort o di altre donne.
    C’è una bella differenza.

    Riguardo a Feltri, non so se egli già avesse nei cassetti lo scandalo della casa di Montecarlo. Questo non è il punto, secondo me, perché allora dovremmo estendere il problema a molta, se non tutta, la stampa. Chi sa quanti casi sono rimasti nel cassetto per anni. Lo fa perfino la magistratura che apre fascicoli quando le torna comodo politicamente. Il punto che conta è che l’operazione è infettata da violazioni di legge e da menzogne, nonché dal silenzio dello stesso Fini,  a cui un po’ tutti stanno chiedendo di chiarire, perché è anche un fatto politico di rilievo, riguardando la terza carica dello Stato.  

    Su Fini è uscito fuori un nuovo scandalo, quello della raccomandazione in Rai del cognato. Qui.

  3. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 7 Agosto 2010 @ 13:34

    Giulio, leggo ora nella rassegna stampa (qui, a metà della seconda colonna) che Gian Marco Chiocci e   Massimo Malpica dichiarano che l’inchiesta “è stata lavorata, a fatica, solo alla fine di luglio”

    Hai qualche motivo per non crederci? Io ci credo. Fino a prova contraria.

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