Perché continuo a scrivere

di Bartolomeo Di Monaco

Me lo sono domandato più di una volta. È una malattia? Chi sono io rispetto agli scrittori che hanno raggiunto la fama?
Sono domande che mi inquietano.
Ricordo che da giovane, quando scrivevo su qualche rivista i miei primi articoli, chiedevo a Dio di darmi il successo soltanto quando avessi raggiunto la vecchiaia, un’età avanzata grazie alla quale non avrei potuto godere dei frutti che di solito arrivano a chi diventa famoso.
Da allora, ho scritto tanto. Nella mia scrittura, soprattutto in quella oltre la mia giovinezza, ho potuto avvertire di avere raggiunto quello che io chiamo ‘il respiro del narratore’. Chi legge le mie cose deve avvertirlo. Non c’ è fretta ma l’armonia di un cantastorie. Ciò che ho scritto mi piace e quando, raramente, mi capita di rileggermi, ancora mi piaccio.
Dunque perché il successo non arriva? Perché sono poco conosciuto, salvo in Lucchesia, ma anche qui non troppo? È il risultato di quella preghiera giovanile? Forse.
Ma sto arrivando ad un’altra conclusione, ossia che ciò che scrivo è il percorso della mia vita, o meglio della mia anima. Tutto ritorna a me, sempre. Ciò che esce dalla mia anima alla mia anima ritorna. Io scrivo per esistere. Senza la scrittura la mia anima non troverebbe la sua consistenza. Io non troverei me stesso. Sarei come l’aria, sarei come il vento. Se qualcuno mi legge, avverte, non quell’andare a lui, bensì questo ritorno a me stesso. Non posso essere, ossia, universale, ma particolare come colui che non vuole confondersi e disperdersi.
Quando il grande studioso della letteratura italiana contemporanea, Giorgio Bárberi Squarotti, parlando di me, scrisse che mi ero creato “una specola letteraria ai margini di Lucca” (https://www.bartolomeodimonaco.it/barberi-squarotti-giorgio/) colse la mia solitudine creativa e il parlare continuo con me stesso.
Ne sono contento.

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