PITTURA: I MAESTRI: Antonello da Messina: L’ordine delle somiglianze28 Settembre 2010 di Leonardo Sciascia “E, stato pochi mesi a Messina, se n’andò a Vinezia; dove, per essere persona molto dedita a’ pia Âceri e tutta venerea, si risolvè abitar sempre e quivi finire la sua vita, dove aveva trovato un modo di vivere appunto secondo il suo gusto”. Così il Vasari di Antonello da Messina che torna “per riveder la sua patria” dopo un viaggio in Italia e nelle Fiandre. E viene la tentazione di cercare riscontro a questa “persona molto dedita a’ piaceri e tutta venerea”, alla distanza di cinque secoli, nei personaggi di Brancati, in tutti quei personaggi che pensano “sempre a una cosa, a una sola cosa, a quella!”, e più precisa Âmente a quelli del Don Giovanni in Sicilia: “Ma il verme dei viaggi era entrato nei loro cervelli, e non smetteva di roderli… Anche il piacere di restare a letto, dopo essersi svegliati dal sonno pomeridiano, e di sprofondare gli occhi nel buio, ignorando se si guardi lontano o vicino, era guastato dal pensiero che, in quel preciso momento, i caffè di via Veneto si riempivano di donne “; e Scannapieco che da Abba Âzia scrive agli amici del suo desiderio di essere se Âpolto in quella spiaggia, “in modo che mi passino sopra le più belle donne del mondo!”, e tornato a Catania riempie tutto uh inverno di sospiri per Ab Âbazia. Ed è curioso come giudizi sui siciliani e rappresentazioni dell’uomo siciliano conservino, a distanza di cinque o di dieci o di venti secoli, una loro validità e verità : da Cicerone (“gente acuta e sospettosa, nata per le controversie”) a Scipio di Castro (“la lor natura è composta di due estremi, perché sono som Âmamente timidi, sommamente temerarj “), a Giovanni Maria Cecchi (“altieri, e dove non è differenza gran Âde di titolo, non si cedono l’uno all’altro; ardenti amici e pessimi inimici, subbietti ad odiarsi, invidiosi e di lingua velenosa, di intelletto secco, atti ad ap Âprendere con facilità varie cose; e in ciascuna loro operazione usano astuzia”); da Argisto Giuffredi, pa Âlermitano, autore di un malnoto libro di Avvertimenti cristiani da cui vien fuori, nel secolo XVI, quello che possiamo dire l’uomo verghiano, a Giovanni Verga appunto; da Antonello personaggio, e pittore di per Âsonaggi, a Pirandello a Brancati a Lampedusa. E anzi l’esplicito astoricismo del Lampedusa, il suo prendere e lasciare l’uomo siciliano per come sempre è stato e per come sempre sarà , nasce proprio dall’apparen Âza e illusione di una inalterata e inalterabile conti Ânuità del ‘modo di essere’ siciliano. Perché altro non può essere che apparenza, che illusione, una così indefettibile continuità , una così assoluta refrattarietà alla storia di quella parte della realtà umana che chiamiamo Sicilia, che pure è situata nel crogiuolo della storia. Ma il fatto è che questa apparenza, questa illu Âsione, sorge dalla realtà siciliana, dal ‘modo di es Âsere’ siciliano: e dunque ne è parte, intrinsecamente. Ci troviamo insomma in un circolo vizioso, in un a specie di aporia; che è poi la sostanza di quella no Âzione della Sicilia che è insieme luogo comune, ‘idea corrente’, e motivo di univoca e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte. Antonello, dunque: e il suo essere siciliano, come personaggio e come artista; come uomo insomma la cui vita, la cui visione della vita, il cui modo di espri Âmere nell’arte la vita, sono irreversibilmente condizio Ânati dai luoghi dagli ambienti dalle persone tra cui si trova a nascere e a passare l’infanzia, l’adolescenza. Un critico letterario dei giorni nostri ha dichiarato che non riesce a capire come si possa legare a ci un luogo una vita, e l’opera di tutta una vita; per parte nostra non riusciamo a capire come si possa far critica senza aver capito questo inalienabile e ine Âsauribile rapporto, in tutte le sue infinite possibilità di moltiplicarsi e rifrangersi, di assottigliarsi, di mi Âmetizzarsi, di essere rimosso e nascosto. Nessuno è mai riuscito a rompere del tutto questo rapporto, a sradi Âcarsi completamente da questa condizione; e i siciliani meno degli altri. E ad aprire (e forse, effettual Âmente, a chiudere) il nostro breve discorso su Anto Ânello, ci soccorre questa acuta notazione di Antonio Castelli, il quale, per essere nato a Cefalù, non è im Âprobabile sentisse nello scriverla, vagamente e sottilmente, il suggerimento di quel prodigioso ritratto di Antonello che si trova nel cefalutano Museo Mandralisca: ” Nella comunità alla quale apparteniamo, nel paese dove nasciamo, risiede la nostra nozione del co Âlore; e la nostra misura d’uomo è regolata su un or Âdine bioetnico delle somiglianze. Sono l’assoluto fisiognomico e l’assoluto cromatico, calati nel crogiuolo della terra natia, a modulare il nostro consistere”. “L’ordine bioetnico delle somiglianze”, da cui scatta “l’assoluto fisiognomico”: sono espressioni che immediatamente ci collegano ai personaggi d’Antonello. Anche ai santi. Anche alle Madonne. Il giuoco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di co Ânoscenza. A chi somiglia il bambino appena nato? A chi il socio, il vicino di casa, il compagno di viag Âgio? A chi la Madonna che è sull’altare, il Pantocrator di Monreale, il mostro di villa Palogonia? Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello ‘somigliano’; sono l’idea stessa, l’archè, della somiglianza. A ciascuno si possono adattare tutte le definizioni che sono state date dei siciliani, da Cicerone a Tomasi di Lampedusa: sono chiusi sospettosi sofisti; amano contrad Âdirsi e contraddire, complicare le cose con l’astuzia e risolverle con secco intelletto; sono sensuali avidi vio Âlenti, tesi al possesso della donna e della roba, ma in ogni loro pensiero è annidata accettata vagheggiata la morte. A chi somiglia l’ignoto del Museo Mandralisca? Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al con Âtadino e al principe del foro ; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente somiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Im Âpossibile. È un nobile o un plebeo? Un notare o un contadino? Un uomo onesto o un gaglioffo? Un pit Âtore un poeta un sicario? E le Madonne, le donne. “In queste donne la pu Âdica timidezza, che contrasta col calore del tempera Âmento, fa sbocciare sui loro volti una grazia contrastata tutta particolare… Col volto stretto tra le falde della mantellina, essa par chiusa in un’armatura che sa di chiostro e d’ovile. Questo classico copricapo, rende la fragranza delle sue guance e l’ardore dei suoi occhi, favolosi e irraggiungibili”. E non è delle Annunciate di Antonello che ora si trovano a Palermo a Venezia e a Monaco che parla Nino Savarese, ma della donna dei paesi siciliani dell’interno, poco prima dell’ultima guerra mondiale. Ne abbiamo ricordo anche noi: le mantelline di vigogna nera foderate di raso, supremamente eleganti (a volte orlate da un cordoncino o filettate, come si vede nella Madonna col Bambino della National Gallery di Washington; più spesso lisce); e un tempo si portavano di colore diverso, secondo la condizione o l’età : azzurre bianche nere. Pare che bianche le por Âtassero le donne dell’aristocrazia, nere le donne del popolo, azzurre le ragazze. Appunto azzurre le por Âtano le Annunciate di Antonello: ragazze contadine che veramente sanno di chiostro e d’ovile, di quelle che nella settimana santa venivano scelte a rappresentare la Madonna o la Maddalena ai piedi della Croce e spesso erano causa di incidenti più o meno ridevoli, di incontenibili zuffe tra colui che rappre Âsentava Cristo e colui che rappresentava san Giovan Âni, con conseguente partecipazione degli altri apostoli dei soldati romani degli spettatori. C’è in pro Âposito, in ogni paese siciliano, una ricca tradizione : e quasi sempre riferisce del Cristo che, padre della ra Âgazza che fa la Madonna o la Maddalena, vede dal Âl’alto della Croce l’apostolo Giovanni stringersi un po’ troppo a confortare la dolente; e dapprima am Âmonisce, poi si stacca dalla Croce e scende bestem Âmiando alle cosiddette vie di fatto. E a guardar bene le Madonne di Antonello si può anche immaginare il Cristo contadino che balza giù dalla Croce, la zuffa che si accende. E di fronte all’An Ânunciata di Palermo, si noti la piega della mantellina che scende al centro della fronte : che per il pittore, al momento, avrà avuto un valore soltanto compo Âsitivo, ma a noi dice di un capo conservato nella cas-sapanca tra gli altri del corredo, e tirato fuori nei giorni solenni, nelle feste grandi; e si noti anche l’in Âcongruenza, peraltro stupenda, della destra sospesa nel gesto ieratico (mentre è del tutto naturale al sog Âgetto â— diciamo alla donna contadina â— il gesto della sinistra a chiudere i lembi della mantellina); e l’altra incongruenza di quel libro aperto, sul quale si ha il dubbio che mai gli occhi della giovane donna po Âtrebbero posarsi a cogliere le parole e il senso; e poi il mistero del sorriso e dello sguardo, in cui aleggia carnale consapevolezza e nessun rapimento, nessuno stupore (se non si vuole, nel sorriso che appena affiora, scorgere magari un’ombra di malizia). E si potrebbero fare osservazioni consimili anche sugli Ecce Homo sui Crocifissi sul Salvator Mundi: volti di ottuso dolore, maschere di carnale sofferenza ; senza luce di divinità , senza coscienza del sacrificio da cui l’umanità intera sarà redenta. Uomini che soffrono la tortura, che subiscono il dileggio, che agonizzano inchiodati a una croce : vittime della ferocia umana e del destino. E i luoghi, il paesaggio. Lo Stretto di Messina che fa da sfondo alle Crocifissioni. La campagna che si intravede dalle finestre. La piazza che è scena di atroce indifferenza al martirio di san Sebastiano. E non diciamo che questa piazza, del San Sebastiano di Dresda, sia nell’architettura riconoscibile come si Âciliana; al contrario, anzi, riteniamo sia stata da Antonello inventata, su elementi di varia provenienza, nella ricerca di un rapporto tra architetture e figure che è poi uno dei più perfetti che siano mai stati con Âseguiti nella pittura. Ma nella donna che si affaccia da una quinta col bambino in braccio, nelle figure che si affacciano ai terrazzi, nelle graste e nelle grate, in quella borraccia appesa a lato alla finestra alta, c’è un’aria di casa, di pomeriggio messinese. Si di Ârebbe che c’è scirocco: quello scirocco da cui l’in Âglese Brydone, a Messina, si sentiva trafitti i nervi quasi quanto san Sebastiano dalle frecce. E l’uomo stramazzato nel sonno sul pavimento nudo, la scena galante che la coppia recita sotto il pergolato, le nu Âvole ferme, la luce: tutto sembra dire della snervata ora del pomeriggio sciroccoso. Quante di queste ore Antonello avrà vissuto nella sua città ? A parlare di pittura e di donne, a vagheggiare le donne di Venezia e a dipingere quelle del contado messinese, a tirare sul prezzo di una pala o di un gonfalone con preti e priori di confraternite, a litigare con i parenti, a pensare alla roba e all’anima (che è poi, per un siciliano, la stessa cosa). E per un uomo così ‘oggettivo’, di quella ‘oggettività ’ che David Herbert Lawrence attribuisce ai greci antichi e ai siciliani, che altro poteva essere l’ani Âma se non “quel buffo, piccolo alter ego” che a forza di preghiere e di messe, cioè con l’accorgimento testa Âmentario di un legato sulla roba, si può far passare dal purgatorio “a un giardino pieno di musica e fio Âri e popolato di gente pia”? “Una cosa oggettiva quanto la più oggettiva possibile”, l’anima. Ed anche la morte, naturalmente. E proprio sul testamento d’Antonello ci viene da considerare quale fatto oggettivo sia per un siciliano la morte: una faccenda di tuniche e clamidi da lutto per il padre per la ma Âdre per sua figlia Fimia per sua sorella Orlanda (un’onza a testa); e per sé l’abito di frate dei Minori Osservanti: “quod cadaver meum seppelliatur in conventu Sancte Marie de Jesu cum habitu dicti conventus”. Non è l’oggettività della morte che si stabi Âlisce, inarrivabilmente, nell’agonia di Ivà n Il’ic; e un’oggettività , per così dire, figurata: di figure, di ap Âparenze, quale poi sarà nella pena di vivere e di mo Ârire di un Pirandello. E questa può essere la più ovvia conclusione su Antonello: .che un uomo straordinariamente ‘oggetti Âvo’ si è trovato a vivere e ad esprimere compiutamen Âte, impareggiabilmente, il momento più ‘oggettivo’ che la storia della pittura abbia mai toccato. Letto 6244 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||