PITTURA: I MAESTRI: Canova e la bellezza16 Settembre 2009 di Mario Praz È un pregiudizio romantico vedere unica fonte del Âla poesia nel sentimento popolare immaginato come genuino, immediato, quasi riflettente la paradisiaca condizione del fanciullo. In base a questo pregiudizio, è accademia quella che s’ispira ai modelli classici, ma non quella che s’ispira a quei modelli che, anziché ai Musei Vaticani, son conservati nel Museo dell’Uomo a Parigi; si fa dell’accademia copiando l’Apollo del Belvedere e il Laocoonte, ma si farebbe dell’arte pura, primigenia, derivando motivi e tecnica da quelle pit Âture preistoriche sui ciottoli che, con nome curioso, son conosciute come “arte mobiliare”. Lionello Venturi fa il cipiglio a David e a Canova, sorride a Mirò e a Klee: perché gli pare che colui che copia dai Musei Vaticani uccida lo ” slancio meraviglioso verso l’ignoto della fantasia”, mentre colui che copia dalle grotte di Altamira “realizzi appieno l’autorità dell’arte”. L’ar Âte ellenistica è per lui una fonte impura, l’arte mesolitica, l’arte schematica, son fonti purissime. Venuto all’arte nel tardo Settecento di Venezia, quando il gusto dell’arte classica s’era affermato come non mai, con precedenza nell’architettura, il Canova si sentì sospinto a superare il settecentismo declinante, a risolverlo o consumarlo in una romantica nostalgia della bellezza antica, ch’era per lui come una bellezza esotica appena intraveduta. Per felicità d’istinto egli era un agile costruttore di settecentesche eleganze li Âneari; ma le affinò mitigandole, le addusse a modula Âzioni più lente e più severe. Era un sensuale affinato e senza foga; ma tentò di spegnere gli apporti romanti Âci del sensualismo nella sostenutezza d’un linguaggio classicamente misurato.  Il De Rinaldis non vede tuttavia dissidio tra i due elementi formativi dell’arte canoviana nel campo di opere che esprimono i momenti più felici (Amore e Psiche in piedi, le Danzatrici, l’Endimione): Sentiamo in esse, come in poche altre sculture del Âlo stesso tipo, che tra i due elementi formativi dell’ar Âte canoviana â— il senso casuale della vita e la passione intellettualistica dell’arte classica â— vi fu pacifica age Âvolezza di coesistenza, e non dissidio. Ciascuno dei due trovò nell’altro la sua disciplina e il suo temperamen Âto; e convennero ad una placida approssimazione di gelido equilibrio […]. Ci sentiamo di fronte alla vasta opera sua come dinanzi ai cospicui volumi di un abilis Âsimo verseggiatore di epopee vacue e sonore, nei quali ci sia possibile salvare da negazioni critiche un gruppo di sonetti, qualche ode di leggero accento, qualche ballata alla maniera antica.  In altre parole, il Canova troverebbe riscontro, in letteratura, nella figura di Vincenzo Monti, il cui ori Âginario gusto barocchetto s’era calato nelle forme classiche. Due linguaggi diversi, questo è il punto, e tuttavia necessari perché le immagini nate nella sognante fan Âtasia del Canova potessero assumere, nei suoi momenti più felici, quella suprema eleganza e quella grazia che ce le fanno apparire fra i supremi raggiungimenti artistici della loro età .  Abile, diplomatica formula in cui il Lavagnino combina quei due luoghi comuni con la famosa frase del Suasy a proposito dell’artista: ” Scultore veneziano tradotto in greco”. Ben diversamente dal Monti, letterario e atteggia Âto sin nelle minime e più dozzinali occorrerne e realiz Âzazioni della vita, studiato e paludato anche nella vi Âcenda quotidiana, i ‘disegni dal vero’ sono la spia di una profonda, radicale, organica ingenuità e vergini Âtà di sensi umani, di una naturalità spontanea, di una semplicità essenziale di vita interiore, di un’affet Âtività pronta, di un’emotività sorgiva. Canova è e si è conservato un uomo comune, non si è esoterizzato, non si è identificato totalmente con un’immagine su Âblimata e magnanima di se stesso […] non si è traspor Âtato tutto ed esaurito, sino a diventare quasi artificia Âle, nel mondo mitologico dove pure trova soltanto le condizioni vitali per l’espansione completa della sua fantasia.  Pel Ragghianti la parte vitale dell’opera canovia Âna risiederebbe in quel che essa serba dei sentimenti spontanei di quest'”uomo comune”, senza pur voler negare “tutta la parte artistica educata – e in gene Ârale tanto più caduca quanto più maestosamente monumentale e ‘sublime’ “. E in nota da una lista di opere vitali, aggiungendovi numerosi bozzetti in terra e cera, e concludendo:  Una monografia sul Canova fatta con intento este Âtico si troverà , in molti casi, sia a dare rilievo maggiore a piccoli schizzi e disegni che ad opere imponenti, sia e soprattutto a tracciare percorsi delle opere, che bene spesso avranno l’acme sempre in un disegno o in un bozzetto o in una stesura non definitiva, anziché nella scultura finita (detto dal punto di vista convenzionale). La statuaria, si badi bene, non è sempre il punto conclusivo e rappresentativo della sua arte, anzi fre Âquentemente ne è una propaggine ed anche una stan Âchezza, o una diversione operatasi per l’intervento di una serie di partecipazioni storiche, sociali ed anche di psiche personale (l’immortale in vita, senza con Âtrasto) . Il punto di vista del Ragghianti, come si vede, non è diverso da quello del Venturi; del Canova si salva quel che è espressione di umanità primigenia, spon Âtanea: “Le forze di sentimento e di cuore, di uma Ânità commossa o turbata o esultante od epicamente contemplante, di entusiasmo e di sensualità , egli le conserva sempre attive, semplici e sanguigne come sono nella spontanea natura di ogni uomo intero…”. Vedremo nello scultore un artista raffinato, che sa mantenersi Veneto nel raggiungere effetti di sottile cromatismo; ma non sa valutare le proprie possibilità quando vuoi fare composizioni colossali, a cui era spin Âto dalla volontà d’interpretare il gusto dell’epoca, dal tentativo di staccarsi da quella tenue vena arcadica che costituiva il suo maggior fascino. A cui sembra contrastare, poche righe sotto, la chiusa:  A noi rimane il rammarico di dover concludere che il Canova, dotato da natura in modo tale da po Âter assurgere ad altezze supreme, rimane quasi prigioniero nelle pastoie delle teorìe artistiche e soffocato dall’enfasi petulante dei contemporanei. Quali sarebbero le altezze supreme a cui poteva assurgere il Canova per dono di natura? â— ci doman Âdiamo. Forse “quella tenue vena arcadica che costi Âtuiva il suo maggior fascino”? Comunque, la Bassi s’allinea all’opinione corrente: “A noi il Canova pia Âce là dove esula dal suo tempo, come nei ritratti che continuano la tradizione settecentesca più schietta”. Medesima soluzione che per David e per Ingres. An Âche Giuseppe Delogu, in una recente antologia della scultura italiana, salva Canova per le opere per le quali “osserva il vero e si ispira all’umano modello, agli umani affetti”, constatando d’altronde che “fri Âgidezza, accademismo e maniera sono il passivo evi Âdente dell’arte canoviana”. Dovremmo dunque dire che è nel vero un giudizio su cui non solo concorda la comune dei critici, ma concordano perfino i critici più estrosi, insofferenti di luoghi comuni, e, per di più, insofferenti l’uno dell’altro? La cui voce si leva sul bordone degli altri con suon di cennamella non diver Âso, talora, da quello udito da Dante in Malebolge. Ecco Cesare Brandi intonare un tale concerto al Ca Ânova, nel suo Periplo della scultura moderna (in “L’Immagine”, gennaio-febbraio 1949):  Egli fu il primo e coscienzioso burocrate dell’arte […]. La sua scultura resta il più nobile, il più coscien Âzioso, il più genuino e illusivo dei surrogati […]. Chi incappi nel suo Perseo è colto da raccapriccio nel con Âstatare come si possa osservare la lettera e frodare lo spirito […]. Il Perseo inguainato nella sua levigatezza alla pomice come in una maglia di seta da acrobata, è d’una nudità trita e invereconda; un nudo in un quadro vivente. E non che sia vivo o vero: non c’è nulla di più congelato e decaduto dai sensi […]. Se la Gorgone che brandisce l’avesse fatto diventare di sas Âso, mai sasso sarebbe più sasso di questo […]. Come statua non è né sasso né carne. È una fabulazione a freddo, una ambizione sbagliata e uno sbaglio ambi Âzioso […] una collezione di formalismi distribuiti come una parure di gioielli […]. Sta in piedi in ossequio alla legge di gravita, ma è un crollo plastico. Questo, di esser freddo e stentoreo, è il segreto del Canova […]. L’Ercole e Lica è una mostruosità inarrivabile: come il mammuth ritrovato nel blocco di ghiaccio, è la scul Âtura barocca, il torso del Belvedere, il Toro Farnese, messi in ghiacciaia, anchilosati dai reumi, fossilizzati come l’antracite. La forma, in Canova, diventa rituale. Così il gesto che nel rito ha perso la coscienza di sé, di quel che significa, dell’azione che abbreviò o sim Âboleggia […]. Se poi minaccia di diventare espressivo, allora è quasi peggio. La sua mimica è atroce: non ricrea, imita […]. Il sorriso dell’Ebe, quel sorriso che ti cerca ma gela quanto il contatto con un morto, è imposto al marmo come una contrazione della materia e trattenuto come l’insetto affogato nell’ambra […]. La scultura del Canova traduce il marmo in cemento; è opaca, non va oltre la superficie.  Giudizio sommario, la cui avventatezza è palese a chi oggi consideri davvicino proprio quell’Ercole e Lica “di una mostruosità inarrivabile”, che il recente restauro di Pico Cellini ha restituito al primitivo splen Âdore. L’artista, con suprema abilità , ha tratto partito dai “peli” del blocco di marmo, riservandone la parte maculata al corpo di Lica che ne risulta come co Âsparso di lividi. Si potrà tutt’al più dire che qui il Canova traduce il marmo in biscuit e che la statua è un cammeo di dimensioni eroiche. Antonio Canova, lo scultore nato morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia e il resto non so dove.  Se le sculture di Canova fossero di burro, come quel primo leone che, secondo una leggenda apocrifa, egli avrebbe fatto da ragazzo per la mensa del sena Âtore Falier, non v’è dubbio che fonderebbero di colpo al calore di accoglienze come quelle fatte loro dal Longhi, dal Brandi, dal Clark. II Bronzino ha dissanguato e raggelato la carnalità cinquecentesca, come il Canova la scultura antica. È anche questo, un fine, un modo â— sia pure pericoloso â— di giungere per altre vie all’arte, come in alcuni ri Âtratti, appunto, vi giunge lo stesso Bronzino.  “Un modo pericoloso di giungere per altre vie al Âl’arte”: ecco una definizione ampia abbastanza da permettere l’accesso al Paradiso anche a un Bronzino, nonostante le “sue figure di biscuit, di gelidità smaltea” (come dice il Marangoni), anche a un Canova, nonostante i suoi “svarioni cimiteriali”. Non vi è una sola via per giungere all’arte; la poetica di un Pope è diversa da quella di uno Shakespeare da un lato e da quella di uno Shelley dall’altro. Non può essere che pel Canova si sia ripetuto l’errore dei romantici, che paragonavano a un cavallo a dondolo, a un campano di pecore, al canto del cuculo, al monotono su e giù dell’altalena, quel heroic couplet, quel distico eroico del Pope, di cui il loro orecchio era incapace di ap Âprezzare le infinite sfumature, essendosi avvezzato a una prosodia che, cercando seguire l’onda emotiva, non poteva evitare sovente di riuscir negletta? Je n’ai rien regardé du reste de la galerie; j’y suis revenu à plusieurs reprises et à la dernière j’ai embrassé sous l’aisselle la femme pâmée qui tend vers l’Amour ses deux longs bras de marbre. Et le pied! Et la tête! Le profil! Qu’on me le pardonne, ç’a etè depuis longtemps mon seul baiser sensuel; il était quelque chose de plus encore, j’embrassais la beauté elle-même. C’était au génie que je vouais mon ardent enthousiasme.[1]  Queste reazioni posson produrre in un letterato quelle sculture che il Brandi chiama “fossili e repul Âsive”, il cui contatto egli paragona a quello d’un mor Âto. E dal momento che Kenneth Clark, nel libro citato, refuta l’opinione del filosofo scozzese Alexander, che “se il nudo è trattato in modo da risvegliare nello spettatore idee o desideri appropriati al soggetto ma Âteriale, è falsa arte e cattiva morale”, e sostiene anzi che “nessun nudo, per quanto astratto, dovrebbe man Âcare di risvegliare nello spettatore qualche vestigio di sentimento erotico, sia pure la più debole ombra, e che se così non fa è cattiva arte e falsa morale”, eccoci dinanzi al curioso caso di reazioni in qualche modo erotiche provocate da nudi ritenuti gelidi e repulsivi dai critici, e, almeno nell’intenzione, ritenuti casti dal Âlo stesso Canova le cui parole son così riportate dal Missirini: “La nudità , quando sia pura e di squisita bellezza adorna, ci tolga alle perturbazioni mortali e ci trasporti a que’ primi tempi della beata innocenza: e di più che ella ci venga come una cosa spirituale ed intelletta, e ci innalzi l’animo alle contemplazioni del Âle cose divine, le quali non potendo ai sensi esser ma Ânifeste per la loro spiritualità , solo per una eccellenza di forme ci possono essere indicate ed incenderci della loro eterna bellezza e distaccarci dalle imperfette ca Âduche cose terrestri…”. Il n’avait pas voulu que l’une pût donner Parrebbe come se la sensualità casta di Juliette fosse l’esatto riscontro della casta sensualità di Anto Ânio Canova. Osserva lo Zeitler: “Canova ha spesse volte rappresentato gruppi d’innamorati. Questi gio Âvani e giovinette, uomini e donne non afferrano mai con foga l’uno il corpo dell’altro. Questi amanti con Âversano tra loro di qualcosa, scherzano con una ghir Âlanda o con una farfalla, sentono all’unisono, ma non si desiderano reciprocamente. Ben diverso è l’aspetto degli amori degli dei nel barocco, e nel corso dell’Ot Âtocento i rapporti dei sessi nell’arte saranno rappre Âsentati in modo diverso da quello di Canova. Ma non perciò deve considerarsi anormale o artisticamente meno efficace la concezione di Canova”. In altre pa Ârole, l’erotismo canoviano è preliminare e contempla Âtivo, un erotismo adolescente. Esasperato, darà i nudi di Ingres, che talora fan pensare a quelli di Canova (così la Bagnante vista di schiena del Museo Bonnat presenta la stessa immagine della Venere italica di Canova, di poco posteriore), e sul libertinage sérieux et plein de conviction di Ingres si vedano le parole di quel fine intenditore di tali stati d’animo che fu Bau-delaire: “M. Ingres n’est jamais si heureux ni si puissant que lorsque son génie se trouve aux prises avec les appas d’une jeune beauté. Les muscles, les plis de la chair, les ombres des fossettes, les ondulations montueuses de la peau, rien n’y manque”.[3] Parole che po Âtrebbero ripetersi per la Paolina di Canova. Infine dello stesso Ingres scrisse il Blanche: “II fut un émotif voluptueux” (Fu un emotivo voluttuoso). La nostra divagazione letteraria ci porterebbe a considerare sot Âto questo rapporto anche il tipo femminile amato da Poe, della cui moglie adolescente Virginia Clemm scrisse un testimone contemporaneo: “Her face could defy the genius of a Canova to imitate” (II suo volto sfiderebbe il genio di un Canova ad imitarlo). E ri Âcordiamo i ben noti versi To Helen:  Thy hyacinth hair, thy classic face, Ingres, Poe, Baudelaire, non tanto il primo, ma gli altri due nomi parranno una strana compagnia per Canova. Ma il punto che vorrei fare è questo: che per quel genere di sensualità affinata e senza foga, di emotività voluttuosa, e di erotismo represso, tratto che tutti quegli artisti sembrano avere in comune, la di Âsciplina neoclassica poteva offrirsi non come una coar Âtazione, ma anzi come un veicolo d’espressione quan Âto mai appropriato e felice. E che un Canova o un Ingres vi si assoggettassero contraggenio, e vi perdes Âsero la loro ispirazione genuina, soltanto la superfi Âcialità del luogo comune corrente potrebbe sostenere. A me par codesto un giudizio non meno avventato di chi volesse persuaderci che Petrarca distrusse la sua originalità adottando il sonetto, la canzone e la sestina come sue forme espressive. Bold Lover, never, never canst thou kiss, Nell’Ode a Psiche il poeta immagina di sorpren Âdere Amore e Psiche adagiati accanto in un bosco: They lay calm-breathing on the bedded grass; Dove mai la sensualità contemplativa è stata me Âglio espressa che in questi versi del Keats, nelle odalische di Ingres, nelle Veneri di Canova? Che poi il Baudelaire a proposito di Ingres adoperi il termine “libertinaggio”, e che Wordsworth, alla vista del gruppo di Amore e Psiche di Canova, esclamasse ri-traendosi scandalizzato: “Demoni!” â— sono omaggi che la divinazione poetica e etica rispettivamente ren Âdono alla complessità di quegli artisti. In verità l’albero di cui egli è l’ultimo fiore per Âfetto non potrà fiorire di nuovo finché non abbia ripo Âsato per molti secoli. Sicché, in un certo senso, cia Âscuna delle magnifiche tombe da lui scolpite fu un mausoleo delle sue proprie speranze e degli ideali che egli rappresentò con tanta bellezza. Ciò nonostante verrà giorno in cui il mondo udrà d’una Società Canoviana, di onoranze solenni, di discorsi e di monu Âmenti. 1 Non ho guardato nulla del resto della galleria; ci sono ritornato in diverse ri Âprese, e l’ultima ho baciato sotto l’ascella la donna in deliquio che tende verso l’Amore le lunghe braccia di marmo. E il piede! E la testa! Il profilo! Mi si perdoni, è stato,  da molto tempo,  il mio solo bacio sensuale;  era qualche cosa di più ancora, baciavo la bellezza stessa.  Era al genio che dedicavo il mio ardente entusiasmo. Letto 10647 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||