PITTURA: I MAESTRI: Giacomo Balla. Un pugno di coriandoli23 Aprile 2016 di Vittorio Rubiu [da “La fiera letteraria”, numero 18, giovedì 2 maggio 1968] Dopo il lungo abbandono, la fama e la fortuna critica di Giacomo Balla (1871-1958) sono storia abbastanza re cente. Si cominciò nel 1963 con la grande mostra retrospettiva organiz zata dalla Galleria Civica d’Arte Mo derna di Torino. E da allora, senza mai fermarsi, cataloghi, monografie, articoli su riviste, e ancora mostre, si no al ciclo attualmente in corso di svolgimento alla galleria dell’Obelisco: Balla pre-futurista, Luce e Movimen to, Stati d’animo, Balla scultore, Rico struzione futurista dell’Universo. Commercialmente parlando, poiché nel frattempo intorno alle opere di Balla s’è venuto creando un mercato, con quotazioni a ogni stagione più al te, siamo all’utilizzazione dei resti. Sul piano critico, pure. E insomma, se è vero che per lunghi anni il nome e l’o pera di Balla sono rimasti avvolti in un silenzio appena interrotto da qual che stentato e tardivo riconoscimento, è anche vero che oggi, nel fervore del la ricerca e nel conseguente rovescia mento di opinioni, l’ammirazione s’è fatta altrettanto parziale e indiscrimi nata. Maurizio Fagiolo, il critico a cui si deve l’ultima riscoperta di Balla, è tal mente bravo, intelligente, estroverso, archivista e insieme funambolo. Ma anche le opere di Balla esigono la loro parte di ragione. E io non credo pro prio che le sue opere del periodo pre -futurista debbano venire puntualmen te e puntigliosamente considerate co me una sorta di apprendistato durante il quale Balla elabora un linguaggio e con esso i mezzi predestinati a dar vi ta alle opere del periodo pre-futurista. Se così fosse, e portando alle estreme conseguenze la prospettiva finalistica di un Balla futurista dalla nascita: La ricooota freeeesca, ossia il titolo che Balla ha messo a un suo quadretto del 1898, varrebbe come gustosissimo anti cipo delle futuriste parole in libertà: mentre è soltanto l’esempio, evidente sin’anche nel titolo, di un verismo che, più spicciolo e occasionale, non si saprebbe immaginare. Una « macchiet ta romana », appunto. L’episodio, pro prio perché minimo, e confinato nei primi anni del periodo romano dell’ar tista, potrebbe anche passare sotto si lenzio. Ma il fatto strano e quasi inve rosimile è che quando Balla due anni dopo si trasferisce per qualche mese a Parigi dipinge, tra gli altri, un quadro come La Fiera di Parigi, oggi esposto all’Obelisco, e di cui si parla come di un piccolo capolavoro: un notturno, un effettuccio di luce che Ippolito Caffi (1809-1866) avrebbe appena degnato di uno sguardo. Eppure, per un giovane che. veniva dalla provincia, e con quello che c’era da vedere a Parigi nell’anno di grazia 1900, impressionisti e neo-impressioni sti, Cézanne, Van Gogh, Gauguin, e poi ancora Redon, Bonnard, Vuillard, Toulouse-Lautrec, c’era di che farsi prendere dallo sconforto, altro che continuare a dipingere quadri e qua dretti tra il documentario, l’aneddoti co e il dialettale. E’ vero che dopo il viaggio a Parigi â— ma pare che avesse cominciato anche prima â— Balla adot ta la tecnica divisionista. La tecnica e non il metodo, insistono gli apologeti di Balla, per differenziarlo dai france si. E qui sta il guaio. Perché questa tecnica facilmente ripresa o svirgolata, senza la convinzione intellettuale dei francesi e nemmeno il candore e la suggestione ieratica di un Pellizza da Volpedo, diventa in Balla qualcosa di estraneo e fittizio, come una manciata di coriandoli variopinti messi lì a ma scherare il vecchio repertorio ottocen tesco. Del resto, il meglio del suo divisioni smo Balla lo darà a vedere una decina d’anni dopo con la Lampada ad arco e la Bambina che corre sul balcone: do ve però giocano altri fattori: la novità futurista del soggetto, l’audacia e il ri gore dell’impaginazione, nella Lampa da ad arco; l’interesse portato alle cro nofotografie di Marey e Muybridge nella Bambina che corre sul balcone. Ma ecco intervenire la prospettiva finalistica di cui si diceva all’inizio. Luce e movimento, l’interesse per la fotografia e le novità di taglio e d’impaginazione che ne derivavano, tutto questo sarebbe già intenzionato, e non solo intenzionato ma realizzato nelle opere del periodo pre-futurista: Ritrat to della madre, La signora Pisani, Fal limento, Il contadino, La giornata del l’operaio, Il ciclo dei viventi… L’occhio fotografico di Balla Ma la luce non è una categoria che si può isolare dal resto del quadro. Se il quadro è verista o improntato a un socialismo « piccolo borghese », anche la luce è verista, socialista e piccolo borghese. E gli effetti di controluce erano già in Degas e poi in Bonnard, se proprio si vuole istituire un con fronto che non torna certo a vantag gio di Balla. E per quanto riguarda il movimento Maurizio Calvesi ha giu stamente notato che certe sprezzature e sfocature dei contorni, a quei tempi, erano d’uso corrente, e in molti casi facevano tutt’uno con una virtuosisti ca velocità di esecuzione, basta pensa re a Boldini. Resta la fotografia. Ma anche qui vale la regola che un giudizio si dà sempre per comparazione. L’ultimo Seurat e Degas, oltre che alla resa per così dire statica del movimento, s’era- no anch’essi interessati alla fotografia, e con ben altro tono inventivo e rigo re di stile. Il primo ricavandone effetti di estrema semplificazione e rarefazio ne visiva. Il secondo riprendendo dal la fotografia il gusto dell’istantanea veloce e tuttavia preceduta da una studiatissima selezione della posa e dei gesti. Mentre l’occhio di Balla resta un oc chio da laboratorio fotografico, uno strumento di ricerca che, invece di sintetizzare, descrive, non allarga ma restringe la visione, sino a farla coin cidere con il verismo di sempre. Non so dove ho letto che fotografia e pitto resco non coincidono che per caso. Co munque è vero. Io non nego che un quadro come il Fallimento sia qualco sa di abbastanza strano e singolare, non fosse altro che per quegli scara bocchi che ricordano (non dico antici pano) certa pittura informale dell’ulti mo dopoguerra. E con questo? Il qua dro in se stesso resta quello che è, una bizzarra e in fondo stucchevole convi venza di fotografismo e verismo. Per conto mio resto fermo nell’idea che il vero a cui arriva la fotografia non è lo stesso vero da cui si parte la pittura. E l’ingrandimento di Balla non è lo stesso ingrandimento che ri troveremo tanti anni dopo in Lichtenstein. Perché Lichtenstein non soltan to ingrandendo ma sottraendo il fu metto al suo svolgimento narrativo, ci dà a vedere l’equivalente astratto del fumetto. Ne La giornata dell’operaio, Balla, riprendendo un’invenzione di Seurat, dipinge anche la cornice. A questo punto, come negare la vali dità del giudizio di Boccioni, che pure era grato a Balla per essere stato suo allievo, e doveva trarre più di un mo tivo d’ispirazione proprio da quadri come La giornata dell’operaio? « Balla, educato quando il quadretto di genere declinava, ha messo tutta la sua po tenza pittorica e coscienza artistica a servizio di quello… come lo vedo lon tano dal nuovo movimento intellettua le e artistico… quanta energia quasi inutile! » E qui mi fermo. Perché pro prio questo mi premeva di dire, che esiste un netto divario, un salto quali tativo, nel senso più lato e dunque sto rico del termine, tra il fu Balla del pe riodo pre-futurista e il Futur Balla che nemmeno sembra retrospettivo, per quanto è ancora oggi attuale (e anche qui bisognerà distinguere tra primo e secondo Futurismo, il secon do risultando come una specie di ap pendice indolore del primo). Letto 1350 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||