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PITTURA: I MAESTRI: Goya: senza odio né pietà

26 Aprile 2013

di Raffaele Carrieri
[Dal “Corriere della Sera”, domenica 25 maggio 1969]

Nel 1800 Goya ha cinquantaquattro anni. E’ stato tutto quello che un pittore di genio immagina di essere. Felino, ha amato i riconoscimenti ufficiali. Ava ­ro, ha amato il lusso degli altri. Ha sposato una bor ­ghese ma è stato l’amante di una duchessa. S’è piegato alla corte, all’accademia, al committente, al clero. S’è piegato come un istrione ma poi ha fatto quello che doveva. Ha fatto del re un borghese ventruto. Non una vendetta ma un ritratto, un ritratto dove la maggior po ­tenza sta nel dipinto. Dei rossi più esplosivi di un at ­tentato. Ha fatto dei princi ­pi e delle principesse altret ­tanti ritratti. E’ andato a fondo di ognuno senza odio ma anche senza pietà: irri ­ducibile.

Della società ci ha lasciato una galleria. Ha intro ­dotto nell’arte dell’arazzo i focosi giochi del popolano aragonese. Ha dipinto santi col chiaroscuro di una rissa notturna. E’ stato leggero e profondo, inquietante. Ha trattato con lo stesso genio soggetti sacri e profani, pae ­saggio, nudo, natura morta. Ha infuso vita terrestre ai gioielli. Ha dipinto raso e velluto come nessuno prima li aveva dipinti. Ha mescola ­to la processione del Vener ­dì Santo e le scene dell’In ­quisizione, il tribunale al carnevale. E’ stato povero. E’ stato ricco. E’ stato ge ­neroso e avaro. Ha avuto carrozze e cavalli. Ha vinto concorsi e riscosso medaglie e pensioni. E’ stato accade ­mico. Ha diretto la real fab ­brica di arazzi. Non c’è sta ­to nobile spagnolo che non sia stato suo committente.

Un altro a cinquantaquat ­tro anni conclude una carriera e tira le somme. Ha lavorato come venti spagno ­li messi insieme. Ha mietuto tutto quello che c’era da mietere. Le sue rendite sor ­passano quelle di un conte e la sua gloria è senza con ­trasti. Piuttosto massiccio, tozzo, corto di gambe e di collo, con una faccia da mangiatore di fuoco e dei modi irritati e tempestosi Goya ha colto uno dei più rari e stravaganti fiori del ­l’antica corte: la duchessa D’Alba. E a 54 anni il fiore è fresco al suo occhiello.

L’inizio del secolo è apportatore di disgrazie. Nel 1800 muore la duches ­sa e nel 1811 Josefa, la con ­sorte. Tra l’una morte e l’altra il terribile 1808, l’ini ­zio della guerra civile, la caduta di Carlo IV, la cac ­ciata dei mamalucchi delle armate napoleoniche, il ba ­gno di sangue di cui è som ­mersa Madrid per ordine del generale Murat, il mancato riconoscimento di Ferdinan ­do al trono da parte dei francesi, la rivoluzione civi ­le in tutta la Spagna. In mezzo a questo fuoco e a questo sangue, tra fucila ­zioni ed impiccagioni il vecchio Goya, a più di ses ­sant’anni, ritrova la giovinezza del suo genio. E’ ve ­dovo di due donne, è sordo, ha lasciato agi e ambizioni e vive come un eremita nei dintorni di Madrid. Non ha lavorato mai tanto, lui che ha dipinto più re principi e regine di Velasquez, il ritrattista dei nobili, l’autore del ­la Maya nuda ora non di ­pinge che visioni, massacri, streghe che spogliano gli impiccati, scene di crapula; sono i disegni e le incisioni del Disastri della guerra le fucilazioni del 12 maggio. E’ una rivoluzione in piaz ­za ma è anche una rivolu ­zione nella sua pittura. Una maggiore intensità e larghez ­za, un’irruenza di forme, di tonalità, una condensazione di motivi epici e drammati ­ci che si susseguono uno do ­po l’altro come in un cielo meraviglioso e boccheggian ­te.

Dipinge quello che vede.

Dipinge quello che im ­magina. Dipinge tele e di ­pinge muri. Le pareti del suo studio e della sua casa di campagna â— la villa del Sordo la chiamano â—. E’ il ritratto della Spagna in lutto. Un autoritratto multi ­plo, gremito. La Spagna è Goya. La Spagna è il suo sanguaccio aragonese. E’ quest’osso del cranio. Sono le sue mani e il suo occhio, quest’occhio che entra nel nostro come un chiodo. E dove poggia fa un buco. Nella villa del Sordo su una parete ha dipinto il Pellegrinaggio a Santo Isidoro e la Visione fantastica, due capolavori; e non sono i soli. Tele e telai non basta ­no. Goya si avventa sulle pareti e dipinge dalla mat ­tina alla sera l’odore di que ­sto sangue, e il canto della civetta in mezzo ai morti. Vedove scarmigliate e urlan ­ti che si dibattono tra piedi freddi. Goya è vedovo del ­la Spagna.


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Bart