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PITTURA: I MAESTRI: Liotard: Dimensioni del ritratto realista

25 Luglio 2017

di René Loche e Marcel Roethlisberger
[Classici dell’arte, Rizzoli, 1978]

II Settecento è l’apice di una lunga tradizione della pittura di ritratto, che comincia con l’arte di corte del tardo Medioevo, seguita dalla scoperta della realtà con Van Eyck e Antonello. Nel Cinquecento nascono il ritratto indicatore del rango sociale e l’effigie umanistica, mentre dal secolo successivo ven ­gono il ritratto aulico di Van Dyck e Velázquez così come il ritratto borghese di Hals e Rembrandt. Nel secolo dei “lumi”, l’aspetto fisico dell’individuo do ­veva occupare più che mai un posto di primo piano. Gainsborough e Goya ne sono i grandi interpreti. Nell’Ottocento, il ritratto psicologico e sociale verrà lentamente eclissato dalla fotografia.

In ogni paese il panorama settecentesco del ri ­tratto è vasto e ricco di vertici. Il contributo inglese, dominato da Reynolds, appare senza dubbio il più importante, coi suoi grandi quadri dipinti liberamente, dove la figura umana si trova in mezzo alla natura. In Francia gli specialisti principali sono Nattier e i contemporanei più stretti di Liotard, ossia La Tour, Drouais, Aved e altri. In Italia, Rosalba Car ­riera e Batoni, per nominarne due soltanto.

Nella sua lunga vita, Liotard attraversa il secolo da cima a fondo. Nasce nel 1702, quasi negli stessi anni di Chardin e Boucher, mentre Luigi XIV regna ancora sulla Francia. Muore nel 1789, data della Ri ­voluzione, quando la nascita del neoclassicismo si trova in pieno svolgimento. Allora, Goya si è or ­mai imposto, il Giuramento degli Orazi di David è ce ­lebre, Ingres ha nove anni. Contrariamente a Hol-bein, Van Dyck o Ingres, Liotard è uno specialista di ritratti nel senso più stretto del termine, come La Tour, Anton Graff o i maestri della scuola ginevri ­na. In più, si limita soprattutto a un tipo: quello del busto su fondo unito, condotto a pastello.

Se è ginevrino di nascita, lo è pure dal lato ar ­tistico? Nelle collezioni anglo-americane risulta co ­me di scuola svizzera: riferimento improprio, per ­ché Ginevra, città libera, non ha nessun legame d’arte con le correnti locali della Svizzera tedesca. Nato ultimo di sette figli di genitori francesi, ugo ­notti oriundi della Drí´me, nel sud-est, trascorre tut ­ta la giovinezza a Ginevra, riceve una formazione professionale parigina, poi viaggia; e fra i vari sog ­giorni all’estero, passa una trentina d’anni in patria, a Ginevra. Lo spirito di questa cittadina di ventimila anime lo segna a fondo, tranne che dal lato religio ­so, in cui la sua indifferenza è completa. Società evo ­luta, aperta alle idee moderne, rivolta verso Parigi: ma, anche, feudo calvinista, poco propenso alle arti, privo del mecenatismo d’una corte. Anzi, le leggi suntuarie proibiscono espressamente il lusso e l’ac ­cumulo di tesori artistici. Liotard non se ne intende di lettere, come sarà di Füssli a Zurigo, e non contri ­buisce alla storia delle idee in Ginevra: ciò che non gli impedisce di diventare di gran lunga il più impor ­tante e il più noto degli artisti ginevrini.

Dal Settecento, la cerchia artistica locale si limi ­ta sostanzialmente al ritratto, alla miniatura e allo smalto, prodotto in botteghe familiari al servizio dell’industria orologiera. Del resto, a quel tempo lo smalto era molto più stimato che ai nostri giorni. Liotard deve alla tradizione locale il gusto della pre ­cisione e del finito, così come il mestiere stesso dello smalto, che pratica per tutta la vita. In compenso, i ritrattisti ginevrini della generazione che lo precede â— Arlaud e Robert Gardelle, legati alle formule im ­personali del Seicento â— non hanno niente da of ­frirgli. Così, non ha la fortuna di beneficiare della tradizione e del sostegno d’una scuola locale attiva.

In seguito, continua a restare indipendente, sen ­za legarsi a nessuna scuola. A Parigi, il suo stile non si francesizza affatto, contrariamente ad alcuni dei suoi colleghi più accomodanti, come i ritrattisti svedesi G. Lundberg e A. Roslin. Non viene ammesso all’Accademia di Belle Arti, e così non avrà allievi (tranne la marchesa di Baden, che era una dilettante, e suo figlio maggiore, che si impegolerà negli affari).

Perfino l’Inghilterra, dove lungo i secoli tanti arti ­sti si sono anglicizzati, non lo cambia per niente. Co ­me ritrattista dell’aristocrazia, si muove al di là delle correnti locali. D’altra parte i numerosi viaggi gli impediscono di stringere legami. Il suo limite e la sua forza derivano da un tenace individualismo che lo governa per tutta la vita, al punto che il suo stile non registra svolgimenti, salvo all’inizio e nel perio ­do estremo.

Il giovane Liotard deve la propria formazione a due maestri insignificanti, studia per qualche mese a Ginevra presso il miniaturista Daniel Gardelle, poi per tre anni a Parigi col pittore e incisore Massé. Da generazioni gli artisti ginevrini gravitano su Parigi; Liotard ci vive tredici anni. A quel tempo, Franí§ois Lemoyne domina la ribalta artistica, Rigaud e Largillière, che superano Liotard in longevità, sono i maestri del ritratto sontuoso, Nattier primeggia nel ritratto mitologico; l’eredità di Watteau, morto da poco, è onnipresente; ancora, i maestri dell’avvenire come Boucher e Chardin stanno ottenendo i primi successi. Poco o nulla di tutto questo traspare nell’o ­pera di Liotard. Da subito si limita al ritratto. L’av ­vio è lento; e in pratica ignoriamo quasi tutto di lui prima dei trent’anni. Alla fine del soggiorno parigi ­no dipinge il suo solo quadro storico, un tema del Vecchio Testamento concepito in maniera imperso ­nale.

All’età di trentatré anni, il viaggio in Italia; che per lui non sarà più il soggiorno formativo secondo la tradizione. I due anni e mezzo che passa a Firenze, Roma e Napoli non lo segnano in modo evidente. Nessuna traccia del ritratto incisivo di fra’ Galgario o del ritratto popolare e mordace di Ceruti, per non parlare di grandi contemporanei come Solimena o Sebastiano Ricci. Ad ogni buon conto copia qualche soggetto classico. Mentre non rimane nessuno dei ritratti di maggiorenti italiani fatti in quel periodo, ben più importante si rivela il contatto coi giovani aristocratici britannici in visita nella penisola; de ­cenni dopo rinnoverà quei legami nel corso di due soggiorni a Londra.

Per Liotard, il viaggio in Grecia e i quattro anni a Costantinopoli resteranno il momento più affasci ­nante della vita. Ha dipinto soprattutto il corpo di ­plomatico, ma a noi non è arrivato quasi niente. Per la prima volta l’artista si dedica a immagini di gene ­re, descrivendo in quest’unica circostanza il proprio ambiente in deliziosi disegni di interni turchi, che fa ­rà pubblicare a Vienna e a Parigi in una trentina d’incisioni. Bisogna ammettere comunque che non è un narratore della vita turca. Il francese J.B. Van-mour, che lo aveva preceduto a Costantinopoli dal 1688 alla sua morte nel 1737, ci offre una ben più va ­sta documentazione sui costumi, la corte e le feste turche, sia nei dipinti di gruppo, sia nel Recueil de cent estampes de costume, del 1712, che ancora nel 1741 servirà da modello alle scene turche di A. Guardi. E la tradizione sarà ripresa, a Costantinopoli, da Antoine de Favray, a partire dal 1762, per dieci anni. Liotard non mostra neppure di aver avuto alcun rapporto con la pittura turca, che è soltanto di il-luminazione; ma si noterà in ogni caso che la totale assenza di modellato che caratterizza l’arte turca e persiana non poteva che confermarlo nel suo stile personale.

In pittura, l’orientalismo diventa un fattore im ­portante solo nell’età romantica. Si era diffuso ben prima, ma, in genere, non prodotto da un contat ­to immediato con l’Oriente, bensì con una impron ­ta aneddotica, teatrale o letteraria (Molière, Montesquieu, Voltaire), oppure interessando la ceramica e la tessitura. Nella pittura francese, le turcherie si incontrano in misura pari che i soggetti indiani e ci ­nesi. Ne troviamo a partire dagli arazzi turchi di Antoine Coypel (1722) fino a Charles Vanloo (1773). Poco prima del viaggio di Liotard, Vanloo dipinge scene turche di gusto francese. Quanto ai ritratti, nel 1742 Aved e La Tour effigiano l’ambasciatore turco.

Al viaggio di Liotard in Moldavia, segue il primo soggiorno a Vienna, dove il successo è grande, a co ­minciare dall’imperatrice, che gli testimonia la pro ­pria amicizia. È vero che, in pratica, una concor ­renza non esiste; però il successo non sarà da me ­no durante il secondo soggiorno parigino (1746-53 . quando invece i rivali sono importanti. Anche qua dipinge la famiglia reale. La tappa successiva è Lon ­dra. Al momento del suo tirocinio londinese (1753-55), Reynolds e Gainsborough, più giovani di una generazione, sono ancora alle prime armi. Liotard ritrae la famiglia del principe di Galles e quell’ari ­stocrazia che già in parte conosce. Poi soggiorna in Olanda, e qui sposa una giovane; dopo di che nel 1758 si stabilisce a Ginevra, dove avrà cinque figli. Per far fronte alle commissioni, più tardi ritorna a Vienna, Parigi, Londra, e un’altra volta a Vienna. Ma gli ultimi viaggi a Parigi e a Vienna non sono proficui, perché il suo stile immutabile era scaduto di moda.

Di sicuro gioca il gusto di viaggiare; però d’altra parte gli spostamenti sono una necessità vitale per un ritrattista, che ha bisogno di rinnovare la cliente ­la. I viaggi non lo conducono che nelle poche capi ­tali ricordate; e, dopo qualche tempo, in ogni città le ordinazioni si esauriscono. Del resto Liotard non è il solo a spostarsi. Rosalba Carriera, Perronneau, Angelica Kauffmann fanno altrettanto, e Roslin è perfino più viaggiatore di lui; per il passato, basta citare gli esempi di Antonio Moro, Pourbus o Van Dyck. Come questi, Liotard è soprattutto un pittore itinerante di corte. Così si spiega anche che il citta ­dino di una repubblica calvinista sia ammesso a ri ­trarre il papa, la famiglia imperiale di Vienna e i principi francesi. Altri ritrattisti ginevrini come Arlaud, Gardelle e Du Pan lavorano pure in diverse corti europee; e già un secolo prima di Liotard, Jean Petitot, lo smaltista più noto, era attivo alle corti di Londra e Parigi. Del resto, tranne quella di Londra, nel Settecento tutte le corti sono impregnate di cul ­tura francese. Qualche volta Liotard sfrutta l’abbi ­gliamento alla turca e una certa eccentricità; ma a differenza di La Tour non fa mai capricci con i clien ­ti. Uno sguardo sui retroscena ci viene offerto da tre dozzine di lettere sue indirizzate negli ultimi anni al ­la famiglia e a F. Tronchin. Queste carte, che riguar ­dano l’ultimo viaggio a Vienna, rivelano le tribo ­lazioni del ritrattista alla ricerca del cliente, che è ob ­bligato a sollecitare con giri di visite quotidiane.

Artista cosmopolita, Liotard dipinge la nobiltà austriaca, francese, inglese, olandese. Presenta quei dignitari con una semplicità stupefacente, lasciando da parte tutto l’armamentario di tende, drappeggi, corone e altri orpelli che caratterizzano il ritratto au ­lico. Anche l’imperatrice d’Austria â— il solo perso ­naggio che dipinge oltre una dozzina di volte, senza contare le repliche â— il più delle volte viene espressa come una signora della borghesia. A tre riprese si vede incaricato di ritrarre una famiglia al completo; nel 1749, le principesse francesi, vestite con abiti stu ­pendi, quelle stesse che Nattier ritrae così spesso leg ­giadramente addobbate come figure mitologiche; cinque anni dopo, i principi di Galles e i figli, la cui semplicità ne fa la più bella serie dei ragazzi di Lio ­tard. A questi si aggiungono nel 1762 i piccoli e rifi ­niti disegni degli undici figli dell’imperatore d’Au ­stria. A Ginevra ritrae le famiglie borghesi, comin ­ciando dai Tronchin e dalla propria famiglia. Qual ­che testa di scrittore, come Marivaux, Rousseau, Voltaire, faceva pure parte della sua opera (sono tut ­te perdute); Garrick è l’unico attore che posa per lui; Ghezzi l’unico artista di cui esegue un’incisione, in cambio di una caricatura.

Così come è pervenuta, la sua produzione non risulta molto copiosa se la si confronta a quella di altri maestri del ritratto come Tischbein, la Kauff ­mann o Graff, il ritrattista svizzero stabilitosi a Dresda e il cui catalogo conta 1600 pezzi. Durante la vecchiaia, l’attività rallenta; però l’ultimo ritratto, dipinto a ottantotto anni, sorprende per la sponta ­neità dell’esecuzione.

Chi dice Liotard pensa immediatamente al pa ­stello. Questa tecnica, la sua preferita, si incontra dal Cinquecento in Francia e in Italia; raggiunge poi la maggiore diffusione in ambiente francese, tra il

1720 e la fine del secolo. Nell’Ottocento sarà riesu ­mata da Degas e dagli impressionisti. “Questo ge ­nere di Pittura è d’una facilità particolare. A tale vantaggio aggiunge quello di non diffondere alcun odore, né di causare alcuna lordura, di poter venire interrotto quando si voglia e del pari ripreso… Nes ­sun altro genere di Pittura si avvicina altrettanto alla realtà. Nessuno produce tonalità così vere. È carne, è Flora, è l’Aurora” (P.R. de C…, Traité de la peinture au pastel, Parigi 1788). Agli altri vantaggi, si può ag ­giungere il tatto che, contrariamente all’olio, il co ­lore non si altera, ed è quello che determina la fre ­schezza dei pastelli di Liotard. L’unico aspetto pro ­blematico riguarda il fissativo. La carta o la perga ­mena servono da supporto (a causa delle dimensio ­ni, i fogli sono spesso incollati, e i giunti sono diven ­tati evidenti). La Carriera introduce questa tecnica a Parigi nel 1721, a Vienna nel 1730. Per sua natura, il pastello dipende dal disegno. La Tour e Perron ­neau, i maestri più grandi in questo campo, sfrut ­tano le possibilità del tratto mediante una grafia nervosa e spontanea. Liotard invece vi si oppone, e realizza il pastello per superfici: nelle sue opere, il tratto si avverte solo qua e là. Nattier si serve del pa ­stello a volte, Chardin lo impiega da vecchio per tre autoritratti a partire dal 1771. Gli studi del viso solo, quegli schizzi eseguiti dal vivo che sono propri di La Tour, in Liotard non esistono così come non fa ab ­bozzi dei particolari. Eccettuati pochi schizzi a gesso su carta blu, non lo si vede mai studiare l’impagi-nazione. Rari pastelli incompiuti lasciano scorgere un disegno preparatorio. I dipinti a olio di Liotard. una ventina in tutto, dal lato esecutivo corrispondo ­no ai pastelli.

Quanto ai disegni, in numero di circa duecento, assolvono funzioni differenti. Accanto ai disegni turchi dal tratto vivace e spigliato, ci sono ritrattini al ­tamente finiti, e i migliori sono quelli degli undici principini d’Austria, già ricordati. Più spesso la tec ­nica impiegata è una combinazione di lapis nero e sanguigna, con o senza rialzi in bianco; tecnica ca ­ratteristica di tutta la scuola francese da Watteau in poi. Al contrario, poco rimane dei suoi lavori su smalto. Le opere iniziali (Diana e Endimione, Tenda di Dario) non si distinguono dalla produzione ginevri ­na tradizionale. In seguito Liotard sperimenta va ­rianti tecniche e grandi formati, come pure la por ­cellana e i trasparenti su vetro, di cui è noto un solo esempio, tipo cammeo.

La questione dell’autenticità viene complicata dall’esistenza di copie autografe oppure eseguite da altri. Durante il secondo soggiorno a Parigi, Liotard sembra conservare qualcuna delle repliche che trae dalle proprie opere. Certi ritratti regi a volte sono ri ­petuti da lui stesso, più sovente da terzi. Secondo la richiesta, rifà un’opera che è piaciuta, allo scopo di vendere anche la replica. A Vienna, il suo assistente Peter Kobler esegue copie che vende come originali.

Liotard deve il proprio successo anzitutto alla somiglianza. Paragonato ad altri maestri che nel pa ­stello sfruttano le graduazioni dei semitoni e i pas ­saggi sfumati, le figure di Liotard si impongono gra ­zie alla fermezza delle forme e alla nettezza del colo ­re. Non sottosta alle formule galanti e dolciastre che conferiscono ai visi quell’aria impersonale di bam ­bolotti o marionette, tanto diffusa nell’arte del Set ­tecento. D’altra parte il suo penetrante realismo è sempre guidato da sensibilità artistica e da un garbo discreto: mai niente di equivoco o banale. A furia di attenersi unicamente alla realtà e di vietarsi qualun ­que concessione o qualunque accomodamento, ai gusti del modello questo realista può apparire spietato, persino graffiante. Basta guardare i ritratti del ­la Pompadour eseguiti da Boucher per capire il giu ­dizio della marchesa sul ritratto, ora disperso, che le aveva fatto Liotard: “Tutti i vostri meriti si riducono alla barba”.

Il suo è uno stile sobrio e incisivo; il colore vivace, soprattutto nei blu, la tinta preferita; il fondo è unito, spesso grigio-bruno (quello che Manette de ­finisce, con disprezzo, il suo “colore pan pepato”). L’immagine è ferma, lo spazio inesistente o poco profondo, la luce diffusa, senza chiaroscuri, se non a volte sotto forma d’un riflesso profilato. Gesti e sor ­risi sono rari. Limitato al busto, il più delle volte escludendo le mani, il ritratto di Liotard non pretende di cogliere tutta quanta una persona nel suo ambiente. In ogni caso le sue opere migliori ci met ­tono davanti a uno sguardo accattivante, a un ca ­rattere, qualche volta a un’espressione particolare, come nel caso della marchesa di Nétumières, la con ­tessa di Guilford, M. Luttrel e vari altri.

Gli accessori di cui si serve sono pochi: il libro, la lettera, il tavolo, il vaso di fiori, la pelliccia; per una volta, la chitarra. Il maresciallo di Sassonia è l’unico caso di ritratto aulico con le insegne del suo grado, formula che d’altronde è la più corrente nei ritratti ufficiali (curiosamente, il ritratto che farà La Tour dello stesso personaggio è più umano). A volte appaiono vesti turche o veneziane.

I ritratti a figura completa sono rari. Il Richard Pococke, presentato in posa monumentale, è la sola opera contenente un modesto fondo di paesaggio, che però rimane staccato dalla figura. L’unico altro ritratto a grandezza naturale è il Lord Sandwich. Più piccoli sono quelli della Donna in costume maltese e di Lord Bute, in un interno con caminetto e specchio, ambientazione ripresa da Boucher.

A volte Liotard va oltre la mezza figura conven ­zionale. Dipinge la marchesa di Baden in un atelier spoglio che ricorda Pietro Longhi. Il collezionista Franí§ois Tronchin appare a un tavolo e indica con un gesto significativo il suo “pezzo” prediletto, un quadro di Rembrandt. La colazione del figlio del ­l’artista è ricalcata su Chardin; quella delle signori ­ne Lavergne â— un’opera squisita â— anticipa Anker. In un altro ritratto doppio si vedono un giovane e un ragazzo allo scrittoio. La Futura signora Necker è pure seduta accanto a un tavolo. Quello di Mme Vermenoux è l’unico esempio di ritratto allegorico, che pure era così usuale a quei tempi.

A Costantinopoli Liotard ha creato i suoi mi ­gliori quadri di genere, immagini di donne orientali che affascinano sia per la fedele descrizione di co ­stumi esotici, sia per l’armonia dei toni chiari. Più tardi rielabora questo tipo di composizione nella Bella cioccolataia e in altri ritratti di genere come la Donna sdraiata sul divano a Firenze. Allo stesso ordine di idee appartiene la Contessa di Coventry, la cui iden ­tificazione è in realtà dubbia e che sembra piuttosto evocare l’amica di Liotard a Costantinopoli: nota in tre versioni, deve il suo effetto alla posa pensosa, ai toni chiari e all’equilibrio degli accessori.

I famosi autoritratti, una dozzina in tutto, ci ac ­costano in maniera speciale all’artista. Se di sicuro non è il solo a ritrarsi parecchie volte, Liotard si offre però con una schiettezza molto personale. La se ­rie comincia con la testa a olio dipinta verso il 1733, d’una sensibilità ancora prossima a Watteau e al ­la Carriera. Gli autoritratti migliori sono quello di Dresda, col berretto di pelliccia, e quello a tre quarti di Ginevra, dove il pittore si rappresenta magistral ­mente al cavalletto. Ultimo si incontra il ritratto del ­l’artista ormai molto avanti con gli anni, spoglio di qualsiasi accessorio: commovente per la carica u-mana.

A seconda dei casi, i pastelli di Liotard sono stati giudicati più sinceri o meno vivaci che quelli di La Tour e di Perronneau. Certo, i suoi pastelli non mi ­rano né all’esecuzione brillante, né al colore trat ­tenuto, né alla varietà delle pose e delle ambienta-zioni, che sono tipici dei francesi. Né aspirano allo slancio teatrale o al cromatismo della Carriera. Non vanno misurati col metro di un Gainsborough, che si situa in un contesto artistico del tutto diverso. D’altro canto lo stile misurato, esatto e realistico di Liotard si avvicina, senza però che si possa parlare di contatti diretti, a quello di altri artisti come Duplessis e Lépicié in Francia, Knapton, Ramsay e Zoffany in Inghilterra. Qualcuna delle sue scene di genere prova l’attaccamento agli intimisti olandesi. Per va ­rie opere, come la Duchessa di Marlborough o la “Belle liseuse”, si impone il paragone con l’arte â— però più pungente â— di Pietro Rotari.

Anziano, colpito dalle tensioni politiche che tor ­mentano l’Europa alla vigilia della Rivoluzione, e ri ­masto privo di commissioni, Liotard si rivolge alla teoria e alla natura morta. Fùssli senior â— studioso d’arte oltre che pittore â— lo precede come teorico a Zurigo ; ma a Ginevra non sarà seguito che mezzo se ­colo dopo dagli scritti di R. Toepffer. Il Traité des principes et des règles de la peinture che Liotard pub ­blica a ottant’anni si colloca nella linea dei manuali didattici, come poco dopo quello anonimo sulla pit ­tura a pastello citato più sopra, o come l”Anweisung zur Pastellmahlerey â— cioè la pratica della pittura a pa ­stello â— di Günther (Norimberga 1792). Tipico di Liotard, il testo scritto da lui è però molto più per ­sonale, e così può servire come nessun altro da gui ­da alla comprensione della sua arte. Il lettore vi tro ­va la spiegazione dei segreti del mestiere. Insiste sul ­la nettezza del disegno, la grazia, il levigato e il fini ­to, insiste sull’importanza del rilievo, dell’essenziale, si scaglia con straordinaria violenza contro il tratteg ­gio e quelli che chiama i tocchi: il tutto, facendo ri ­ferimento alle proprie opere e alla pittura olandese del Seicento.

Negli anni estremi, dunque, Liotard si volge alla natura morta pura, tema che durante la maturità aveva adottato come elemento accessorio in ritratti e quadri di genere. Un altro illustre ritrattista, Largillière, si era già imposto per le nature morte. In Lio ­tard il ricordo di Chardin e di H. Roland de la Porte è molto vivo. Come evita le formule barocche che gonfiano il ritratto, così le sue nature morte sono l’opposto della brillante messinscena della cerchia di Desportes e di Oudry. Se i rari trompe-l’oeil non co ­stituiscono una novità (lo avevano preceduto alcuni pittori francesi e, a Zurigo, lo stesso Füssli), dozzine di sue nature morte con frutta attraggono per la sin ­tetica semplicità e per la sobrietà dei modi. Sono lavori, e così le due composizioni di fiori, che in qualche maniera si situano fuori del tempo e dello spazio, collegandosi con opere molto più moderne. Lo stesso vale per quel capolavoro isolato che è l’u ­nico paesaggio autentico di Liotard. La veduta è presa dalla sua casa di Ginevra, verso le Alpi; in se ­condo piano, la campagna oggi invasa dalla città. Prima di Corot, non ci sono che gli studi fatti nel-l’íŽle-de-France da Desportes, mezzo secolo dopo, a offrire una freschezza simile.

Nel corso dei viaggi e presso il mercante olande ­se Hoët, Liotard poté raccogliere quasi un centinaio di quadri antichi, che allora formavano una delle collezioni maggiori di Ginevra. Più convenzionale di quella del suo amico Tronchin, era caratterizzata soprattutto dal gusto per gli olandesi del Seicento, in particolare per i paesaggi, le scene di genere e le vedute architettoniche; non presenta un solo con ­temporaneo. Due aste organizzate durante l’ultimo soggiorno a Londra si risolvono in uno scacco, e Liotard venderà la maggior parte della collezione al mercante Lebrun e a Tronchin. Oggi si riesce a iden ­tificarne appena una mezza dozzina di ‘numeri’.

La rinomanza di Liotard alterna alti e bassi. La sua opera viene diffusa da centotrenta copie incise, in gran parte pubblicate mentre è vivo, compresi i disegni di Costantinopoli e le due dozzine di inci ­sioni desunte dalla Bella ciaccolataia, che viene anche modellata in porcellana di Sassonia. Non avendo formato allievi, il suo fare si avverte solo indiretta ­mente nei pastellisti che operano a Ginevra dopo di lui: Guillibaud, J. Huber figlio, Preudhomme e Jo ­seph Petitot. Del resto l’era neoclassica è agli anti ­podi di quella di Liotard. Nell’Ottocento la sua rinomanza declina anche perché â— tranne a Ginevra e a Dresda â— Liotard non è rappresentato nei musei. Tre storici d’arte della famiglia dei suoi discendenti lo recuperano: Humbert e Tilanus nel 1897 (ma il loro catalogo non conta che centodieci pastelli), Trivas nel nostro secolo. Dopo, la sua opera gode di un’attenzione sempre maggiore: la “Belle liseuse” ap ­pare addirittura su un recente francobollo degli Sta ­ti Uniti. Dal secolo scorso, vari artisti vengono col ­piti dal ritratto di Mme d’Épinay, di cui Ingres e Flaubert hanno tessuto gli elogi.

Questo volume riunisce per la prima volta l’ope ­ra di Liotard nel suo complesso. Una parte conside ­revole dei suoi dipinti non era mai stata riprodot ­ta. Inoltre, per la prima volta viene presentata una larga scelta di tavole a colori; la loro soddisfacente grandezza e lo stato di conservazione degli originali, per lo più eccellente, permettono un esame ideale del nostro artista. Che ha da dire Liotard, oggi? Le tavole parlano da sé. I personaggi sono straordina ­riamente presenti grazie al vigore del disegno e del colore. Trattandosi di uomini e donne che il pittore si è sforzato di rendere come esseri viventi, li osser ­viamo anzitutto come tali; e nasce un dialogo con queste figure che si staccano dal fondo per uscire dal passato: parlano della loro epoca, e noi li facciamo vivere per un istante. Sguardi si rivolgono a noi, e hanno il potere di arrestarci. Nel tempo stesso leg ­giamo questi quadri come opere d’arte. Senza la mi ­nima insistenza emotiva o sentimentale, la persona ­lità del pittore traspare in ogni elemento: un inter ­prete oggettivo di ciò che il suo occhio scruta; un in ­terprete che non perde mai di vista la grazia. “La prima tra le qualità del pittore è di mettere grazia in tutto quello che fa”, dice nel suo trattato. Così, in ­trise di realtà e della sua sensibilità di artista, queste figure silenziose continuano a esercitare la loro at ­trazione su noi.

 

 


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Bart