PITTURA: I MAESTRI: Morandi sesto grado16 Novembre 2017 di Dino Buzzati Cesare Brandi è uno scrittore di classe che con temporaneamente esercita il mestiere di studioso e cri tico d’arte. Non è detto, in fatti, che le due cose coin cidano. Vige in Italia la comica persuasione che chi si in tende, poniamo, di numi smatica, di astrofisica, di limnologia o, come nel no stro caso, di estetica e cri tica d’arte, per ciò stesso sia in grado di scriverne, rivol gendosi non già soltanto al la ristretta cerchia dei col leghi e degli allievi (adeguatamente iniziati), ma al vasto pubblico, per esempio, di un giornale quotidiano. Il che non è vero. Lo scrivere sarà forse il più stupido dei mestieri ma è pur sempre un mestiere che deve essere imparato, e facile sicuramente non è. Perciò molti luminari di questa o quella scienza e di sciplina, ammirevoli quando parlano dalla cattedra, e af fascinanti in privato collo quio, come mettono nero su bianco diventano un’afflizio ne. Ed anziché affidare le lo ro deficitarie e fumosissime prose a degli specialisti che le traducano in italiano, le pubblicano pari pari in volumi e in articoli, coi lamentosi risultati che tutti sanno. E’ una piaga da noi mol to diffusa. Brandi nel suo campo è un luminare ma, a latere, sa scrivere molto bene, an zi ha la personalità e l’au torità di uno scrittore au tonomo che come tale esi sterebbe anche se facesse l’agricoltore o il capitano di mare. E’ ovvio che dall’ars scribendi le sue prestazioni di critico acquistano luce e prestigio singolari. Se ne hanno nuove prove nel volume Morandi lungo il cammino (editore Rizzo li, con 24 riproduzioni di disegni) che raccoglie dodi ci scritti, tutti posteriori al la monografia di Brandi sul grande pittore, che è del 1942. Non si tratta quindi di un’opera formalmente or ganica. Ma l’unità, concet tuale e stilistica, è strettis sima. Stavolta, tranne che negli incantevoli « Appunti per un ritratto di Morandi », Bran di non è l’ispirato saggista, il diarista di viaggi, l’evo catore di paesi e atmosfere poetiche; è soprattutto il cri tico. Come tale â— e qui parla non un critico collega ma semplicemente un giornali sta e scrittore â— mi sem bra ch’egli eccella in elegan za, rigore, vorrei dire orgo glio mentale. Di regola, an che se di illustre firma e di brillante tessitura, i saggi sull’arte moderna risultano oltremodo opinabili. E mol to spesso si risolvono in capziosi e astrusi giochi ver bali che lasciano il tempo che trovano e il lettore in letargo. Invece Brandi, quando si impegna, affronta il tema â— ad esempio: perché un’ope ra è bella? Per quale stra da l’artista è giunto a tan to risultato? â— quasi si trattasse di un problema matematico; con l’intento di dimostrare la sua tesi co me due e due fanno quat tro, in una serrata catena logica. Equazioni del genere di ventano dei « sesti gradi » cerebrali in una materia co sì fluida, impalpabile e in commensurabile come l’es senza dell’arte. Anche quan do il soggetto è un perso naggio che nessuno può met tere in discussione come Giorgio Morandi. Di queste scalate estrema mente difficili egli qui ce ne offre particolarmente due, nel primo e nell’ultimo ca pitolo, che sono inediti; e senza l’ausilio dei « mezzi artificiali », i quali talora lo tentano per il gusto di sfog giare la qualità e l’addestra mento della propria materia grigia (mi ricordo un suo acrobatico saggio su Pino Pascali, scultore agli anti podi di tali virtuosismi bi zantini, giocato tutto sulle figure retoriche). Nel primo, Brandi tenta, e ci riesce a ricostruire, lo gicamente, in base a quale processo, partendo da quali premesse, grazie a quali in tuizioni, Morandi riuscisse a «trasferire il codice del l’incisione in codice di pit tura » cioè a realizzare sul la tela il proprio mondo poetico, e ciò per mezzo di quello ch’egli chiama « co lore di posizione », sua mas sima trovata stilistica. Nel secondo, forse ancora più vertiginoso, applicando lo strumento dell’analisi lin guistica ai disegni a matita del maestro, dimostra come l’incertezza o tremolio dei contorni e delle linee, che ricorda gli scarabocchi dei bambini, non sia già un ca so, né una trascuratezza, né un difetto, bensì necessaria funzione della nuova strut turazione spaziale-luminosa dell’immagine verso cui l’ar tista genialmente tendeva. A tale scopo egli percorre un itinerario, per dirla al pinisticamente, così delica to, esposto e povero di ap pigli, che non è agevole se guirlo. Ma una volta arriva ti in vetta lo si ringrazia di cuore come si fa con la guida che, magari con qual che strappo di corda, ci ha fatto scalare un’ardua gu glia per la via più ambizio sa. E mi è venuta in mente la straordinaria soddisfazio ne intellettuale che, da ra gazzo, mi procurò La filo sofia della composizione di Poe, concettualmente assai più semplice ma condotta con altrettanta splendida progressione dialettica. In un solo punto, che non riguarda la critica ma l’ar te profetica, non sono d’ac cordo con Brandi; quando a pagina 94 sostiene che la pittura propriamente detta non esiste più e che i pit tori i quali oggi continua no a dipingere coi pennelli non sono che « numeri in ritardo », come quelli del lotto. Io sono invece con vinto che fra non molto si tornerà precisamente alla pittura dipinta; e che sui giochetti oggi di moda si faranno delle belle risate. Ammesso che io sia ancora al mondo, mi piacerebbe, caro Brandi, darci appunta mento fra una decina d’an ni: non occorre di più. Ma questo con Morandi non c’entra. Letto 1285 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||