PITTURA: I MAESTRI: Monet: Passi tratti dal suo epistolario14 Novembre 2017 a cura di Luigina Rossi Bortolatto Due testimonianze caratterizzano il temperamento di Monet: Renoir, alludendo ai difficili e appassionanti inizi del gruppo dei futuri impressionisti, confessa: “Senza di lui nessuno di noi avrebbe fatto niente”; e lo stesso Monet nel 1920 al duca de Trevise, il quale gli comunica che il Musée du Luxembourg, per ricordare il cinquantenario della morte di Frédéric Bazille, in Âtende esporre il suo Ritratto di famiglia, esclama: “Un quadro di Bazille! È sufficiente per farmi andare a Parigi”. Le parole di Renoir sono relative al 1918, quelle di Monet a un periodo an Âche più tardo, quando l’artista ormai ottantenne non si spostava più di Giverny. Affettuosa riconoscenza, volontà , decisione, chiarezza e onestà sono le doti che fanno di Monet un uomo straordinario. Scorrendo l’epistolario, che ce lo rivela dal 1856, allorché sedicenne comunica da Parigi con il maestro e amico Boudin, sino alle ultime lettere scritte a Durand-Ruel nel 1925, possiamo seguire attraverso vicende liete e tristi il caposcuola dell’impressionismo. Sono le stupefacenti rivelazioni dell’arte dei maestri precedenti, soprattutto Delacroix e Corot, raccontate da un sedicenne con l’entusiasmo giovanile assieme a capacità cri Âtica e vigore di giudizio straordinari, che colpiscono. “Monet non è che un occhio, ma che occhio”, dirà Cézanne: Monet si rivela tale fin dall’inizio. Sono confessioni felici o tristissime, le sue, accompagnate da aperte richieste di aiuto all’amico Bazille: “Ieri ero così sconvolto che ho commesso lo sproposito di gettarmi in acqua”, dove però nella parola ‘spro Âposito’ si coglie la coscienza che sorreggerà l’artista quando maggiormente le vicissitudini o il dolore lo colpiranno. La pri Âma compagna, Camille, lo lascerà nel 1879; nel 1911 gli man Âcherà Alice Hoschedé, la seconda moglie; e il figlio Jean gli verrà strappato da un male inguaribile nel 1914. “Non ho bi Âsogno di dirvi quanto triste sia ormai la mia vita…”; e ancora: “Questi giorni di festa di fine d’anno sono stati molto penosi da passare; mi hanno abbattuto, scorato del tutto. Comunque sono riuscito a dominarmi, e ho ripreso i pennelli che avevo abbandonato”; e poi: “Come sapete, mi sono rimesso al lavoro. Quando mi ci metto lo faccio seriamente, tanto che, in piedi fin dalle quattro del mattino, sgobbo tutta la giornata e a sera sono talmente sfinito…”. Impegno, urgenza di fare capace di vincere l’angoscia. Ver Âso il 1858 Monet comincia a ‘vedere’ e a ‘dipingere’. “Con l’andar del tempo mi si aprirono gli occhi, capii veramente la natura e imparai anche ad amarla”. Sono un vedere e un di Âpingere nuovi, festosi, all’aperto, con amici pittori che lo ac Âcompagnano nelle scorribande lungo le scogliere e le spiagge normanne o sulle rive della Senna nei dintorni di Parigi, insieme sugli stessi motivi. Prima, il periodo di Honfleur, con Jongkind e Boudin: “Siamo molto numerosi in questo momento […] ab Âbiamo una piccola cerchia molto piacevole […] ci capiamo a me Âraviglia e non ci lasciamo più”. Successivamente, con Renoir a Bougival, dove Monet sta con la propria donna e il figlioletto, e “Renoir ci porta del pane da casa sua per non farci crepare di fame”; qualche volta il pittore si vede “costretto all’inattività per mancanza di colori”. E, ancora, con Renoir, Sisley, Manet, ad Argenteuil, dove nasce e si svolge il periodo classico dell’impressionismo. Più tardi, con la maturità , il registro muta: “Ho sempre lavorato meglio nella solitudine e secondo le mie sole impres Âsioni “; oppure: ” Soprattutto, tenevo a venirci [a Bordighera] da solo per essere più libero con le mie impressioni. È sempre brut Âto lavorare in due”. Si direbbe che una necessità sistematica, quasi scientifica, lo conduca di fronte al motivo per coglierne a tu per tu, senza distrazioni, l’essenza: “Sapete che sono assorbito dal lavoro. […] Questi paesaggi sono divenuti un’ossessione […] è al di là delle mie forze […] e tuttavia voglio arrivare a rendere ciò che sento così vivamente. Ne sono distrutto: ricomincio e spero che da tanto sforzo esca qualcosa”. La voluta solitudine, che è esigenza di interrogante atten Âzione al ‘sensibile’, non rimane però disgiunta dalla necessità di affetti. Né solo per la famiglia, gravosamente aumentata in un momento difficile con l’annessione degli Hoschedé; famiglia entro la quale starà e alla quale guarderà con nostalgia quando le ricerche lo condurranno lontano, e alla quale ritorna sempre con gioia: “Una volta per tutte” scrive alla sua compagna “vi dico che siete tutta la mia vita con i miei figli, e che lavorando non faccio che pensare a voi; ciò è così vero che ogni cosa che ritraggo, che scelgo, mi dico che occorre riprodurla proprio be Âne, perché voi vediate dove sono stato e la cosa com’è”; e: “Tornerò ancora in gamba, anche se sono stanco, a volte molto stanco di questo lavoro, di questa lotta continua; riposarmi accanto a voi mi sarà di gran conforto”. E inoltre, gli amici, affettuosamente seguiti e ricordati sino alla fine: “Apprendo in questo istante la terribile notizia della morte del nostro povero Manet”; “II povero Sisley mi aveva fatto sapere di andarlo a trovare otto giorni fa, e quel giorno avevo capito bene che era l’ultimo addio che voleva fare. Povero amico, povero ragaz Âzo!”; “Povero Renoir, scomparso anche lui. È una grande per Âdita e un vero dolore per me”. Dolore documentato non solo da parole, ma accompagnato da gesti di autentica, affettuosa fraternità . Dopo la scomparsa di Manet si batte a lungo per portare l’Olimpia dell’amico al Louvre, e più tardi potrà comu Ânicare con orgoglio allo scrittore Geffroy: “Avete visto che infine l’Olimpia di Manet è al Louvre […] ne sono felice per me e per i donatori di questo capolavoro”. Avrà cura di soccorrere i figli di Sisley morto in poco floride condizioni economiche; nei con Âfronti dell’opera di Renoir si esprimerà sempre con ammirato affetto: “Renoir ha fatto un quadro superbo”; “Sarò a Parigi venerdì per la mostra di Renoir, che sarà per me un go Âdimento”. Il lungo carteggio di Monet con Durand-Ruel, dal 1881 al 1925. ha talora dato adito a interpretazioni negative nei confron Âti del comportamento del pittore verso il mecenate, che ha fatto conoscere, tra enormi difficoltà , l’opera degli impressionisti in Europa e in America. Si incolpa Monet di un atteggiamento egoista, interessato, a volte perfino provocatorio. Ma, in effetti, scorrendo le molte lettere scritte da lui, si rileva piuttosto una vigile attenzione nei confronti di interessi che non sono solo suoi ma accomunano anche Pissarro, Sisley, Caillebotte, Renoir, Manet e altri; né sono interessi di mero ordine economico e pratico: riguardano la vicenda del gruppo agli effetti della valutazione critica. Come si vede, è necessario considerare la posi Âzione di Monet come caposcuola idealmente riconosciuto, la straordinaria chiarezza con la quale affronta gli avvenimenti, e un certo modo passionale di partecipare ai fatti. Il suo giudizio è sempre obiettivo, espresso nitidamente; lo prova una lettera a Duret in cui dichiara: “Rispondo ora, prima di rimpiangere profondamente che Rodin non sia inca Âricato del monumento di Zola, perché si trattava di una questione artistica, un omaggio di un grande scultore a un grande uomo; la questione politica non doveva sorgere. Quanto a Constantin Meunier, di cui ammiro il talento, vi dirò francamente che non lo vedo adatto a fare ciò. Allora, ditemi a chi rivolgersi! Ebbene, a un giovane di belle promesse, che in caso simile potrà dare delle prove, e penso subito a Maillol: il solo, a mio avviso, vicino a Rodin”. Così, nel caso di taluni apprezzamenti espressi su Zola proprio quando questi non dimostra di credere più ne Âgli impressionisti, dopo le battaglie giovanili sostenute accanto a loro: “Ammiro sempre più Zola per il suo coraggio”. Oppure: “Spero che la bella mostra di Pissarro abbia successo, perché lo merita”; e: “Spero che Cézanne si trovi ancora lì e voglia essere dei nostri; ma è così strano, così schivo di facce nuove, da farmi temere che manchi, nonostante il suo desiderio di conoscervi. Che sfortuna che quest’uomo non abbia avuto ap Âpoggi nella sua carriera: è un vero artista!”. Oltre a cedesti rilievi, parsi una doverosa premessa ai brani raccolti qui di seguito per documentare la visione artistica del pittore, resta da dire del linguaggio epistolare di Monet: estre Âmamente sobrio, apparentemente povero, specie nell’aggettiva Âzione: un’espressione ‘borghese’, lontana dal linguaggio ricco, persine letterario degli epistolari e diari dell’Ottocento; tuttavia è puntuale e preciso. L’artista teme “di essere terribile”, si sente “pieno di ardore”, tanto che “ci vorrebbe il diavolo per riuscire a fare quel che vorrei”, e confessa: “Non sono un gran pitto Âre, né un gran poeta; so soltanto che faccio quel che penso per esprimere quel che provo “: parole semplici e limpide, che chia Âriscono anche l’atteggiamento nei confronti della pittura, della quale spesso, per arrivare a rendere ciò che sente così “viva Âmente”, dimentica “del tutto le regole più elementari, se ne esistono qualche volta”, lasciando “apparire gli errori”. Non fa parte del suo carattere considerare la pittura una missione; è un’occupazione, una “grande consolazione”, un lavoro, ma un lavoro capace di esaltare (“c’è di che uscirne pazzi”) o di scoraggiare (“troverete che manco di coraggio, ma non resisto più ” ): tale però da impegnarlo e ” incantarlo ” per tutta la vita. _________________________________________________ Parigi, 20 febbraio 1856 Al pittore Eugène Boudin Non potete credere quale interesse troverete venendo subito a Parigi. C’è un’esposizione di dipinti moderni che comprende le opere della scuola del 1830 e che prova che non siamo tanto in decadenza come si dice. Vi sono 18 Delacroix splendidi, tra ili altri La barca di don Juan del Salon del 1855. Vi sono altrettanti Decamps, una dozzina di Rousseau, di Dupré, vi sono anche da sette a otto Marilhat, e tutti dei più belli. E perciò, è splendido, e non dubito che vi farà piacere. […] Venite, non avrete che da guadagnare. E poi sappiate anche che il solo buon pittore di marine che noi abbiamo, Jongkind, è morto per l’arte; è completamente folle. Gli artisti fanno una sottoscrizione per provvedere […]. Quanto a me, mi trovo bene qui, disegno figure con sicurez Âza: è una cosa formidabile! Del resto, all’accademia, dove non vi sono che paesaggisti, cominciano ad accorgersi che è una buona cosa. Ho dimenticato di dirvi che Courbet e Corot brillano anche in questa esposizione, così come Millet. C’è il suo quadro riflu Âito al Salon, La Morte e il boscaiolo. Una bella cosa. […] Honfieur, 15 luglio 1864 Al pittore Frédéric Saziile Quaggiù, caro mio, è stupendo e scopro ogni giorno motivi sempre più belli. C’è di che uscirne pazzi, tanto sento il deside Ârio di fare tutto, la testa mi scoppia […]. Honfleur, 26 agosto 1864 Al pittore Frédéric Bazille […] Siamo molto numerosi in questo momento a Honfleur. Accanto a parecchi pessimi pittori, un mucchio di buffoni, ab Âbiamo una piccola cerchia molto piacevole. Jongkind e Boudin sono qui, ci capiamo a meraviglia e non ci lasciamo più […]. Dieppe, 10 febbraio 1882 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Ora, per questa esposizione1, vi dirò che le mie idee sono molto ferme al riguardo. Al punto in cui siamo bisogna che una mostra sia ben fatta o non farla, ed è necessario che siamo ‘tra noi’, e non bisogna che una sola nube venga a compromettere il nostro successo. È possibile fare una mostra del genere quest’anno? Io so che non è possibile, poiché ci si è impegnati con certe persone, quindi, con mio grande rincrescimento, rifiuto assolutamente di farne parte a queste condizioni. Del resto, anche se lo volessi, mi sarebbe assolutamente impossibile, a me Âno di ritornare subito a Poissy e rinunciare al mio progetto di lavorare qui, dato che ci terrei a rivedere e a scegliere da me i miei quadri e ad assistere alla loro sistemazione. Vi ringrazio tuttavia del vostro gentile intervento. So che mi parlate nel mio interesse, ma la cosa è troppo seria per essere fatta alla leggera. Ho già scritto ieri a Caillebotte in questo stesso senso. Pourville, 18 settembre 1882 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Troverete che manco di coraggio, ma io non ci resisto più e sono in un completo scoraggiamento. Dopo alcuni giorni di bello, ecco di nuovo il tempo rimettersi al brutto, ancora una volta devo mettere da parte gli studi cominciati. Ci divento pazzo e disgraziatamente me la prendo con le mie povere tele. Un gran quadro di fiori, che avevo appena fatto, l’ho distrutto, come tre o quattro tele che ho, non solamente grattate, ma bu Âcate. È assurdo, lo riconosco, ma sento il momento del ritorno arrivare, vedo che la natura si trasforma completamente, allora perdo ogni coraggio vedendo che ho speso denaro in anticipo senza aver fatto niente di buono. Insomma, sono deciso a piantare tutto e a ritornare su Âbito. […] Poissy, 6 marzo 1883 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Ricevo la vostra lettera e vi ringrazio delle parole incorag Âgianti che mi inviate. Ammiro la vostra fede e la vostra fiducia, ma senza condividerle: trovo che quando ci si rivolge al pub Âblico, e questo risponde col silenzio e l’indifferenza, è un insuc Âcesso. Quanto a me, faccio pochissimo caso dell’opinione dei giornali, ma bisogna pur riconoscere che, ai nostri tempi, non si fa niente senza la stampa, e vi assicuro che se i colleghi di cui mi parlate trovano poco importante il silenzio dei giornali nei miei confronti ‘, sapranno comunque ben garantirsi il loro appoggio quando sarà il turno della loro mostra, e avranno ra Âgione, poiché è fuor di dubbio che ciò eccita la curiosità pub Âblica e, per conto mio, non vi è persona che non mi parli di questo silenzio e non lo deplori. Non c’è più niente da fare adesso. Mi auguro per voi e per me che qualche collezionista appoggi la mostra, ma non è un gran passo avanti e da parte mia sarò contrario per molto tempo a nuovi tentativi. Poissy, 7 marzo 1883 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Non desidero venire a Parigi in questo momento, non po Âtrò che constatarvi il mio insuccesso e vedere persone che me ne parlano, alcune con gioia, altre deplorandolo. […] Quando nei giornali eravamo criticati, spesso insultati, dicevamo che ciò provava il nostro valore, che nessuno altrimen Âti si sarebbe occupato di noi. Allora che pensare di questo si Âlenzio? Non crediate che aspiri a vedere il mio nome nei giornali. Sono molto superiore a questo e non mi curo dell’opinione della stampa e dei sedicenti critici d’arte, uno più stupido dell’altro. Dal lato artistico non cambia niente, conosco il mio valore, e sono più severo verso di me che chiunque altro. Ma è dal lato commerciale che bisogna vedere le cose. E non riconoscere che la mia mostra2 è stata annunciata male, preparata male, è non voler vedere la verità . Bisognava a tutti i costi garantirsi in anti Âcipo l’appoggio della stampa, poiché anche i collezionisti intelli Âgenti sono sensibili alla minore o maggiore risonanza dei giorna Âli. Io non ho, credetelo, l’ambizione di essere popolare […]. Giverny, 27 dicembre 1883 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Dovete pensare che, della grande quantità di studi che ho fatto, non tutti possono venire avviati al commercio: alcuni possono essere molto buoni, credo, e altri, anche un po’ vaghi, possono diventare buone cose ritoccandoli con cura, lo ripeto: ma questo non può essere fatto dalla mattina alla sera e non sarebbe né vostro né mio interesse pretendere in ogni caso di mostrarne molti, essendo mia ambizione darvi solo le cose di cui sono del tutto soddisfatto, a costo di domandarvi più denaro. Spero che lo capirete; perché altrimenti diventerò una macchi Âna per dipingere e vi ingombrereste di un mucchio di cose in Âcomplete e che potrebbero solo disgustare i collezionisti meglio disposti. Il mio amor proprio di pittore si oppone al fatto che lasci vedere delle tele in uno stato incompleto. Giverny, 12 gennaio 1884 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Voglio passare un mese a Bordighera, uno dei più bei posti che abbiamo visto nel nostro viaggio. Da lì spero di por Âtarvi tutta una serie di cose nuove. Perciò vi domando di non parlare a nessuno di questo viag Âgio, non perché ne voglia fare un mistero, ma perché ci tengo a farlo da solo: come mi è stato piacevole fare il viaggio come turista con Renoir, così mi sarebbe imbarazzante farlo in due per lavorare: ho sempre lavorato meglio nella solitudine e se Âcondo le mie sole impressioni. Bordighera, 24 gennaio 1884 A M.me Alice Hoschedé […] Faccio un mestiere da cani, io, e non risparmio le gam Âbe; salgo, poi ridiscendo e poi ancora risalgo; fra uno studio e l’altro, come riposo, esploro ogni sentiero, sempre alla ricerca del nuovo; e così giunta la sera ne ho abbastanza. Pranzo bene, faccio le solite quattro chiacchiere con voi, mi metto a letto e. incrociate le braccia, penso beatamente a Giverny, un occhio alle mie tele appese al muro, poi un po’ di lettura e, crac, un bel sonno per tutta la notte. Bordighera, 26 gennaio 1884 A M.me Alice Hoschedé […] Oggi ho lavorato ancora di più: cinque tele, e domani conto di iniziarne una sesta; andiamo abbastanza bene, dunque, sebbene tutto mi sia assai difficile da fare. Queste palme mi fan Âno dannare, e poi i motivi sono estremamente difficili da ripro Âdurre, da trasferire sulla tela; è tanto folto dappertutto; è deli Âzioso da vedere; si può passeggiare indefinitamente sotto le pal Âme, gli aranci, i limoni e anche sotto gli splendidi ulivi, ma quando si cercano soggetti è molto difficile. Vorrei fare certi aranci e limoni che si stagliano contro il mare azzurro, non riesco a trovarli come voglio. Quanto all’azzurro del mare e del cielo. è impossibile. Bordighera, 29 gennaio 1884 A M.me Alice Hoschedé … Lavoro come un forsennato su sei tele al giorno. Faccio molta fatica, poiché non riesco ancora a cogliere il tono di questo paese; a volte sono spaventato dai colori che devo adoperare, ho paura di essere terribile, eppure sono ancora ben al disotto; è atroce la luce. Ho già degli studi che hanno richiesto sei sedute, ma è tanto nuovo per me che non riesco a finire […]. Bordighera, 3 febbraio 1884 A M.me Alice Hoschedé […] Adesso sento bene il paese, oso mettere i toni terra e rosa e blu; è magia, è delizioso, e spero che vi piacerà […]. Sappiate ma volta per tutte che siete tutta la mia vita coi miei figli, e che lavorando non faccio che pensare a voi; ciò è così vero che ogni oggetto che faccio, che scelgo, mi dico che occorre riprodurlo proprio bene perché voi vediate dove sono stato e la cosa com’è. Bordighera, 5 marzo 1884 A M.me Alice Hoschedé […] Ora dipingo con colori italiani che ho dovuto far ve Ânire da Torino. Del resto ho anche consumato tutte le mie tele, le scarpe, le calze, persine i vestiti, e arriverò malconcio; gli abiti mi si sono logorati al sole: soltanto io ritornerò ancora in gamba, anche se sono stanco, talvolta molto stanco di questo lavoro. di questa lotta continua; riposarmi accanto a voi mi sarà di gran conforto […]. Bordighera, 11 marzo 1884 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Farò forse gridare un po’ i nemici del blu e del rosa, per via di questo splendore, questa luce fantastica che mi applico a rendere: e quelli che non hanno visto questo paese o che l’han Âno visto male grideranno, ne sono sicuro, all’inverosimiglianza, sebbene io sia molto al di sotto del tono: tutto è colore cangiante e fiammeggiante, è ammirevole; e ogni giorno la campagna è più bella, e io sono incantato del paese. Giverny, 24 ottobre  1884 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Lavoro molto, ma dire che sono soddisfatto e che ho molte cose buone da darvi, non è esatto; quanto più vado avanti, tan Âto più faccio fatica a portare a termine uno studio, e in questo periodo. quando la natura cambia tanto d’aspetto, sono obbli Âgato ad abbandonare certe tele prima che siano definitivamente empiute. Vi assicuro che mi do da fare, e se dicono che lavoro sottogamba, si ingannano poiché faccio ciò che penso. [Giverny, 3 novembre  1884 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Quanto al rifinito, o piuttosto al leccato, poiché è que Âsto che il pubblico vuole, non sarò mai d’accordo con lui. Giverny, 28 luglio 1885 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Lavoro a oltranza, ma sempre più faticosamente: cioè, di Âvento molto esigente. Ho due tele alle quali lavoro da un mese, ma confesso che alcune di queste tele le vedrei con rincresci Âmento partire per il paese degli Yankees e vorrei riservarne una scelta per Parigi, poiché è soprattutto là e là solamente che c’è ancora un po’ di gusto. Fresselines,  24 aprile  1889 Allo scrittore Gustave Geffroy Caro amico, sono desolato, quasi scoraggiato e affaticato al punto di esserne un po’ malato. Non arrivo a nulla di buono, e malgrado la vostra fiducia ho paura che tutti questi sforzi non approdino a nulla. Mai ho avuto uguale sfortuna con il tempo! Mai, tre giorni favorevoli di seguito, di modo che sono obbligato a trasforma Âzioni continue, perché tutto spunta e rinverdisce. Io che speravo di dipingere la Creuse come l’abbiamo vista! In breve, a forza di trasformazioni inseguo la natura senza poterla agguantare, e poiché questo fiume che diminuisce, si ri Âgonfia, un giorno verde poi giallo, adesso a secco, mentre do Âmani sarà un torrente dopo la terribile pioggia che cade in que Âsto momento. Sono in una grande inquietudine, scrivetemi, ho grande bi Âsogno di conforto […]. 22 giugno 1890 Allo scrittore Gustave Geffroy Ho ripreso ancora certe cose impossibili da fare: dell’acqua con erba che ondeggia sul fondo… meravigliosa a vedersi, ma c’è da impazzire a volerla fare. Insomma, mi attacco sempre alle stesse cose. 21 luglio 1890 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Sono nero e profondamente disgustato dalla pittura. È senz’altro una tortura continua! Non attendete di vedere del nuovo, il poco che ho potuto fare è distrutto, raschiato o bucato. Voi non vi rendete conto del tempo spaventoso che non ha cessato di fare da due mesi. C’è da diventare matti furiosi, quando si cerca di rendere il tempo, l’atmosfera, l’ambiente. Oltre a questo, a tutte le noie, eccomi stupidamente colpito dai reumatismi. Pago così le sedute sotto la pioggia e la neve, e ciò che mi affligge è pensare che bisogna rinunciare a sfidare ogni tempo e a lavorare fuori, salvo con il bel tempo. Che stupidità , la vita! 7 ottobre 1890 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Sgobbo molto, mi stordisco su una serie di effetti diffe Ârenti [dei pagliai], ma in questa stagione il sole tramonta così presto che non posso seguirlo. […] Divento di una lentezza, nel lavorare, che mi esaspera; ma più vado avanti, più mi rendo conto che occorre lavorare molto per arrivare a rendere quel che cerco: 1”istantaneità ’, soprattutto lo sviluppo, la medesima luce riprodotta dappertutto, e più che mai le cose facili venute di getto mi disgustano. Insomma, sono sempre più arrabbiato per il bisogno di rendere ciò che provo, e faccio giuramenti di non restare ancora troppo impotente, perché mi pare che farei dei progressi. Vedete che sono in buona disposizione. Spero che anche voi, che siete giovane, avrete scrollato la vostra in Âdolenza e che possiate produrre qualcosa di stupendo. Rouen, 13 aprile 1892 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Sono assolutamente scoraggiato e scontento di ciò che ho fatto qui: ho voluto fare troppo bene e ho finito col guastare quello che era fatto bene. Da quattro giorni non posso lavora Âre e decido di abbandonare tutto e di ritornarmene a casa; ma non voglio nemmeno sballare le mie tele, voglio vederle sola Âmente fra qualche tempo; quindi vi avvertirò non appena mi sono un po’ calmato. Giverny, 4 maggio  1892 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Verrò a Parigi venerdì per la mostra di Renoir, che sarà un godimento per me […]. Rouen, 28 marzo 1893 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Il mio soggiorno qui va avanti: ciò non vuoi dire che so Âno prossimo a terminare le mie cattedrali. Ohimè, non posso che ripeterlo: quanto più vedo, tanto più vado male nel ren Âdere ciò che sento; e mi dico che chi dice di avere finito una tela è un tremendo orgoglioso. Finire, volendo dire completo, perfetto; e lavoro a forza senza avanzare, cercando, brancolan Âdo, senza sboccare a granché, ma al punto da esserne stremato. Rouen, 30 marzo 1893 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Lavoro moltissimo, ma non posso pensare di fare altro che la cattedrale. È un lavoro enorme. Sandviken  (Oslo),26 febbraio  1895 Allo scrittore Gustave Geffroy Sono stupito di tutto quel che vedo in questo meraviglioso paese. Ho fatto passeggiate di quattro giorni in treno, in mon Âtagna, sui fiordi, sui laghi: è meraviglioso! Tutto ciò, molto spesso con un freddo di â—25 ° a mezzogiorno, ma non avendo mai sofferto, con grande meraviglia dei norvegesi, che sono più freddolosi di me. Sono come in un incantesimo, malgrado l’ali Âmentazione perfida; e che sangue cattivo mi sono fatto per non poter dipingere tutto ciò che vedo! Non sapevo dove girare la testa, e scoraggiato, ho sbagliato più volte nel prendere il treno e rientrare […]. Infine, ho trovato un angolo passabile per le pose, ed ecco Âmi all’opera dopo qualche giorno soltanto. Ho messo in opera otto tele che, se non sono troppo contrariato dal tempo, vi da Âranno, spero, un’idea della Norvegia, dei dintorni di Oslo, paese meno terribile di quanto pensassi. Avrei dovuto andare a nord; ma non è possibile in questa stagione; e poi è tutto rudemente bello lo stesso ! Non ho potuto vedere un po’ di mare, né acqua di qualunque specie: tutto è gelato e ricoperto di neve. Occorrerebbe vivere qui un anno per fare qualcosa di buono e, ancora, prima avere visto e fatto co Ânoscenza con il paese. Oggi, ho dipinto una parte della giornata, sotto la neve che cade senza fermarsi; avreste riso nel vedermi interamente bianco, con la barba coperta di ghiaccio a mo’ di stalattiti. Pourville, 14 gennaio 7897 Allo scrittore Gustave Geffroy […] è una gioia per me rivedere il moto del mare […]. Giverny, 15 aprile 1904 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Spero che la bella mostra di Pissarro abbia successo, per Âché lo merita e io ci penso spesso. Giverny, 4 ottobre 1904 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Eccomi a riposo da qualche giorno, e mi proponevo di pre Âgarvi di venir e a far colazione uno di questi giorni; ho ap Âpena deciso di mettere in esecuzione un progetto che ho da mol Âto tempo: andare a Madrid per vedere i Velázquez. Giverny, 12 febbraio 1905 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Che le mie cattedrali, le mie Londre e altre tele siano fatte dal vero o no, non riguarda nessuno e non ha alcuna im Âportanza. Io conosco tanti pittori che dipingono dal vero e fan Âno solamente cose orribili. Ecco ciò che vostro figlio dovrebbe rispondere a quei signori. Il risultato è tutto. Giverny, 3 giugno 1905 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Quanto ai colori che adopero, è molto interessante? Non credo, dato che si può fare più luminoso e meglio con qualsiasi altra tavolozza. Il punto è di sapersi servire dei colori, la cui scelta tutto sommato non è che un fatto d’abitudine. Insomma io mi servo di bianco d’argento, di giallo cadmio. di rosso acceso, rosso cupo, blu cobalto, verde smeraldo, ed è tutto. Giverny, 6 gennaio 1908 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Ho ricevuto la fotografia del quadro che vi viene offerto, quadro che non è mio, ma la cui firma falsa è imitata perfetta Âmente. Voi dovreste semplicemente, e a mio nome, farlo sapere e distruggerlo. Giverny, 20 marzo 1908 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruei Voi siete assolutamente libero di comperare le mie tele che vi convengono e lasciarmi quelle che non capite (per adesso almeno). Giverny, 22 giugno 1908 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Ho ricevuto i due quadri comperati da uno dei vostri clien Âti di Germania, e ve li rispedisco oggi stesso. Sono due spaven-tevoli croste, e vi assicuro che se non fosse per la preghiera che mi avete rivolto di non cancellare la firma e di renderveli tali e quali, io li avrei stracciati, come era nel mio diritto; e intendo che dopo il processo che deve intentare il vostro cliente e la punizione del falsario, i due quadri siano distrutti alla presenza di testimoni o che mi siano rimandati. 11  agosto  1908 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Sapete che sono assorbito dal lavoro. Questi paesaggi d’acqua e di riflessi sono divenuti un’ossessione. È al di là delle mie forze di persona anziana, e voglio tuttavia arrivare a ren Âdere ciò che sento vivamente. Ne sono distrutto […], ricomincio […] e spero che da tanto sforzo esca qualcosa. Venezia, 7 dicembre 1908 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Preso dal lavoro, non ho potuto scrivervi, lasciando a mia moglie la cura di darvi notizie. Essa ha dovuto dirvi del mio entusiasmo per Venezia. Ebbene, questo non ha fatto che crescere, allo stesso tempo di tutta questa luce inimitabile. Io me ne rattristo. È così bello! Ma occorre farsi una ragione […]. Mi consolo al pensiero di ritornarvi l’anno prossimo, perché non ho potuto fare che qualche assaggio, qualche avvio di lavoro. Ma che disgrazia non essere venuto qui quando ero più giovane! Quando avevo tutte le energie! Passo ugualmente mo Âmenti deliziosi, dimenticando quasi di essere il vecchio che sono. Giverny, 10 ottobre 1911 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel […] Non ho bisogno di dirvi quanto sia triste la mia vita or Âinai e che duri momenti ho passato da quando vi ho visto. Comincio solamente adesso a riprendermi un po’ e penso di rimettermi al lavoro. Ecco l’inverno, e restare inattivo con queste giornate tristi mi sarebbe troppo penoso. Prima proverò a terminare qualche tela di Venezia […]. Giverny,  10 maggio  1912 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Sono molto commosso della vostra lettera amichevole e sa Ârei molto felice di vedervi, sebbene dubito che voi mi persua Âdiate a ritornare su una decisione che non ho preso alla leggera, e se da così lungo tempo mi avete trovato scontento di ciò che faccio, questo era il mio pensiero. E più che mai oggi, constato quanto il successo immeritato che ho ottenuto, sia fittizio. Spero sempre di arrivare al meglio, ma l’età e il dolore hanno esau Ârito le mie forze. So molto bene in anticipo che troverete le mie tele perfette. So che, esponendole, avranno grande successo, ma mi è indifferente, poiché io le considero brutte e ne sono certo. 7 giugno 1912 Allo scrittore Gustave Geffroy […] Grazie di tutto cuore dei vostri due begli articoli di cui – no fiero. No, non sono un grande pittore, grande poeta, io non so… So soltanto che faccio ciò che penso per esprimere ciò che provo davanti alla natura, e che più spesso, per arrivare a rendere ciò che sento vivamente, dimentico del tutto le regole più elementari della pittura, se ne esistono qualche volta. Bravo, lascio bene apparire degli errori, per fissare le mie sensazio Âni Ma non sarà sempre così, ed è ciò che mi dispera. Giverny, 29 giugno 1914 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Desidero sempre scrivervi per avere vostre notizie, ma, co Âme sapete, mi sono rimesso al lavoro. Quando mi ci metto, lo faccio seriamente, tanto che, alzato fin dalle 4 del mattino, sgobbo tutta la giornata, e venuta la sera sono talmente sfinito dalla stanchezza che ho dimenticato tutti i miei doveri, non badando che al lavoro che ho intrapreso. […] Io sto bene, per quanto possibile; la mia vista va finalmente bene. Grazie al lavoro, grande consolazione, tutto va bene. Giverny, 15 giugno 1918 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Qui va bene, le notizie sugli assenti [al fronte] sono buone; ma, ohimè, che vita angosciosa viviamo tutti. Io continuo, e confesso di averne un po’ di vergogna, a lavorare, benché a vol Âte abbia desiderio di piantare tutto, e qualche volta arrivo a domandarmi che cosa farei se sopraggiungesse una nuova sor Âpresa da parte del nemico. Credo che allora dovrei come tanti altri abbandonare tutto. Bisogna sperare tuttavia che siano state prese tutte le precauzioni per contenere il nemico e bisogna ar Âmarsi di pazienza e di coraggio; mi sarebbe duro abbandonare tutto a questi sporchi crucchi. Giverny, 22 novembre 1921 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel In riscontro alla vostra gentile lettera, vorrei potervi rispon Âdere secondo il vostro desiderio, ma mi è impossibile per varie ragioni. La prima è che, ora, essendo la donazione allo Stato della mia decorazione3 un fatto compiuto, che il locale sarà pronto a primavera, non ho che giusto il tempo necessario per il completamento del lavoro. Insomma, non sono pronto per una mostra. Ho da rivedere dal vero la più parte di queste tele. Giverny, 7 luglio 1922 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Rispondo subito alla vostra domanda. Lavoro moltissimo e vorrei dipingere tutto prima di non vedere del tutto, ma sono molto sfortunato col tempo, e questo mi impedisce di ricevere amici che sarei felice di vedere, ma che mi capiterebbero proprio quando il tempo mi sarebbe favorevole. Giverny, 20 novembre 1923 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Lavoro sodo alle mie decorazioni [Ninfee] per essere pronto al tempo stabilito. Giverny, 17 giugno 1925 Al mercante d’arte Paul Durand-Ruel Tutte le mie scuse per avervi impedito di venire domenica scorsa. Ero nella tristezza e nello scoraggiamento. 1 In questa e nella lettera seguente Monet allude alla VII mostra degli impressionisti (marzo 1882, Rue Saint-Honoré 251; in catalogo, 35 opere). 2 Monet ha in corso una personale da Durand-Ruel (1-25 marzo, boule Âvard de la Madeleine, 9; 56 opere). 3 Sono le dodici tele con Ninfee, lunghe circa quattro metri ciascuna, che nell’ottobre del 1920 Monet progettava di donare allo Stato perché venissero collocate in un padiglione da costruirsi nel giardino dell’Ho Âtel Biron (Musée Rodin). Nell’aprile del 1921, in un incontro con Paul Léon e Georges Salles, si stabiliscono le modalità della donazione e si decide di sistemare le tele all’Orangerie delle Tuileries. Nell’inverno, Monet lavora con un architetto alle modifiche dell’Orangerie.
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