Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

PITTURA: I MAESTRI: Pierre Bonnard

9 Settembre 2013

di Renato Barilli
[da “La Fiera Letteraria”, numero 9, giovedì 2 marzo 1967]

Il primo problema che si po ­ne inevitabilmente a chi vi ­sita la grande mostra di Pierre Bonnard, allestita al- l’Orangerie di Parigi, è di chie ­dersi qual senso abbia quella vi ­sita stessa: se si tratti di un ortaggio « storico » a un artista ormai appartenente al passato, o se invece ne possa nascere una partecipazione più stretta e diretta, sul filo di interessi at ­tuali. L’interrogativo è reso tan ­to più stringente per il fatto no ­torio che, subito al di là di Place de la Concorde, al Petit e al Grand Palais, si allungavano fi ­no a pochi giorni fa le file’de ­gli innumerevoli visitatori at ­tratti dalla mastodontica rasse ­gna dedicata a Picasso. E po ­teva sembrare allora di assistere a un esemplare contrasto tra passato e presente, tra chi, co ­me Bonnard, testimonia di un mondo perfetto e meraviglioso, ma ormai concluso e lontano, ap ­punto quello della fìn-de-siècle e dell’abbandono gioioso alle sen ­sazioni, dell’accordo con la natu ­ra, della fruizione pacifica di dol ­cezze familiari e intimistiche, e chi invece, come Picasso rap ­presenta il dinamismo novecen ­tesco, l’irrequietezza dell’homo faber proteso a costruirsi un lu ­cido mondo artificiale fondato più sull’intelletto che sui sensi. Contemplazione passiva da una parte e, dall’altra, azione tesa e nervosa, progettazione energica e instancabile. E questo malgra ­do il fatto che le differenze cro ­nologiche non sembrerebbero di per se stesse autorizzare tanta distanza di risultati, consideran ­do che Bonnard ha una data di nascita di appena quattordici an ­ni anteriore à quella di Picasso, e che ci ha lasciato da non più di due decenni. Dunque, si direb ­be, due atteggiamenti opposti, uno retrospettivo, quello dell’arti ­sta francese, col baricentro si ­tuato tutto nel suo periodo ini ­ziale, nel cuore degli anni ’90, e poi incapace di spostarsi di lì, di rinnovarsi; tutto prospettico e anticipatorio invece, quello del grande spagnolo. Qualcosa di si ­mile al corso di due fiumi che, pur avendo le sorgenti molto prossime tra loro, si gettano poi su versanti opposti.

Controluce di Corot e paesaggi di Monet ancora stesi a masse

Ora certamente non mancano elementi volti a ribadire questa immagine di un Bonnard ormai consegnato alla storia, lontano dalla nostra sensibilità attuale. A cominciare da quello che ne è il connotato più rilevante e co ­stante: la meravigliosa, fulgida felicità cromatica, la fitta, sotti ­lissima vibrazione atmosferica, frutto estremo dell’incredibile acutezza sensoriale che fu pro ­pria della grande stagione im ­pressionista. E proprio questa mostra assai ben documentata ci rivela come Bonnard non do ­vette indugiare a lungo, prima di ritrovarsi investito di questa mirabile luminosità: già i primi dipinti che appena ventenne ese ­guiva nel nativo Delfinato, pri ­ma ancora di stabilirsi a Parigi, e dunque in una condizione di cultura affatto provinciale, ba ­gnano splendidamente nella luce solare e attestano con evidenza l’influsso della migliore tradizio ­ne del plein-air, dai controluce di Corot ai primi paesaggi di Monet, ancora stesi a masse compatte, benché già al loro in ­terno intensamente radiose e scintillanti. E’ poi largamente noto che, stabilitosi nella capi ­tale francese, Bonnard fu tra i fondatori del sodalizio Nabi e si legò di stretta amicizia con tutti i membri di quel gruppo: col « gemello » Vuillard prima di tutto, ma anche con Denis, Sérusier, Ranson, Roussel.

E proprio dal periodo Nabi potrebbe venire un’ulteriore con ­ferma all’immagine di un Bon ­nard tutto ricadente su un ver ­sante ottocentesco. Fu quello l’unico momento in cui egli par ­tecipò a uno sperimentalismo di gruppo, a un’avanguardia nel senso più scoperto del termine. Da Sérusier. e Denis, accolse il precetto del ricorso all’à plat, al ­la pittura piatta, di superficie, e dell’adozione di sagome arabe ­scate, racchiuse entro un ele ­gante fluire di linee. Di quella fase « sperimentale », la mostra allinea forse la tela più proban ­te e manifesta, il ritratto della sorella Andrée circondata dai suoi cani, figura preziosa e aral ­dica come in un arazzo medie ­vale. E sempre il tema dei cani, e quello affine dei gatti, gli sug ­gerì anche altri gustosi arabe ­schi di linee arcuate, di sinuosi ­tà elastiche. Eppure, anche in questo momento” di deliberato e volontario ‘ linearismo, si avverte una resistenza della « pasta » pit ­torica, non proprio distesa a campiture liscie, come avrebbe voluto Denis, anzi, spesso gru ­mosa e tormentata, non del tut ­to affrancata cioè dalla consue ­ta tecnica impressionistica. Per ­fino nelle famosissime affiches per la Ditta France-Champagne e per la « Revue Blanche », che pure sono tra i risultati più net ­ti e sicuri dello spirito « giap ­ponese » promosso con tanta in ­sistenza dai Nabis, anche in quel ­le occasioni il giovane artista non rinuncia a portarsi dietro un tremolio atmosferico, un sen ­so come di spuma effervescen ­te che finisce per corrodere il rigore dei contorni.

Del resto, il periodo « speri ­mentale » di Bonnard non dura a lungo, non varca il ’94. Av ­viene che quei grumi di pasta, quei coaguli di colore da cui la fase lineare e « giapponese » non era mai riuscita a liberarsi, riprendano ben prèsto il soprav ­vento. E’ la riscossa di un pit ­toricismo invano represso. E nello     stesso tempo, l’abbandono dei temi aulici e preziosi, il ritorno a una sapida descrizione di am ­bienti, di scenette familiari, di aneddoti domestici: bambini grassocci intenti alla merenda, animali appena intravisti prima di svoltare all’angolo, passanti inquadrati per un momento sul ­lo sfondo di una via. Tutta una produzione che a prima vista poteva impensierire assai, allora come oggi, circa gli esiti futuri del giovane artista, e indurre appunto al timore di un suo pre ­cipitoso indietreggiamento sul versante retrospettivo: giacché, dal lato compositivo, quelle sce ­ne erano redatte in modo mol ­to frammentario, e su esigue di ­mensioni; e dal lato pittorico, la tavolozza appariva sporca, bi ­tuminosa,’ impostata in preva ­lenza sui bruni e le terre. Pote ­va parere insomma che Bon ­nard, non avendo retto al passo avanguardistico dei compagni Nabis, si fosse attestato per in ­tero nell’ambito di un post-im ­pressionismo sfatto, e in un de ­stino da epigono dei grandi « pittori della vita moderna » che l’avevano preceduto, da Manet a Renoir a Degas.

A dire il vero, anche nel sol ­co di questa interpretazione ri ­dotta e modesta, un pronto ri ­scatto non era lontano. Infatti, appena varcato il capo del nuo ­vo secolo, Bonnard matura un imperioso balzo in avanti. Sem ­pre a volersi limitare per il mo ­mento a certi aspetti esteriori, è innegabile che quella stessa tematica domestica e intimistica gli si allargò, dopo il 1900, in composizioni vaste, di grande respiro, ove era abbandonata de ­cisamente la misura dell’im ­pressione » rapida e corsiva. E poi, soprattutto, la tavolozza si schiarisce, si illumina, si accen ­de, raggiungendo di colpo quello splendore, quella felicità che tut ­ti riconoscono al maestro fran ­cese. Forse contribuiscono a que ­sto risoluto scatto in avanti ta ­lune circostanze biografiche, lo allontanamento da Parigi e dal ­la vita traumatica dell’avanguar ­dia, dal clima di gruppo, dalle sue inevitabili diatribe e tensio ­ni; e poi il fatto che l’artista ha ora al suo fianco la moglie Marthe, dalla salute fragile e precaria così da richiedere quasi ininterrotte residenze in campa ­gna. Ed ecco quindi i lunghi an ­ni trascorsi alla villa del Vernonnet, nell’Ile de France, e poi a Le Cannet, sulla Costa Azzurra. Nell’un caso e nell’altro, è un bombardamento ottico, una impetuosa inondazione di plein-air, nelle due versioni partico ­larmente cariche e privilegiate offerte rispettivamente dalla lu ­ce tersa e penetrante dell’Ile de France e da quella calda, affo ­cata, mediterranea della Costa Azzurra. E sembra appunto che la civiltà impressionistica tocchi qui uno dei suoi vertici più al ­ti, riuscendo a bloccare quasi per tocco magico lo scorrere del tempo, a fermarlo in un eterno presente. I quasi cinquant’anni che la vita operosa di Bonnard occupa nel nostro secolo non paiono avere storia, risultando quindi simili per questo verso a una sorta di corpo estraneo inse ­rito a forza in un altro domi ­nato da regole e leggi diverse.

Ma dal tono con cui si è con ­dotto fin qui il discorso sarà ap ­parsa manifesta l’intenzione di far scoccare prima o poi l’ora di una palinodia, di un’inversio ­ne di marcia, volta a distoglie ­re l’artista francese da una im ­mota, per quanto felice, colloca ­zione nell’area post-impressioni ­sta, e a sottolineare invece la presenza in lui di componenti e aspetti diversamente orientati. E le radici di tali aspetti più stringenti, le potremo ritrovare nel cuore stesso di quello che sembrava il periodo meno effica ­ce dell’artista, il periodo « scu ­ro » delle rapide scenette familia ­ri dipinte nell’ultimo scorcio del secolo. C’è qualcosa, infatti, che le distingue da una pura e semplice « impressione », dal gu ­sto dell’istantanea, dell’annota ­zione epidermica e superficiale.

Una donna alla finestra, un gatto che gioca, una bambina che corre

Ed è anche la differenza tra la passività spettante comunemente a ogni forma di impressionismo, e l’attività sui generis di cui invece si dimostra capace Bon ­nard. In quelle scenette bitumi ­nose e sporche, il suo occhio non manca mai di cogliere le linee portanti, le linee-forza di un’azio ­ne umana e del suo esatto col ­locarsi in un ambiente, pronta a percorrerlo, a misurarlo. Sarà il moto rapido di una cavalle ­rizza che sembra coinvolgere con sé l’andamento curvilineo delle tribune, o lo slargarsi di una piazza, quasi per prepararsi ad accogliere la presenza di una fi ­gura femminile, annunciata per il momento in un invadente pri ­mo piano. E poi i lunghi per ­corsi ottici attraverso corridoi e vani di porte, prima di giungere a sorprendere qualche minimo spettacolo quotidiano. Ma ben inteso si tratta per il momento di anticipi quasi impercettibili, nascosti sotto l’apparenza di un impressionismo frettoloso e per ­fino sciatto.

Questa presenza attiva della percezione bonnardiana cresce poi su se stessa e giunge a ma ­nifestarsi in pieno già in un dipinto del 1900, l‘Après-midi bourgeois. Dal punto di vista te ­matico, si tratta evidentemente della quintessenza dell’intimismo fin-de-siècle, di un senso di vita confortevole, agiato, smemorato in dolcezze d’ambiente e di pae ­saggio, contro cui ben presto avrà tutte le ragioni di levarsi la furia distruttiva di Picasso e del cubismo. Bonnard, dal canto suo, aderisce .per intero a quel mondo e ai suoi valori, ma for ­se appunto per questo si sente impegnato in un’impresa di ri ­scatto totale, ove le cose e i per ­sonaggi non si allineino docil ­mente come per una foto-ricor ­do, per un’impressione sfuggen ­te e illanguidita, ma costituisca ­no ciascuno un centro d’azione, facciano sentire la presenza dei loro gesti potenziali. Ecco così che, delle figure umane, alcune tendono a ingrossarsi, a dilatar ­si per ospitare, come soffici cu ­scinetti, un maggior numero di sensazioni e di notazioni croma ­tiche; altre invece si assottiglia ­no, si contraggono come pali, divenendo i perni, gli assi attorno ai quali si agita e tumultua la marea indistinta delle vibrazioni atmosferiche. Una donna alla finestra, una bambina che corre, un gatto che gioca, non si prestano solo a far macchia di colore, ma sono presenti cia ­scuno con una immanente quan ­tità d’azione, che stringe legami invisibili con quelle contigue, fi ­no a istituire un sistema di for ­ze in equilibrio dinamico. E na ­turalmente non si tratta mai di uno studio astratto di « pure » possibilità di azione, perché a questo modo si verrebbe ad attribuire a Bonnard un pro ­gramma molto prossimo a quel ­lo che poi realizzeranno cubi ­smo e futurismo, movimenti per tanti versi a lui antitetici. Ciò che caratterizza l’azione dei suoi personaggi e delle sue cose, è il fatto di essere un’azione concreta, materialmente misura ­bile, legata a certi precisi ogget ­ti, al piacere di raggiungere e carezzare la superficie di una tavola, o di por mano su una fruttiera, o di slanciarsi a corsa in un prato. E poi ovviamente non si tratta mai di un’azione compiuta nel vuoto, bensì di un’azione che deve tener conto della densità del plein-air, che quindi, per compiersi, deve vin ­cere l’attrito di un sottile strato di corpuscoli luminosi estesi ovunque.

Questo carattere « attivo » che Bonnard sa conferire ai temi pur consacrati al più pacifico intimi ­smo borghese si riscontra in mol ­to altre vaste tele. Così si dica per una Place Clichy au tramway vert, del 1906, ove è istitui ­to un vorticoso sistema dinami ­co tra certe figure di passanti, e il traffico delle strade, e una bancarella che quasi si rovescia addosso allo spettatore, mentre venditori e compratori si proten ­dono avidamente su di essa; o anche per il Café du Petit Poucet, del ’14, ove la folla degli av ­ventori non costituisce un inerte spettacolo cromatico, ma si scin ­de in un rapporto assai animato di masse, alcune delle quali dilatate, altre contratte e raggrinzi ­te. Uno dei filoni privilegiati per esplicare questa ricerca di azio ­ne concreta e tangibile fu offer ­to a Bonnard dal nudo femmini ­le: un tema che in effetti ebbe per lui origini assai poco acca ­demiche, ma il più delle volte af ­fatto domestiche e familiari, trat ­tandosi del nudo fornito dal ­la moglie stessa che amava ag ­girarsi per la casa senza abiti, e darsi a pratiche igieniche, per esempio a lunghi bagni nella va ­sca. Ora appunto, nella trattazio ­ne bonnardiana, il nudo sparisce come tema da curarsi per se stes ­so, e non è neppure un prete ­sto per gustosi effetti di carni femminili accese e sensuali, ma diviene piuttosto anch’esso un centro d’azione domestica, quasi un modulo concreto, corporeo per aggirarsi nelle meraviglie ot ­tiche di una stanza da bagno, per aderire all’incendio dei pietrini di rivestimento, o per strisciare sulla tenera superficie ceramicata delle mattonelle. Si aggiunga poi un sempre più insistito ricorso agli specchi, morbosamente ricer ­cati dall’artista per raddoppiare le possibilità stesse d’azione dei suoi nudi, per spingerli a muo ­versi e a orientarsi in un com ­plesso e intricato labirinto.

Altra serie nutrita, e ricca di splendidi risultati, quella delle ta ­vole, delle mense imbandite, che poi si allargano poco alla volta a comprendere tutto un ambien ­te, tutta una stanza coi suoi mo ­bili, e a evadere talora anche da essa, attraverso porte e finestre, fino ad abbracciare un intero ap ­partamento, e addirittura una fet ­ta di giardino. Di realizzazioni di tal genere, Bonnard ne ha si può dire in ogni anno della sua fase matura, e via via più ingegno ­se e ardite. Qui, l’azione parte dall’oggetto stesso, dalla tavola che impone con energia se stes ­sa rovesciandosi quasi addosso al ­lo spettatore, obbligandolo a im ­mergersi su di essa con lo sguar ­do. E anche i personaggi che vi si assidono attorno ne avverto ­no l’imperiosa forza, devono qua ­si subordinarsi a essa: l’artista li tratta per lo più in modo som ­mario e sfatto; mentre un’attra ­zione magnetica sprigiona dalle stanze, dalle cuccume, dalle frut ­tiere che poggiano sul piano del ­la mensa. In occasioni del genere, risulta invero del tutto incongrua la nozione tradizionale di « natu ­ra morta », tale da suggerire un senso di inerzia e di staticità che certo non si adatta a quegli oggetti, tanto sicuri di costituirsi ognuno come il centro di un cam ­po gravitazionale, come il polo d’attrazione di una rete di sguar ­di. Certamente, nell’ambito di tutta questa tematica di tavole imbandite recanti stoviglie e sup ­pellettili varie, Bonnard si è vo ­luto concedere, e ha voluto con ­cedere a noi, il piacere intenso inerente allo sfruttamento di un microcosmo, il piacere cioè di ri ­produrre un’immagine del mon ­do più vasto con le sue acciden ­talità naturali (monti, mari, isole, edifici), di riprodurlo su scala ridotta, mettendolo quindi « a portata di mano », in una facile e piana accessibilità, tale da far provare un inebriante senso di potenza demiurgica.

Si aggiunga poi che, come si è già anticipato, molte volte Bon ­nard non si limita al solo micro ­cosmo fornito da un’unica men ­sa imbandita, ma allarga ia vi ­suale fino a sorprendere, al di là della tavola, più lontano nella stessa stanza o in una stanza at ­tigua, qualche altro denso micro ­cosmo occhieggiante su una cre ­denza; oppure il microcosmo di un’aiuola incendiata dal sole. E’ soprattutto a partire dagli anni ’30 che egli affronta un simile tema così complesso e articola ­to (Interno bianco, L’armadio rosso, La terrazza soleggiata, L’atelier delle mimose, ecc.), procurando sempre più di otte ­nere la compenetrazione tra l’am ­biente artificiale della casa e dei suoi utensili e quello naturale del paesaggio esterno: una distinzione, questa, che del resto non era mai stata molto netta, nell’arte bonnardiana, giacché ciascuno dei due aspetti aveva denunciato, in ogni momento, una viva tenden ­za ad assimilarsi all’altro, l’am ­bito domestico e artificiale mo ­strandosi più che disposta a es ­ser interpretato secondo metafo ­re paesaggistiche, in termini di nomenclatura geografica, di mon ­ti, campagne, praterie; e il paesaggio di natura essendo sempre propenso ad accettare schemi orientativi, linee divisorie e di confine, rinunciando quindi a bruciarsi in un indistinto arruf ­fio di erbe e di frasche.

Anni ’30 e ’40: continua dun ­que, sempre ad alto livello qua ­litativo, e anzi tocca un culmi ­ne di complessità e di articola ­zione, la vicenda apparentemen ­te defilata e acronica di Bonnard. Ma è forse tempo, a questo pun ­to, di riattraversare simbolicamente Place de la Concorde e di chiedersi quale spettacolo appa ­risse ai visitatori della mostra picassiana, nelle sale del maestro rispondenti a quelle stesse date. Verso gli anni ’40, Picasso ha ter ­minato il grande ciclo dello scan ­daglio teorico, ideale delle possi ­bilità d’azione concesse al corpo umano: un uomo considerato in assoluto, posto al centro dell’uni ­verso, libero di esibirsi in ogni dimostrazione dì sé, nelle più ar ­rischiate disposizioni e giaciture spaziali. Ormai da qualche tem ­po Picasso si trova ad « applica ­re » le nuove possibilità dinami ­che, ritorna a scene aneddotiche e circostanziate (come a esempio la famosa Pesca notturna ad Antibes). Ma caduto l’alto fervore intellettuale della ricerca «pura », l’applicazione risulta alquanto va ­cua ed evasiva: riesce solo a rac ­contarci storie arcadiche ed elle ­nistiche di pastori, oppure a mimare elegantemente certi capo ­lavori del passato (Las meninas di Velasquez). E’ un’evidente in ­sufficienza e carenza che non può non balzare agli occhi a nuove generazioni di visitatori, mossi da più urgenti bisogni di inci ­dere su una concreta situazione esistenziale e sulle sue insoppri ­mibili circostanze materiali. Ecco allora che la spazialità concreta, tangibile, a misura non già del ­l’uomo in assoluto, ma di uomi ­ni in carne e ossa e alle prese con le modeste’ occorrenze quoti ­diane, che è il problema attorno a cui Bonnard si è continuamen ­te affaticato, può tornare a sug ­gerire qualcosa, riallacciarsi con interessi e preoccupazioni attua ­li. A patto però di scinderla da quell’involucro di felicità croma ­tica, di avida e gioiosa adesione ai singoli dati di fatto, alle sin ­gole e locali risultanze sensoria ­li, che è il bene, il patrimonio fulgido di un’epoca in generale, e di un artista in particolare, ma che d’altronde appare, esso sì, or ­mai ineluttabilmente irrecupera ­bile e lontano nel tempo.


Letto 2062 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart