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PITTURA: LETTERATURA: Gianni Madella: “Brama di dipinto (di spazio) desiderio di pittura (di tempo) – La Vita Felice editore

17 Gennaio 2014

di Anna Bocco

Gianni Madella, Brama di dipinto (di spazio) desiderio di pittura (di tempo), La Vita Felice editore, Milano 2013, pp 130, Euro 13,50

Un libro per comprendere la crisi dei linguaggi artistici contemporanei

Il libro di Gianni Madella   raccoglie una ventina di testi scritti in un arco di tempo che va dal 1972 al 2008. Si tratta di contributi diversi (colloqui –   intervista con il critico Francesco Bartoli, lettere ad amici dell’ambiente culturale   mantovano, interventi rivolti a studenti di un corso di pittura) che offrono molti spunti di riflessione su momenti della storia della pittura particolarmente significativi per comprenderne la crisi nell’età contemporanea e nello stesso tempo chiariscono i contenuti della sua poetica.

Il punto di partenza inevitabile di questo percorso nel mondo occidentale è la visione spaziale di Giotto. La costruzione razionale della profondità, che da lì prende le mosse e che l’autore chiama schermo – specchio, attraversa i secoli ed arriva fino all’Impressionismo, con un   rilevante approfondimento dovuto a Leonardo ( lo schermo – velo).
Monet coglie le difficoltà nate dall’introduzione della fotografia, una tecnica giudicata troppo facile che può mettere in discussione   il primato stesso della pittura. “Spostando il centro delle sue ricerche e dipingendo quello che vede, l’occhio porta la… pittura a cambiare le basi stesse della visione. Da quel momento cessa di applicare a essa un codice esteriore fisso e di pensare ad un lavoro utile alla società. Tutto l’edificio della pittura, che gli artisti rinascimentali facevano riposare sull’idea che esistessero due strutture, una lineare basata sulla rettitudine dello sguardo e una circolare conforme all’esigenza dell’udito, traballa”. A questi due organi di senso, secondo l’autore, si aggiunge con Caravaggio la mano che mette in contatto il pittore con la profondità della materia.

Per comprendere la crisi della pittura l’elemento di rottura più forte viene giustamente identificato nella personalità di Duchamp: nella sua opera la rappresentazione a specchio della pittura del passato e della nuova tecnica della fotografia è definitivamente superata. Allo schema testimone / schermo / immagine si sostituisce la triade testimone / schermo-immagine / testimone in cui si sottolinea la centralità che acquista colui che guarda; in altre parole l’attenzione che per secoli era stata rivolta   all’oggetto si concentra sul soggetto. Tutto dipende   ormai dal bisogno di esprimersi del pittore a cui “ il linguaggio dovrà conformarsi”.
Se ancora per Cézanne la conoscenza dipendeva   dall’esperienza sensibile e il modello della pittura si trovava nella natura, in Duchamp è un dono a priori della mente, è l’idea.

Madella inserisce qui un elemento di riflessione interessante, facendo ricorso ad un termine – sinopia – che acquista nella sua visione dell’arte un significato originale.
Sinopia, come è noto, è il disegno preparatorio che serviva alla stesura dell’affresco e che rimaneva imprigionato nel muro; solo in età moderna con i grandi interventi di distacco e strappo (ad esempio per il Camposanto di Pisa dopo i gravissimi danni provocati dai bombardamenti) è stato possibile esaminarli e confrontarli con l’opera finita.
Madella ne sembra affascinato; in un testo del 1972 scrive che la sinopia “è la femmina” che si trova   al di sotto del “maschio”, cioè della pittura di superficie di cui si è fatta la storia. Quei segni   “nati in assenza di testimoni”   gli appaiono come   straordinari simulacri.

La vera pittura, sembra dirci l’autore, deve tenersi   lontana dalla semplice identificazione con la pellicola superficiale del colore senza per questo ridursi a mere semplificazioni astratte e concettuali.
Molte sono a questo proposito le considerazioni riservate ad alcuni grandi protagonisti del Novecento, come Mondrian o Burri che hanno contribuito a radicalizzare il linguaggio e a distruggere la specificità della pittura.
In un testo del 1993 Madella ricorda le esperienze artistiche del secondo dopoguerra.  L’informale, a cui ha partecipato, ha inciso, graffiato, tagliato la materia, ha strappato e sfigurate le figure ottenendo una sorta di       “rappresentazioni in decomposizione”, che tuttavia non deve essere confusa con l’astrattismo.   Poi l’avvento della Pop Art spezza ulteriormente il mondo dell’arte e introduce il tema della comunicazione legata alla società industriale di massa, al mondo della pubblicità.

La crisi si fa drammatica: “se si esclude ogni materia perché fa natura, ogni figura perché è semantica, ogni segno anche il più astratto perché della natura trascende le forme, alla fine non resta che una tela bianca, proprio come capita a un pittore in un racconto di Camus”.
L’autore, per affilare le sue armi a favore della possibilità di sopravvivenza della pittura, ricorre   a confronti e suggestioni derivate da altri campi della cultura, dal pensiero di grandi autori come Benjamin, Derrida, Foucault .Cita artisti a lui più affini come Licini e Klee, in cui riconosce la persistenza della dimensione del “tempo”, costantemente contrapposta a quella dello “spazio”.
La lotta sembra impari, tuttavia Madella individua una possibile via di uscita.
La pittura in un   processo di cancellazione della figurazione produce strutturalmente dei “resti” e questi sono carichi di memoria, inglobano la dimensione fondamentale del tempo. La manipolazione e la trasformazione di questi elementi consentono di conservare la specificità del linguaggio pittorico, sfuggendo alla schiavitù della velocità o all’azzeramento totale della rappresentazione.

Un grande artista statunitense, nato pochi anni prima di Madella e morto nel 2008, ha lavorato anche in questa direzione. Si tratta di Robert Rauschenberg, un nome che non ricorre negli scritti del nostro autore, ma certamente  da lui conosciuto. Argan ne ha dato una lettura che, pur risentendo del clima militante della critica d’arte degli anni ’70, è ancora ricca di grande suggestione. I materiali con cui si realizzano le opere sono relitti. In una società che conosce solo il presente l’artista non può che manipolare il passato, riutilizzare i rifiuti: salvandoli salva se stesso dalla condizione di rifiuto in cui la società lo ha confinato.


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