Presidente Napolitano, ma davvero devo rischiare cinque anni di galera?18 Dicembre 2013 di Francesco Storace Lesa maestà . Ormai in questo si è tradotto l’art. 278 del codice penale, che punisce fino a cinque anni di galera “le offese al prestigio e all’onore del Capo dello Stato”. Ma i magistrati romani, la Corte Costituzionale, l’inerzia del Parlamento, sono più forti di una stretta di mano che credevo sincera.Infatti, si ricomincia. Tutto ebbe inizio per la polemica sui senatori a vita. Presentai un ddl per abolirne la figura e si monto’ una polemica inventando letteralmente la mia intenzione di mandare stampelle a Rita Levi Montalcini. Non ero stato io, ma alcuni nostri giovani, però sulla rete e sui media – e sul mio blog di allora – gli animi si incendiarono e alla fine me l’attribuirono. Ne segui’ una durissima polemica, perché Napolitano, ricevendo quella grande scienziata con cui avevo pure collaborato attivamente da presidente di Regione e da ministro, defini’ indegno chi criticava la Montalcini, che io non mi ero affatto sognato di offendere, ma semplicemente contestato per il sostegno al governo Prodi. Risposi pesantemente sull’indegnita’ e poi tutto quel che accadde, e che ho raccontato sopra.Tutto questo vale ancora un processo, presidente della Repubblica? Davvero nessun altro – penso a Grillo, a Travaglio, a Di Pietro – dovra’ farmi compagnia in cella, visto che non vengono toccati per lo stesso reato? Francesco Storace ___________> Mattarellum più premio di maggioranza. Renzi fa partire la trattativa con il Cavaliere ROMA – È stato solo un primo contatto. Ma significativo. Renzi non ha tempo da perdere. Anzi, sa che il tempo è il suo nemico. Per questo motivo ha inviato un suo emissario a trattare con un ambasciatore di Berlusconi. É chiaro a tutti, al segretario del Pd per primo, che il Mattarellum sarebbe la sua rovina, ma che qualsiasi cosa è meglio della legge sortita fuori dalla Consulta. Ieri pomeriggio, approfittando della folla natalizia, si sono incontrati i due emissari del sindaco di Firenze e del Cavaliere di Arcore. Alla Caffetteria di piazza di Pietra, con aria apparentemente rilassata, si sono affrontati il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta e uno dei fedelissimi del segretario del Partito democratico, il suo ex vicesindaco Dario Nardella. L’oggetto del contendere? Apparentemente il Mattarellum. Ma quella è roba di scuola, per chi non sa quanto sia complicata e lunga la trattativa. Comunque Nardella ha chiesto a Brunetta se l’idea renziana di rendere maggioritario il Mattarellum, trasformando quel 25 per cento in un premio, gli piacesse o meno. Il capogruppo di FI non ha avuto il coraggio (e forse anche il cuore) di dire di no. È chiaro che a entrambi quella mossa serve per fare paura ad Alfano. Vuoi mandare la pratica della riforma elettorale per le lunghe? Sappi che potremmo farla in un baleno senza di te. Renzi non ha ancora deciso quale strada prendere ma su un punto è certo: se il leader del Nuovo centrodestra (Alfini, come lo chiama lui, paragonando le sue sorti a quelle di Fini) «pensa di avviare una lunga, quanto inutile trattativa, il Partito democratico non ci starà ». Il motto, o, meglio, il ritornello, del segretario del Pd, è sempre lo stesso, quello pronunciato ormai mesi orsono: «Se il Parlamento non riesce a fare la legge elettorale e il governo non riesce a fare le riforme, è legittimo chiedersi perché andare avanti ». Ma proprio perché Renzi non vuole mettere in subbuglio il governo né entrare in guerra con il Quirinale in questa fase, preferisce lasciare queste considerazioni ai fedelissimi e lasciare che il suo ambasciatore parli di scorporo con il messo di Berlusconi e discuta con lui del modo in cui si può eliminare, perché sa che con Alfano non ci riuscirà mai. «Quelli pensavano che non avrei mai trattato con Berlusconi per paura di sentirmi dire le solite offese, ma mi conoscono male, io la riforma la voglio fare sul serio, e la farei anche con il diavolo ». Puntare tutto su una persona La crisi economica sta spingendo la politica italiana in una direzione molto precisa: verso un’oggettiva accelerazione del processo di personalizzazione. Soprattutto per due ragioni: perché fino ad ora tale processo – checché se ne sia detto a proposito del berlusconismo – non era ancora andato molto innanzi, ma soprattutto perché da noi più che altrove (eccezion fatta per la Grecia) la crisi economica sta prendendo il carattere di un’aspra crisi sociale. Cioè di una radicale messa in discussione dello status di milioni di persone: percepita in modo tanto più doloroso quanto più elevato era il livello precedente di garanzie e di benefici. In una situazione del genere è naturale che si diffondano sentimenti individuali e collettivi di incertezza e di timore. Non si è più sicuri di ciò che si è e di ciò che si ha, di ciò che può riservare il futuro. Appaiono in pericolo i progetti di vita e i mezzi necessari a realizzarli (la piccola rendita finanziaria, il mutuo per la casa, l’avere un figlio, la pensione). Domina una sensazione angosciosa d’instabilità . Sono queste le condizioni psicologiche ideali perché cresca la domanda di una guida, di un orientamento autorevole, di qualcuno che indichi la via per uscire dal tunnel. Non inganni il mare di discorsi sulla presunta ondata di antipolitica. È vero l’opposto: nei momenti di crisi come quello che attraversiamo cresce sì, e diviene fortissima, la critica alla politica, ma a quella passata (che le oligarchie intellettuali vicine al potere scambiano appunto per antipolitica tout court ), mentre invece diviene ancora più forte la richiesta di una politica nuova e diversa. Sotto la forma, per l’appunto, di una leadership all’altezza della situazione. Di qualcuno che sappia indicare soluzioni concrete ma soprattutto sia capace di suscitare un’ispirazione nuova, di infondere speranza e coraggio, di alimentare – non spaventiamoci della parola – anche una tensione morale più alta: quella che serve a restituirci l’immagine positiva di noi stessi che la crisi spesso distrugge. La leadership in questione però – ecco il punto – può essere incarnata solo da una persona, da un individuo, non da una maggioranza parlamentare o da un’anonima organizzazione di partito: due dimensioni che in Italia si segnalano da decenni solo per la loro irrisolutezza e la loro sconfortante modestia. La personalità , invece, è sempre stata, e sempre sarà , pur nella sua inevitabile ambiguità , la risorsa ultima e maggiore della politica: proprio perché nei momenti critici, delle decisioni ultimative, è unicamente una persona, sono le sue parole e i suoi gesti, il suo volto, che hanno il potere di dare sicurezza, slancio e speranza. Nei momenti in cui molto o tutto dipende da una scelta allora solo la persona conta. L’opinione pubblica italiana si trova oggi precisamente in questa situazione psicologica: è alla ricerca di qualcuno a cui affidare la guida del Paese, di qualcuno che mostri la volontà di assumersi questo compito, di avere la capacità e il senso del comando, l’autorevolezza necessaria. È una ricerca, un’attesa, così acute, nate da un sentimento di frustrazione e di esasperazione ormai così vasto e profondo, da rendere quasi secondarie le tradizionali differenze tra destra e sinistra, essendo chiaro che a questo punto ne va della salvezza del Paese, cioè di tutti. Dietro l’ascesa di Matteo Renzi, e a spiegare l’atmosfera elettrica che sembra accompagnarlo ovunque, c’è un tale sentimento. Così forte tuttavia – e questo è il massimo pericolo che egli corre – che alla più piccola smentita da parte dei fatti esso rischia tramutarsi in un attimo nella più grande delusione e nel più totale rigetto. Letto 2653 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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