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Presidente Napolitano, ma davvero devo rischiare cinque anni di galera?

18 Dicembre 2013

di Francesco Storace
(da “Il giornale d’Italia”, 18 dicembre 2013)

Lesa maestà. Ormai in questo si è tradotto l’art. 278 del codice penale, che punisce fino a cinque anni di galera “le offese al prestigio e all’onore del Capo dello Stato”.
La Corte Costituzionale ha reso noto ieri che deve riprendere il processo a mio carico per i fatti del dicembre 2007, quando ci fu una mia dura polemica verso Giorgio Napolitano sui senatori a vita. La Consulta era stata chiamata in causa dai giudici romani, che avevano maldigerito che il Senato – di cui non facevo piu’ parte quando il dibattimento e’ cominciato – aveva comunque dichiarato che le mie opinioni erano soggette alla tutela parlamentare, proprio perché senatore all’epoca dei fatti.
All’indomani della decisione di palazzo Madama, ovvero dopo aver “incassato” il verdetto favorevole dei miei ex colleghi, presi carta e penna e scrissi comunque una lettera di scuse al presidente della Repubblica, nella quale riconoscevo di aver ecceduto nella polemica nei suoi confronti. Un gesto che Napolitano apprezzò e che in un incontro svoltosi di lì a poco al Colle, sancì un ritrovato rapporto di rispetto.

Ma i magistrati romani, la Corte Costituzionale, l’inerzia del Parlamento, sono più forti di una stretta di mano che credevo sincera.Infatti, si ricomincia. Tutto ebbe inizio per la polemica sui senatori a vita. Presentai un ddl per abolirne la figura e si monto’ una polemica inventando letteralmente la mia intenzione di mandare stampelle a Rita Levi Montalcini. Non ero stato io, ma alcuni nostri giovani, però sulla rete e sui media – e sul mio blog di allora – gli animi si incendiarono e alla fine me l’attribuirono. Ne segui’ una durissima polemica, perché Napolitano, ricevendo quella grande scienziata con cui avevo pure collaborato attivamente da presidente di Regione e da ministro, defini’ indegno chi criticava la Montalcini, che io non mi ero affatto sognato di offendere, ma semplicemente contestato per il sostegno al governo Prodi. Risposi pesantemente sull’indegnita’ e poi tutto quel che accadde, e che ho raccontato sopra.Tutto questo vale ancora un processo, presidente della Repubblica? Davvero nessun altro – penso a Grillo, a Travaglio, a Di Pietro – dovra’ farmi compagnia in cella, visto che non vengono toccati per lo stesso reato?
Presidente Napolitano, mi faccia avere, per favore, il telefono del ministro Cancellieri, ché non conosco Ligresti. Stavolta sono indignato io. Con questa giustizia con due pesi e due misure.

Francesco Storace

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(Porti pazienza Storace. Fra poco faremo in modo di mandarli tutti a casa, magistrati compresi, rimasti nella maggioranza dei casi senza più buon senso. Abbia tutta la mia solidarietà.( bdm)


Mattarellum più premio di maggioranza. Renzi fa partire la trattativa con il Cavaliere
di Maria Teresa Meli
(dal “Corriere della Sera”, 18 dicembre 2013)

ROMA – È stato solo un primo contatto. Ma significativo. Renzi non ha tempo da perdere. Anzi, sa che il tempo è il suo nemico. Per questo motivo ha inviato un suo emissario a trattare con un ambasciatore di Berlusconi. É chiaro a tutti, al segretario del Pd per primo, che il Mattarellum sarebbe la sua rovina, ma che qualsiasi cosa è meglio della legge sortita fuori dalla Consulta.
Per questa ragione ieri, all’ora di pranzo, tra una foto con Oscar Farinetti e cento tweet ai suoi – tanti – follower ha inviato un ambasciatore a trattare con Berlusconi. Il mandato era chiaro, come chiare sono le parole che il sindaco è abituato a usare. Fin troppo: «Io voglio stanare il Cavaliere, scoprire, anzi, far scoprire, cosa vuole veramente. Non mi voglio trovare ad aprire con lui una trattativa sulla legge elettorale per poi trovarmi in mezzo al guado. Facciamolo uscire allo scoperto ».

Ieri pomeriggio, approfittando della folla natalizia, si sono incontrati i due emissari del sindaco di Firenze e del Cavaliere di Arcore. Alla Caffetteria di piazza di Pietra, con aria apparentemente rilassata, si sono affrontati il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta e uno dei fedelissimi del segretario del Partito democratico, il suo ex vicesindaco Dario Nardella. L’oggetto del contendere? Apparentemente il Mattarellum. Ma quella è roba di scuola, per chi non sa quanto sia complicata e lunga la trattativa. Comunque Nardella ha chiesto a Brunetta se l’idea renziana di rendere maggioritario il Mattarellum, trasformando quel 25 per cento in un premio, gli piacesse o meno. Il capogruppo di FI non ha avuto il coraggio (e forse anche il cuore) di dire di no. È chiaro che a entrambi quella mossa serve per fare paura ad Alfano.

Vuoi mandare la pratica della riforma elettorale per le lunghe? Sappi che potremmo farla in un baleno senza di te. Renzi non ha ancora deciso quale strada prendere ma su un punto è certo: se il leader del Nuovo centrodestra (Alfini, come lo chiama lui, paragonando le sue sorti a quelle di Fini) «pensa di avviare una lunga, quanto inutile trattativa, il Partito democratico non ci starà ». Il motto, o, meglio, il ritornello, del segretario del Pd, è sempre lo stesso, quello pronunciato ormai mesi orsono: «Se il Parlamento non riesce a fare la legge elettorale e il governo non riesce a fare le riforme, è legittimo chiedersi perché andare avanti ».

Ma proprio perché Renzi non vuole mettere in subbuglio il governo né entrare in guerra con il Quirinale in questa fase, preferisce lasciare queste considerazioni ai fedelissimi e lasciare che il suo ambasciatore parli di scorporo con il messo di Berlusconi e discuta con lui del modo in cui si può eliminare, perché sa che con Alfano non ci riuscirà mai. «Quelli pensavano che non avrei mai trattato con Berlusconi per paura di sentirmi dire le solite offese, ma mi conoscono male, io la riforma la voglio fare sul serio, e la farei anche con il diavolo ».
Che il diavolo si chiami Grillo o Berlusconi poco importa. Renzi è uomo pragmatico: «Vediamo come va questo tentativo con il Cavaliere e poi si vede ». Quello che è sicuro è che se il tentativo va bene non ci sarà Alfano che tenga: se il nuovo segretario del Partito democratico avrà una maggioranza a prescindere dal Nuovo centrodestra non ci sarà problema alcuno. Renzi è fedele al suo motto iniziale: la riforma elettorale si fa con chi ci sta. Lui continua a dire che non lo fa perché pensa che le elezioni siano alle porte e perché in prossimità del voto occorre cambiare il sistema. En passant, quando si distende e conversa tranquillamente, dice, come se nulla fosse e come se niente gli interessasse: «Il 25 maggio è l’ultima data utile per le elezioni anticipate ». Se sia una battuta o una constatazione seriosa questo, alle volte, non riescono a capirlo nemmeno i suoi fedelissimi. Fatto sta che, senza sapere né leggere né scrivere, si stanno preparando a entrambe le opzioni: elezioni anticipate o trattativa serrata per decidere se Alfano o Berlusconi sarà il prossimo interlocutore.
Ma l’aria che tira, nel centrosinistra, è che quale che sia la fine non cambi molto. L’importante è che Renzi tenga la barra dritta. Lo farà?


Puntare tutto su una persona
di Ernesto Galli della Loggia
(dal “Corriere della Sera”, 17 dicembre 2013)

La crisi economica sta spingendo la politica italiana in una direzione molto precisa: verso un’oggettiva accelerazione del processo di personalizzazione. Soprattutto per due ragioni: perché fino ad ora tale processo – checché se ne sia detto a proposito del berlusconismo – non era ancora andato molto innanzi, ma soprattutto perché da noi più che altrove (eccezion fatta per la Grecia) la crisi economica sta prendendo il carattere di un’aspra crisi sociale. Cioè di una radicale messa in discussione dello status di milioni di persone: percepita in modo tanto più doloroso quanto più elevato era il livello precedente di garanzie e di benefici.

In una situazione del genere è naturale che si diffondano sentimenti individuali e collettivi di incertezza e di timore. Non si è più sicuri di ciò che si è e di ciò che si ha, di ciò che può riservare il futuro. Appaiono in pericolo i progetti di vita e i mezzi necessari a realizzarli (la piccola rendita finanziaria, il mutuo per la casa, l’avere un figlio, la pensione). Domina una sensazione angosciosa d’instabilità.

Sono queste le condizioni psicologiche ideali perché cresca la domanda di una guida, di un orientamento autorevole, di qualcuno che indichi la via per uscire dal tunnel. Non inganni il mare di discorsi sulla presunta ondata di antipolitica. È vero l’opposto: nei momenti di crisi come quello che attraversiamo cresce sì, e diviene fortissima, la critica alla politica, ma a quella passata (che le oligarchie intellettuali vicine al potere scambiano appunto per antipolitica tout court ), mentre invece diviene ancora più forte la richiesta di una politica nuova e diversa. Sotto la forma, per l’appunto, di una leadership all’altezza della situazione. Di qualcuno che sappia indicare soluzioni concrete ma soprattutto sia capace di suscitare un’ispirazione nuova, di infondere speranza e coraggio, di alimentare – non spaventiamoci della parola – anche una tensione morale più alta: quella che serve a restituirci l’immagine positiva di noi stessi che la crisi spesso distrugge.

La leadership in questione però – ecco il punto – può essere incarnata solo da una persona, da un individuo, non da una maggioranza parlamentare o da un’anonima organizzazione di partito: due dimensioni che in Italia si segnalano da decenni solo per la loro irrisolutezza e la loro sconfortante modestia. La personalità, invece, è sempre stata, e sempre sarà, pur nella sua inevitabile ambiguità, la risorsa ultima e maggiore della politica: proprio perché nei momenti critici, delle decisioni ultimative, è unicamente una persona, sono le sue parole e i suoi gesti, il suo volto, che hanno il potere di dare sicurezza, slancio e speranza. Nei momenti in cui molto o tutto dipende da una scelta allora solo la persona conta.

L’opinione pubblica italiana si trova oggi precisamente in questa situazione psicologica: è alla ricerca di qualcuno a cui affidare la guida del Paese, di qualcuno che mostri la volontà di assumersi questo compito, di avere la capacità e il senso del comando, l’autorevolezza necessaria. È una ricerca, un’attesa, così acute, nate da un sentimento di frustrazione e di esasperazione ormai così vasto e profondo, da rendere quasi secondarie le tradizionali differenze tra destra e sinistra, essendo chiaro che a questo punto ne va della salvezza del Paese, cioè di tutti. Dietro l’ascesa di Matteo Renzi, e a spiegare l’atmosfera elettrica che sembra accompagnarlo ovunque, c’è un tale sentimento. Così forte tuttavia – e questo è il massimo pericolo che egli corre – che alla più piccola smentita da parte dei fatti esso rischia tramutarsi in un attimo nella più grande delusione e nel più totale rigetto.
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(Condivido e dico bravo a della Loggia per quest’analisi da cui non si può più prescindere. bdm)


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Bart