Qualche domanda a Napolitano e a Fini17 Gennaio 2010 L’altro giorno, nella trasmissione “L’ultimaparola”, Maurizio Gasparri, a riguardo delle gravi disfunzioni della magistratura, disse che era incomprensibile che le sedi giudiziarie fossero deserte nel pomeriggio. Fece intendere quella che è una verità . Ma non solo. Parecchi magistrati, infatti, non soltanto non hanno voglia di lavorare, ma nemmeno sanno lavorare, come dimostrano le tante sentenze sbagliate che rinchiudono in carcere persone poi giudicate innocenti. Il termine usato da Gasparri deve essere piaciuto al presidente di Anm, Luca Palamara, il quale lancia il tema della “desertificazione delle procure”, con riferimento alle sedi giudiziarie scoperte per vari motivi, tra cui quelli del disagio e della scomodità . Non solo, ma minaccia uno sciopero per la situazione drammatica in cui si trova la magistratura. Come a dire: la colpa non è dei magistrati ma del governo ladro. Risponde a tono il ministro della giustizia Angelino Alfano: Sì, avete letto bene. Non io, ma il guardasigilli afferma che i magistrati, tenuti a far rispettare la legge, si rivoltano contro ben tre leggi dello Stato. Chi avesse ancora dei dubbi sulla confusione istituzionale in cui è sprofondata l’Italia, ha ora un altro buon motivo per riflettere. Le domande sono: Può un organo della magistratura, composto da persone tenute a rispettare il parlamento e le sue leggi, rivoltarsi contro di essi? Quale è l’esempio che viene fornito ai cittadini? Il Capo dello Stato, che presiede il Csm, può consentire con il suo silenzio che ciò accada? Non si devono temere certe parole, quando esse servono a far luce su ciò che sta succedendo, e dunque io le scrivo: la rivolta di Anm contro tre leggi dello Stato – così come denunciato dal ministro della giustizia – è un atto eversivo. Napolitano deve farsi sentire, così come deve farsi sentire il Csm a difesa della democrazia. Ma a Napolitano, e insieme con lui, a Fini, qualche altra domanda è necessaria. E’ certamente auspicabile, ma se queste non sono possibili? Può un’azione di governo essere frenata perché l’opposizione, tutta o in parte, non gradisce? Ci troveremmo a praticare il nulla, l’immobilismo, ed è ciò che non ci possiamo permettere. Non occorre essere né ciechi né sordi per non capire che sulle riforme istituzionali si sta giocando una partita fondamentale che riguarda la scelta se vogliamo passare o meno dalla prima alla seconda Repubblica. I piccoli sommovimenti di queste settimane (leggi: le piccole emorragie nel Pd; le ambiguità di Fini nel Pdl) testimoniano di un’operazione in corso, non ancora del tutto trasparente e leggibile, ma di sicuro rilievo. Per usare un linguaggio militare: si stanno schierando le truppe e occupando le posizioni strategiche. Quando tutto questo succederà non è facile a dirsi, giacché le imminenti elezioni regionali trattengono per la giacca i più focosi, ma non è detto che quando il cosiddetto processo breve, uscito dal Senato, entrerà alla Camera dei deputati, dove a reggere il dibattito non ci sarà più Schifani, ma Fini, tutto non potrebbe anche precipitare. Ma ammettiamo pure che fino alle regionali tutto scorra, se non proprio liscio, in modo accettabile e che si svolgano regolarmente le elezioni e si abbiano vinti e vincitori. Ci sarà un periodo di riflessione, qualche sbandamento, poi si ritornerà al tema delle riforme, poiché esso non è più eludibile, qualunque coalizione sia stata premiata dagli elettori. Accantonare le riforme e lasciare le cose come stanno non sarebbe solo da irresponsabili, ma da criminali. L’Italia è nel disordine istituzionale. L’esempio portato più sopra della spregiudicatezza violenta che caratterizza oggi la magistratura è solo uno dei tanti. Un altro, è quello del presidente della Camera Fini che non vuole essere più una carica super partes, come esige la Costituzione, ma si arroga il diritto di intervenire pesantemente nella vita di un partito. Ci fermiamo qui. Dunque, si dovrà necessariamente tornare a parlare di riforme. Dai movimenti che già ora stanno avvenendo, possiamo prevedere, con scarso o punto margine di errore, che l’opposizione è schierata per il mantenimento, con qualche correttivo secondario, della prima Repubblica; la maggioranza al governo invece è schierata per la seconda Repubblica. Fini resta l’incognita. Lo è oggi, ma quel giorno dovrà calare la maschera, e tutti sapremo. Napolitano forse già lo sa. Comunque assisterà vigile al dibattito. Si parlerà necessariamente di molte cose, ma ce n’è una che segna la linea netta di demarcazione tra prima e seconda Repubblica: l’elezione diretta della maggioranza e del premier. Parlare astrattamente che le riforme devono essere auspicabilmente approvate con una maggioranza più ampia di quella al governo, è una bella dimostrazione di ottimismo, ma quando l’ottimismo lo si cala nella disputa tra le due parti, esso non ha alcuna possibilità di una traduzione concreta. Questa maggioranza auspicata e ideale, almeno sul tema della elezione diretta della maggioranza e del premier, non esiste. Una eventuale insistenza di Napolitano (e di Fini, se non sbaglio a prevedere il suo tradimento), significherebbe indicare alla maggioranza di governo che, siccome una maggioranza più ampia non è possibile, dovrà rinunciare a riformare lo Stato. Troppo facile. E soprattutto troppo grave, se non addirittura irresponsabile. I cittadini hanno il diritto di eleggersi direttamente maggioranza e premier che li governeranno, hanno il diritto di ribellarsi ai camuffamenti e ai giochi di potere. Vogliono riappropriarsi della loro sovranità . Nessuna delega è più consentita quando si tratta di scegliere maggioranza e governo. Questa scelta spetta soltanto e unicamente al corpo elettorale. Solo così rinnoveremo lo Stato e alzeremo un muro divisorio con la prima Repubblica. Non correremo più il rischio di ritrovarci un Oscar Luigi Scalfaro che, biascicando di Costituzione, si permise di dare nel 1994, ma anche in altre circostanze, una bella fregatura ai cittadini. Se su questo punto l’opposizione farà ostracismo, la maggioranza vada avanti, approvi la legge da sola e indica il referendum come prescrive la Costituzione. Il referendum non è la peste. I cittadini sanno distinguere le cose importanti da quelle opziose. Decidano loro. Articoli correlati“E’ nato il finismo, dicono, sistema coerente per un pensiero à la carte” di Alessandro Giuli. Qui. Letto 1877 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Ambra Biagioni — 17 Gennaio 2010 @ 14:07
A queste tue parole c’è poco da aggiungere, se non l’auscpicio che siano ascoltate da chi di dovere. Intanto le ho messe su Facebook, così come sono capace, ed ho chiesto che venga monitorato questo sito. Perdonami e perdonatemi se non so fare di più per la nostra Italia.
Commento by Ambra Biagioni — 17 Gennaio 2010 @ 14:14
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Commento by Bartolomeo Di Monaco — 17 Gennaio 2010 @ 19:31
Grazie Ambra per quello che fai.
Commento by Ambra Biagioni — 17 Gennaio 2010 @ 20:09
Quanti Grazie dovrei dire io a te ?
Grazie a chi ci dà la forza di lottare.
Commento by Ambra Biagioni — 17 Gennaio 2010 @ 23:49
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