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Quattro articoli

10 Dicembre 2011
Monti non conta niente
di Vittorio Feltri
(dal “Giornale”, 10 dicembre 2011)
 
Mario Monti a Porta a Porta davanti a un Bruno Vespa incredulo, ha affermato che quando lui è arrivato a Palazzo Chi ­gi l’Italia era a tre mesi da un crollo alla greca. Una boutade sobria? Non sappiamo. Ma se il premier ha ragione, una cosa è certa: il default è anco ­ra dietro l’angolo. Con un’aggravante: che alla cata ­strofe non mancano più tre mesi, bensì solo due. Di ­fatti la manovra dei tecnici non ha modificato di una virgola la situazione che, quindi, rimane drammati ­ca esattamente come 90 giorni orsono. Una mano ­vra pesante per i contribuenti, ma leggerissima e inin ­fluente ai fini del debito pubblico, la cui entità è inal ­terata.

I miliardi recuperati nelle nostre tasche dal professore bocconiano e dai suoi colleghi serviranno a ma ­lapena a compensare le maggiori uscite dovute al rialzo dello spread, cioè degli interessi passivi sui pre ­stiti. D’altronde, è noto a chiunque che, per diminui ­re il debito, e i suoi oneri, o si riduce la spesa o si fa un buco nell’acqua. Il trionfalismo suscitato dalle misu ­re che l’esecutivo ha adottato (alle quali la stampa ha dedicato commenti encomiastici) è ingiustificato non soltanto perché esse non risolvono il problema, ma lo complicano. Motivo? Inasprire il prelievo fisca ­le non agevola la sospirata (e illusoria) crescita; al contrario, incentiva la depressione e favorisce la re ­cessione. Proprio un bel risultato.

In ogni caso è inutile prendersela con il «signore in loden », cui va riconosciuto il merito di rischiare la faccia (e la perderà), visto e considerato che lui, per quanto si dia da fare, non conta e non conterà nulla nella determinazione dei destini della Patria, che di ­pendono esclusivamente dall’Europa e dall’euro. Lo si evince da quello che sta accadendo in questi giorni nelle trattative in sede Ue, finora inconclu ­denti sul piano sostanziale. Non c’è verso che le maggiori potenze trovino un accor ­do serio. L’Inghilterra si è defilata, infi ­schiandosene della moneta unica che ha sempre respinto.La Germaniainsiste nel rifiutare gli eurobond.La Franciatrac ­cheggia. L’Italia è in balìa di tutti, perché giudicata responsabile dell’acuirsi della crisi.

Praticamente, l’unica decisione assun ­ta dai padreterni che rappresentano le na ­zioni cardine dell’Unione europea è stata quella di rinviare a marzo il momento del ­la verità, quando essi si riuniranno di nuo ­vo allo scopo di misurare la febbre dell’ euro, oggi molto alta. Il dato, dunque, è che noi siamo un vaso di vetro fra tanti vasi di coccio, ciascuno dei quali cerca di salvare se stesso e non ha alcun interesse autenti ­co per il destino degli altri.

Ha voglia Monti di alzare le aliquote dell’Iva e di riesumare l’Ici, brodini privi di effetti benefici. Occorre ben altro per assicurare un riparo alle economie occidentali legate luna all’ altra da una mone ­ta unica, che poi è una gabbia nella quale convivono sistemi politici diversi, diver ­se capacità produttive e di crescita, diver ­se lingue e culture. Si percepisce a occhio nudo che l’euro è in agonia, tenuto su a forza di flebo che ne prolungano l’esisten ­za senza alcuna possibilità di guarirlo. Va da sé che prima o poi la divisa imploderà. Sarà una liberazione o una catastrofe? Forse entrambe le cose. Certo è che avan ­ti così non si può andare. Se i capi di Stato e di governo confluiti nella Ue avessero coraggio, o almeno non temessero di es ­sere sconfitti alle elezioni in casa pro ­pria, dovrebbero rassegnarsi all’eutana ­sia della valuta fasulla e del contenitore burocratico, politicamente insignifican ­te, chiamato Unione europea. Basta con questa finzione.

Infine, Monti si persuada di non essere in grado di compiere un prodigio: ciò che accade in Italia è il riflesso di ciò che avvie ­ne, o non avviene, a livello internazionale. Quello che lui fa è vano perché non è in condizione di ammazzare il debito pubbli ­co. Oddio, dalle sue iniziative qualcuno che sta per guadagnare c’è: le banche. Che, d’ora in avanti, con la storia della trac ­ciabilità moltiplicheranno gli affari. Già. Se i pensionati che percepiscono un asse ­gno superiore a 500 euro non potranno ri ­scuotere denaro contante, ovvio, saranno obbligati ad accendere un conto corrente, e il loro reddito netto sarà ancor più modesto, mentre quello lordo degli istituti di credito ancor più ricco.

Tutto questo accanimento contro i po ­veracci e gli anziani, fra l’altro, non darà al ­cun frutto, ma creerà malcontento per non dire di peggio. Anche perché, e non ci stanchiamo di ripeterlo, i giochi non si svolgono qui nel Belpaese ma a Bruxelles, dove noi (dove Monti) siamo importanti come il due di picche quando la briscola è a bastoni.

Presidente, per favore, non pigliamoci in giro.


Un paio di domande a Monti e Finocchiaro
di Piero Ostellino
(Dal “Corriere della Sera”, 10 dicembre 2011)

E’ inquietante che la crisi abbia provocato accessi di follia (totalitaria) da parte di insospettabili persona ­lità professionali e politiche. A Ballarò, la signora Finocchiaro capogruppo del Pd, ha detto che la so- vratassa sui capitali rientrati in Italia previo il paga ­mento di ima penale dovrebbe essere â— invece di quella pre ­vista dal governo Monti (1,5 *), che è già, in sé, un vulnus allo Stato di diritto â— del 4. Voglio sperare che il professor Mon ­ti, quando ha deciso la sovratassa, fosse stressato e la signora Finocchiaro, invocandone!a recrudescenza, in malafede; qua ­lora l’uno fosse nel pieno delle sue facoltà e l’altra credesse a ciò che dice, ci sarebbe da rabbrividire all’idea di Stato che mostrano di avere. Poiché, alle parole dell’esponete del Pd, lo studio ha applaudito, se questo è il livello di civiltà del diritto del Paese, il prezzo per affrontare la crisi mi pare francamen ­te troppo alto.
Se il governo, invece, crede legittimo ciò che ha fatto e la signo ­ra Finocchiaro ciò che dice â— che lo Stato fa bene a rimangiarsi il patto stipulato con gli italiani che hanno fatto rientrare i capitali esportati e pagato la penale â— non possono fingere di ignorare che ogni provvedimento approvato dal Parlamento, là dove crea un nuovo ordine, non impegna solo il governo che lo ha proposto, ma lo Stato, e non può essere cancellato dal governo successivo pena lo snaturamento dello Stato di diritto e la fine della costanza nel tempo della certezza del diritto sul- la quale lo Stato moderno si fonda. Ogni legge che cancelli, 0 modifi ­chi, una legge esistente prevede, non a caso, una clausola di salva- guardia per chi ha già maturato il godimento dell’ordine messo in di ­scussione e riguarda solo chi pre ­tendesse di godere ancora, da quel momento, della legge cancellata. La certezza del diritto si fonda sul principio pacta sunt serranda.
Non accuso la signora Finocchiaro dell’intenzione, se andrà al governo, di volerci far vivere in un regime stalinista; non voglio far torto alla grandezza storica, ancorché tragica, dello stalini ­smo, né voglio sostenere che stalinista sia ancora la cultura politi ­ca del Partito democratico a tanti anni dalla crisi del comunismo e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Do per scontati il defi ­nitivo abbandono di ogni nostalgia veterocomunìsta, così come la buona fede del capo del governo. Tutt’al più, mi chiedo se l’uno, prima, e la seconda, poi, non abbiano rivelato una certa propensione per gli antichi regimi, nei quali il sovrano era legibus solutus e disponeva dei diritti dei sudditi come meglio crede ­va. Chiedo, perciò, a entrambi, almeno, di rispondere a un paio di domande. Prima: caro professor Monti, gentile signora Finocchiaro, qual è la vostra «idea di Stato »? Seconda: caro professore, gen ­tile signora, non credete che avreste dovuto evitare, con gli atti e con le parole, di mostrare così poco rispetto per la democrazia «formale », ancorché in presenza di una crisi, tenuto anche conto che, nel ’22, i politici di allora commisero il vostro stesso errore?


L’Europa si mangia la manovra
di Claudio Borghi
(dal “Giornale”, 10 dicembre 2011)

I conti non tornano. O il governo sta facendo «giustizia socia ­le » o sta lavorando per la soprav ­vivenza del Paese. In tutti e due i casi ci sono note assai stonate. Sarebbe quindi meglio rendersi conto in fretta della realtà per ­ché i mercati nelle due giornate passate hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che le decisioni prese in Europa, pos ­sono mangiarsi tutta la mano ­vra in un boccone, indipenden ­temente dalle nostre scelte. Scar ­tiamo subito la prima ipotesi per ­ché l’«equità » non la deve deci ­dere un governo tecnico. Con ­centriamoci quindi sulla secon ­da fattispecie, che dovrebbe poi essere la «mission » di questo go ­verno.

Ci stanno dicendo che le misu ­re, le «medicine amare » sono du ­re, sofferte, ma indispensabili per evitare il disastro e la cata ­strofe. Sarà, però se si chiedesse ad esempio ad un commesso di scuola di raccontare qualcosa del suo lavoro si può stare certi che vi dirà che fa tutto lui e che, senza il suo indispensabile im ­pegno, di tutto l’edificio scolasti ­co non rimarrebbe pietra su pie ­tra. Visto quindi che la leggenda dell’indispensabile la racconta ­no tutti e che i cimiteri pullulano di persone insostituibili, forse è il caso di considerare un paio di fatti decisivi.

Primo: ieri Bankitalia ha sti ­mato che l’impatto della mano ­vra farà calare il prodotto inter ­no lordo dello 0,5%. Probabil ­mente a palazzo Koch sono stati piuttosto ottimisti, ma facciamo finta di crederci. Visto però che sempre la Bancad’Italia ha cal ­colato che la pressione fiscale è ormai al livello record del 45% i calcoli si fanno in fretta: Se spari ­sce lo 0,5% del Pii spariscono 8 miliardi di euro e quindi spari ­scono anche le tasse ad esso rela ­tive pari a poco meno di 4 miliar ­di. Quindi già così si capisce co ­me parte dei soldi che entrano dalla porta in realtà escano subi ­to dalla finestra, lasciando fra l’altro come ricordo gli sgraditi doni della recessione. Secondo: capitali ingentissimi stanno fug ­gendo a gambe levate verso stati più accoglienti nei confronti del ­le ricchezze. Non solo le misure fiscali mirate al patrimonio non serviranno mai a placare l’invi ­dia sociale, che pretenderà sem ­pre di più, ma lanciano un chia ­ro segnale di pericolo per chiun ­que abbia beni di qualsiasi tipo in Italia. Una cosa è la sacrosan ­ta caccia all’evasore (a proposi ­to, quanti di quelli che ringhia ­no contro chi ha rimpatriato ca ­pitali con lo scudo, magari sa ­nando solo irregolarità formali, sono contribuenti modello? Quanti «poveretti con le pensio ­ni basse » nascondono invece soggetti che hanno sempre ricca ­mente evaso fisco e relativi con ­tributi?) un’altra è accendere un mirino sulla proprietà anche di chi l’ha acquistata lavorando onestamente, risparmiando do ­po aver pagato le tasse fino all’ul ­timo centesimo e che quindi avrebbe ogni diritto di essere la ­sciato in pace. La furia fiscale im ­posta dall’Europa alla Grecia ha infatti innescato una fuga di ca ­pitali di proporzioni bibliche (200 miliardi di euro secondo il periodico tedesco Bild) lascian ­do un paese in ginocchio, in de ­fault, con disoccupazione in sali ­ta verticale e recessione quasi a doppia cifra. C’è un altro dato pe ­rò a cui non si pensa:la Bce ha detto chiaro che non intende as ­sumere il ruolo di prestatore di ultima istanza garantendo il de ­bito, néla Germania lo consenti ­rebbe. Rimangono quindi i co ­siddetti «fondi salvastati ».

Ebbene, da dove vengono i de ­nari per costruire questi fanto ­matici fondi la cui efficacia è tutta da dimostrare? Ma ovviamente ancora dalle nostre tasche. Ne sarà infatti prevista la contribu ­zione a carico degli Europei stes ­si e noi rappresentiamo il terzo pagatore per dimensioni. Fra l’altro stiamo già pagando, dato che i finanziamenti ai Paesi in maggiore difficoltà (Grecia, Ir ­landa, Portogallo) sono pagati proporzionalmente anche dal ­l’Italia, che quindi sborsa il 6% di interesse sui propri titoli di Stato per raccogliere soldi da prestare alla Grecia al 3% e che non si sa se verranno mai restitu ­iti. Aggiungiamo i 15 miliardi che sempre l’Europa chiede co ­me nuovo capitale alle nostre banche sebbene siano state più prudenti di altre e poi il quadret ­to dell’Europa Saturno che man ­gia i suoi figli è completo. Comin ­ciamo almeno con l’esserne con ­sapevoli.


Il vero premier sta sul Colle
di Maria Giovanna Maglie
(da “Libero”, 10 dicembre 2011)

Lord protettore, consulente gratuito, il presidente della Repubblica, o me ­glio king George, come non noi ma gli americani lo hanno soprannominato, in trasferta in patria, a Napoli, non so ­lo       non ha nemmeno un dubbio che sia uno sulla soluzione trovata a Bru ­xelles, non solo non gli pare che una moneta europea senza garanzie né protezione sia una ben fragile solu ­zione, ma alla recessione che sta per colpirci come un pugno porge il petto spavaldo e annuncia che «bisogna guardare avanti. La manovra è solo il primo passo di questo governo », che «dagli incontri di Bruxelles è scaturito un messaggio molto netto: volontà e fiducia nella difesa dell’euro, ma anche un grosso passo avanti verso la cosidetta unione di bilancio », ma pure, e scusate se non è po ­co, che «ci saranno tra non mol ­ti giorni, per quello che io so, iniziative che metteranno a fuoco gli intendimenti del go ­verno e delle regioni del Mezzo ­giorno sulle prospettive di im ­piego dei fondi europei e di svi ­luppo di iniziative per il Mezzo ­giorno ».

Si mescolano in queste po ­che frasi due caratteristiche dell’attuale momento faticoso, oscuro e difficile della demo ­crazia italiana.Il presidente della Repub ­blica conosce cose che il gover ­no non ha ancora comunicato, perché il governo Monti rap ­presenta un vero e proprio “commissariamento” della po ­litica italiana ad opera del capo dello Stato, per mezzo di un’éli ­te di “tecnici” e alti funzionari. È stato un commissariamento giustificato con le ragioni di “emergenza nazionale”, ma non si può riportale alla casisti ­ca dei “governi del Presidente”, quelli che nel momento di mas ­sima crisi del sistema dei partiti sotto l’attacco delle inchieste giudiziarie, furono presieduti da Giuliano Amato, da Carlo Azeglio Ciampi e da Lamberto Dini, sotto la supervisione del presidente Oscar Luigi Scalfaro.

Il   governo Monti infatti ha un legame ancora più stretto con il Quirinale, fino alla quasi totale eliminazione del peso dei parti ­ti esistenti, i quali sembrano continuare a non capire. La maggioranza che ha votato la fiducia al governo non è una coalizione “di larghe intese”, non si tratta di un governo di transizione nato da un patto stipulato tra i principali partiti in circostanze eccezionali nella vita del Paese. Siamo piuttosto in presenza di un’accezione estremamente estensiva dei poteri del presidente della Re ­pubblica nel caso di una crisi di governo, con il Quirinale tra ­sformato nella sede primaria del potere esecutivo: in una lo ­gica che di fatto ricorda molto da vicino un regime semi-presidenzialista piuttosto che un re ­gime parlamentale. Altrove, in un assetto semi-presidenziale come quello della Quinta Re ­pubblica francese il presidente viene legittimato dall’elezione popolare a suffragio universale.

In questa mutata e ambi ­gua realtà una cosa è certa, che si chiedono sacrifici estremi agli italiani, e che i soldi nelle loro tasche saranno molti di meno, non molti di più. Eppure, e no ­nostante lo spreco storico di denaro del Sud, il presidente Napolitano si sente in grado di promettere altri e tanti quattri ­ni non solo ai disoccupati e ai giovani ma trattando accordi con sindaci e presidente della regione Campania. Eppure gli sarebbe bastato chiedere al brillante ministro Fabrizio Bar ­ca, padre di un vecchio amico comunista del presidente, per sapere come sono andati gli in ­vestimenti al Sud nel cosiddetto patto territoriale, visto che Bar ­ca ne ha ammesso il totale fal ­limento. Qualche dato. Secon ­do la Corte dei conti, tra il 1999 e il 2009 sono state avviate 5.967 iniziative imprenditoriali attra ­verso i patti territoriali contro le 11.422 previste. Dei 4,6 miliardi di euro pubblici stanziati, ne sono stati erogati soltanto 2,9. E di questi, 130,5 milioni sono da recuperare perché finiti nelle mani sbagliate. Come ha am ­messo Barca: «Ogni tentativo di manipolare l’economia e la so ­cietà del Mezzogiorno con sus ­sidi, gabbie salariali, imposte differenziali o esenzioni d’im ­posta, è destinato ad attrarre le imprese e le teste peggiori, a ri ­chiamare investimenti e im ­prenditori “incassa e fuggi” ». Intanto il Nord rischia lo stran ­golamento.
Meditate, gente, meditate.


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Bart