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Caso Napolitano. Questi sono fatti e su di essi non si possono avere “opinioni”

13 Settembre 2012

Il seguente articolo è stato scritto sulla base delle notizie apparse sulla stampa, la quale ha potuto assistere alla discussione. Infatti si legge: “Il Comitato apre i lavori in seduta segreta, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento parlamentare per i procedimenti d’accusa, indi su proposta del Presidente delibera all’unanimità di proseguire in seduta pubblica anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.” Ho preso per vero o almeno verosimili le frasi che la stampa ha riportato tra virgolette.
A questo articolo seguirà un altro con il resoconto sommario della seduta del comitato e il mio commento voce per voce. Purtroppo non sono riuscito a trovare il resoconto stenografico, che mi avrebbe permesso di verificare le frasi riportate dalla stampa e di individuare chi le avesse pronunciate. Se qualche lettore è in grado di reperire il resoconto stenografico, o il video della diretta tv, è caldamente pregato di inviarmi i link relativi, della qual cosa lo ringrazio in anticipo.


Affinché il lettore possa rendersi conto di quanto sorprendente (è un eufemismo) sia stata la decisione del comitato parlamentare per la messa in stato d’accusa del capo dello Stato (qui, qui, qui) sono andato a ricercare la documentazione apparsa sulla stampa. Ovviamente l’ho cercata su  il Fatto Quotidiano, l’unico giornale che ha seguito per filo e per segno la vicenda, documentando ogni passo della sua encomiabile indagine.
Stamani, come ho già scritto, il comitato, dopo essersi sforzato le meningi ed avere compulsato – immagino – i migliori manuali di diritto civile e penale ha deliberato l’archiviazione della denuncia presentata dall’Avv. Carlo Taormina contro il capo dello Stato, motivando che l’accusa ivi contenuta era “considerata priva di fondamento. E’ opinione diffusa nel Comitato che non ci sia stata alcuna violazione delle regole da parte del Presidente” (qui)  .
Faccio notare quell’incantevole: E’ opinione che meglio non avrebbe potuto rappresentare il probabile scarso impegno dei membri del comitato nell’esaminare la questione. Pensate se un giudice emettesse una sentenza motivandola con la stessa espressione: “E’ opinione del giudice…”, e giù elucubrazioni personali, senza uno straccio di documentazione, di prove e di analisi.
I fatti ci sono, eccome, e non è vero che risultano da semplici notizie raccolte dalla stampa, ma risultano da documenti ufficiali depositati agli atti, il più importante dei quali è costituito dai nastri che hanno intercettato le telefonate tra Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, e Nicola Mancino, quest’ultimo implicato nel processo della trattativa Stato-mafia e oggi indagato per falsa testimonianza, il quale, attraverso D’Ambrosio, cercava un intervento di Napolitano, che poi c’è stato.
Ho letto perfino (sempre qui) che un membro del comitato intendeva denunciare Taormina per calunnia al capo dello Stato. Siamo arrivati perfino al grottesco. Un cittadino sospetta che il capo dello Stato abbia commesso degli illeciti, e il comitato se la sbriga con quel: “E’ opinione diffusa nel Comitato che non ci sia stata alcuna violazione delle regole da parte del Presidente”, che peraltro sa tanto di sbrigativo, per non dire di peggio, e qualcuno di questi gentiluomini se ne esce con la proposta di denunciare il denunciante. Qui siamo davvero al grottesco, al paradosso (aiutatemi voi a trovare le parole); e torniamo indietro di qualche secolo quando qualsiasi critica al Re Sole si scontava in galera.
Vi sembra, cari lettori, che stiamo vivendo in una democrazia? Io mi sto convincendo sempre di più che siamo entrati in un pericoloso regime. Lo si diceva al tempo di Berlusconi, ma Berlusconi si era liberi di criticarlo e perfino di fotografarlo in camera da letto senza temere di finire in galera. Ed ora invece un cittadino che presenta una denuncia contro il capo dello Stato rischia (si fa per dire) che gli sia tagliata la mano con la quale ha scritto le sue ragioni.
Si stanno vivendo giornate assai oscure e pericolose, e i cittadini, tutti, dovrebbero prenderne coscienza. Non si può tollerare che le istituzioni si comportino in questo modo, senza alcuna trasparenza, e vorrei aggiungere, senza alcun rispetto per i diritti dei cittadini a conoscere la verità su ciò che di sospetto ed inquietante possa aver detto il capo dello Stato all’indagato Mancino.
Ma ora tocca a voi farvi un’opinione di come si sia comportato il comitato, e voglio cominciare con il link ai documenti, sui quali sfido chiunque a non ritenere un obbligo delle istituzioni chiarire la posizione di Napolitano, molto compromessa dalle dichiarazioni del suo segretario giuridico. Un Napolitano trasparente, come avrebbe dovuto essere, secondo me e secondo tanti altri, avrebbe dovuto prendere immediatamente le distanze da quelle dichiarazioni che lo compromettevano. Ma non lo ha fatto, anzi ne ha respinto le dimissioni e ha dichiarato il suo sostegno a D’Ambrosio ritenendolo semplicemente oggetto di una campagna diffamatoria. Non era questo il comportamento che doveva tenere. Avrebbe dovuto, se D’Ambrosio avesse detto il falso e avesse agito di testa propria, non solo prenderne le distanze, ma anche allontanarlo dal Quirinale.
Si aggiunga poi la cocciuta resistenza di Napolitano a fare in modo, contando sul favore della consulta, che quelle telefonate restino non solo segrete ma che siano distrutte senza che nemmeno le parti interessate al giudizio ne vengano a conoscenza. Troppo mistero. O troppa paura del loro contenuto?
Ecco perché la commissione non doveva farsi “un’opinione”, ma doveva dirci, con prove alla mano, perché la denuncia di un cittadino era infondata. Il non averlo fatto genera, ahimè, nuovi dubbi, che si aggiungo ai tanti che ormai aleggiano sulla triste vicenda.
Il documento che trovate grazie al link è di molte pagine e vi invito a leggerle tutte. Taluni passaggi sono raccapriccianti tanto vanno al di là sia delle regola che delle leggi. Leggete anche quante volte D’Ambrosio spende il nome di Napolitano e dichiara l’interessamento vivo di quest’ultimo alla causa di Mancino.
Seguiranno altri documenti interessanti per far capire a voi lettori che con la decisione del comitato (e forse anche con la decisione fra qualche mese della consulta) la vicenda si sta facendo sempre di più intricata. Essa rappresenta, a mio avviso, uno schiaffo alla nostra sovranità e alla democrazia.
A voi, ora giudicare.

1 – Telefonate Mancino-D’ambrosio (Video: andare avanti o indietro utilizzando le freccette in basso)


2 –Alla Cortese Attenzione del consigliere del Quirinale Pasquale Cascella

Gentile consigliere  Pasquale Cascella  ho provato a contattarLa telefonicamente ma non riesco a ottenere risposta a voce o via sms al cellulare. Il  Fatto  chiede al Presidente della Repubblica una dichiarazione ufficiale sulla seguente conversazione intervenuta il 12 marzo scorso tra il consigliere  Loris D’Ambrosioe  Nicola Mancino.
D’Ambrosio: Qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure daMartelli… e non so se mi sono spiegato, per cui diventa tutto… cioè… la posizione di  Martelli… tant’è che il presidente ha detto: ma lei ha parlato con  Martelli… eh… indipendentemente dal processo diciamo, così…
Mancino: Ma io non è che posso parlare io con  Martelli… che fa.
D: no no… dico no… io ho detto guardi non credo… ho detto signor Presidente, comunque non lo so. A me aveva detto che aveva parlato con  Amato  giusto… e anche con  Scalfaro…

1.  Il Presidente conferma o smentisce di avere chiesto a  D’Ambrosio  di chiedere a  Mancino  se questi aveva parlato con  Martelli?

2.  Il Presidente si dissocia dalle affermazioni di  D’Ambrosio  che connette la richiesta suddetta (colloquio  Mancino-Martelli  extra processo) con il contrasto di posizione tra i due ex ministri in vista di un confronto nel processo?

3.  Qual è l’interpretazione “non tendenziosa” di questa intercettazione secondo il Presidente?

4.  E qual è l’interpretazione “non tendenziosa” di questa seconda affermazione contenuta nella conversazione intercettata il 5 marzo sempre tra  D’Ambrosio  e  Mancino?
M: Eh… però il collegio a mio avviso li, un collegio equilibrato. Come ha ritenuto inutile il confronto Tavormina.… dirigente prima della Dia e poi dirigente del Cesis, come ha ritenuto inutile ha respinto la domanda di confronto così potrebbe anche rigettare, per analogia…, eh… si ma davvero questa è la fonte della verità  Martelli  ed io sono la fonte delle bugie?
D: Sì, ho capito però il problema è intervenire sul collegio e una cosa molto delicata questo è quello che voglio dire.
M: Questo io l’ho capito.
D: Una cosa è più facile parlare con il pm, perché… chiedere… io quello che si può parlare è con Grasso, per vedere se  Grasso  dice… eh… di evitare… cioè questa è l’unica cosa che vedo perché  Messineo, credo che non dirò mai… deciderà  Di Matteo… dirà così no.

5.  Il consigliere giuridico del Presidente, per evitare il confronto a  Mancino, considera l’ipotesi di intervenire prima sul collegio del Tribunale, poi ripiega in via ipotetica sul pm e infine sul procuratore nazionale antimafia. Il Presidente si dissocia o ritiene lecito intervenire su un collegio del tribunale o su un pm per evitare un confronto tra un testimone qualsiasi e un altro testimone più amico (Mancino) che rischia un’incriminazione?

6.  Perché il Quirinale dovrebbe occuparsi e preoccuparsi del contrasto di posizione tra due testimonianze di due ex ministri in un procedimento penale?

7.  Più volte  D’Ambrosio  afferma di avere chiesto al Procuratore nazionale  Piero Grasso  di intervenire per un coordinamento tra le procure di Palermo e Caltanissetta più conforme alle aspirazioni di  Mancino  e di avere ricevuto in risposta un diniego.  D’Ambrosio  afferma in un’altra conversazione con  Mancino: “Dopo aver parlato col presidente riparlo anche con  Grasso  e vediamo un po’… lo vedrò nei prossimi giorni, vediamo un po’. Però, lui… lui proprio oggi dopo parlandogli, mi ha detto: ma sai lo so non posso intervenire… capito, quindi mi sembra orientato a non intervenire. Tant’è che il presidente parlava di… come la procura nazionale sta dentro la procura generale, di vedere un secondo con  Esposito”.

8.  Ritiene il Presidente di essere stato indotto in errore dal suo consigliere o ritiene giusto intervenire sul procuratore generale per chiedere al procuratore nazionale (che recalcitra) di rafforzare il coordinamento tra procure al fine reale però – da quello che dice il suo consigliere giuridico al telefono – di evitare un confronto scomodo a un testimone?

Da il Fatto Quotidiano del 22 giugno 2012


Il Presidente ha risposto senza rispondere. Il portavoce del Capo dello Stato  Pasquale Cascellaieri ha spedito una lettera protocollata al direttore del Fatto. “Caro direttore”, scrive Cascella, “con riferimento all’articolo ‘Presidente risponda su Mancino’ firmato da  Marco Lillo, si osserva che, come è naturale, il Presidente della Repubblica non ha da rilasciare commenti, né tanto meno conferme o smentite, in merito a frammenti di conversazioni private intercettate dalla polizia giudiziaria e pubblicate da alcuni quotidiani. Ogni eventuale approfondimento è riservato all’autorità giudiziaria competente, secondo le modalità e con le garanzie previste dall’ordinamento giuridico”.

Ieri, Il Fatto aveva chiesto al Presidente di smentire e censurare le parole del suo consigliere giuridico  Loris D’Ambrosio  su due questioni non secondarie: 1) il suggerimento del presidente Napolitano a  Nicola Mancino  (girato via telefono dal consigliere  Loris D’Ambrosio) di parlare con Claudio Martelli, in vista di un possibile confronto in tribunale tra i due ex ministri che avevano offerto versioni divergenti sui fatti del 1992; 2) i tentativi del consigliere D’Ambrosio di trovare una strada per intervenire sul collegio giudicante e sui pm di Palermo, mediante il procuratore nazionale antimafia. Il Presidente ha scelto di non censurare le affermazioni di D’Ambrosio che da un lato attribuiscono al Capo dello Stato suggerimenti poco commendevoli e dall’altro manifestano propositi di intervento sui pm e giudici in un processo in corso. In tal modo, il presidente continua a legare il suo destino a quello di un consigliere che lo tira in ballo pesantemente nelle sue conversazioni scriteriate con Mancino. Dalla prosa burocratica del portavoce del Presidente emergono tre alibi alla mancata replica: 1) sono conversazioni private; 2) sono solo frammenti di telefonate; 3) solo l’autorità giudiziaria se ne deve occupare.

Per sgombrare il campo dalle prime due obiezioni il Fatto pubblica oggi sul suo sito  le conversazioni integrali  in modo che il Presidente possa rendersi conto che non si tratta di frammenti e che di privato non hanno proprio nulla. Quanto alla terza obiezione, continuiamo a pensare che anche il Presidente della Repubblica dovrebbe rispondere del suo comportamento, di quello del suo staff, e delle conversazioni telefoniche nelle quali i suoi collaboratori spendono il suo nome, non all’autorità giudiziaria ma all’opinione pubblica, l’unica che può giudicarlo senza  lo scudo dell’immunità.

Da  Il Fatto Quotidiano  del 23 giugno 2012


Trattativa, Violante ascoltato per 2 ore. Mancino spedì a lui una relazione Dia
di Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”, 13 settembre 2012)

Era arrivato abbozzando un sorriso, ma dopo due ore d’interrogatorio davanti ai magistrati  palermitani Luciano Violante  era scuro in volto e ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione, defilandosi invece in mezzo alla pioggia. Il deputato del Partito Democratico era entrato nell’ala nuova del palazzo di giustizia di Palermo qualche minuto prima delle 16, atteso dal procuratore aggiunto  Antonio Ingroia  e dai sostituti  Lia Sava  e  Antonino Di Matteo. I pm che indagano sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra hanno voluto richiamare a Palermo l’ex presidente della Camera per capire meglio quanto fosse a conoscenza degli indirizzi tenuti dal Governo alla fine del 1993.

All’epoca Violante era presidente della  commissione antimafia, e in questa veste aveva richiesto all’allora ministro dell’Interno  Nicola Mancino  (oggi indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’indagine sulla trattativa) la trasmissione della relazione elaborata dagli analisti della Dia il 10 agosto del 1993 sulle stragi di via Palestro a Milano e di San Giovanni a Velabro a Roma. Relazione che Mancino gli trasmise prontamente il 14 settembre, accompagnandola con una nota in cui specificava come si trattasse di materiale “Riservato” su cui vigeva il regime della “vietata divulgazione”.

Quella relazione è una lucidissima analisi, elaborata quasi in presa diretta, sul reale obbiettivo perseguito da Cosa Nostra con le stragi del 1993: l’allentamento del carcere duro, il 41 bis introdotto nel giugno del 1992, che divenne quindi uno degli oggetti principali della trattativa. Gli analisti di  Gianni De Gennaro  (all’epoca ai vertici della Dia) scrivono infatti che “la perdurante volontà del Governo di mantenere per i boss un regime penitenziario di assoluta durezza ha concorso alla ripresa della stagione degli attentati. Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa”.

Gli estensori della nota vanno oltre: avvertono infatti che “l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Fatto che si verificherà fatidicamente meno di due mesi dopo, nel novembre del ’93, quando l’allora guardasigilli  Giovanni Conso  lasciò scadere più di trecento provvedimenti di carcere duro per detenuti mafiosi. Conso, che è indagato per false informazioni al pm, ha detto che compì quella scelta in “perfetta solitudine”. Il fatto che sia Violante che Mancino fossero a conoscenza di quella relazione ha però insospettito i pm che adesso vogliono capire quale fosse all’epoca il “clima politico” in relazione alle stragi e alla scelta di Conso di non rinnovare il 41 bis. Chi sapeva cosa?

È per questo che Violante è stato richiamato a Palermo, dopo che in passato era stato sentito soltanto in merito ai suoi contatti con il generale  Mario Mori  nel 1992. Il parlamentare del Pd, in quei mesi del 1993, appariva molto attento alle attività d’indagine sulle stragi. Un’attenzione particolare testimoniata anche da alcune lucide interviste televisive rilasciate all’epoca dall’ex presidente della Camera, che i pm hanno acquisito recentemente agli atti delle indagini. In seguito, però, Violante non denunciò mai pubblicamente il primo concreto cedimento dello Stato, rappresentato dalla mancata proroga dei 41 bis da parte di  Conso. E in effetti fino ad oggi non aveva neanche mai fatto cenno a quella relazione della Dia, che rappresenta sicuramente un pezzo importante dell’intricato puzzle delle stragi.

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Dopo l’estensione di questo articolo è apparso sul sito del Senato la sintesi sommaria della riunione del comitato, qui (cliccare in alto a sinistra sulla voce: documento completo). La riporterò nel prossimo articolo.

 


Letto 900 volte.


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Bart