Senatori a vita. Lettera aperta al giornalista Ugo Magri5 Settembre 2013 di Dino Cofrancesco Egr. Signor Ugo Magri, nel Suo articolo, Trattativa fallita, si va verso la crisi, apparso a pag. 6 de ‘La Stampa’ di mercoledì 4 settembre, Ella scrive < Poi ieri mattina il Presidente della Repubblica ha sfogliato i quotidiani. E l’occhio dev’essergli caduto su un articolo a pagina 6 del ‘Giornale’, dai toni particolarmente offensivi, nonché su un editoriale parecchio affilato del direttore Sallusti>. Fortemente irritato, il Presidente, sempre secondo quanto si afferma nell’articolo, avrebbe telefonato a Gianni Letta per dirgli che e che . Se il Suo resoconto fosse vero, ci sarebbe sinceramente di che preoccuparsi per le sorti della libertà di espressione in Italia. Come autore dell’articolo pubblicato dal ‘Giornale’,sarei io la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso e persuaso l’inquilino del Colle dell’impossibilità di trovare un qualche accordo col centro-destra. Il titolo del mio commento, Se il Colle attenta alla Costituzione, come in genere capita, era redazionale e, pertanto, non sono tenuto a difendere una scelta non mia: rivendico, invece, la più completa libertà di critica per quanto riguarda la nomina dei quattro senatori a vita, che a mio avviso, per la loro chiara collocazione politica, nessun Presidente galantuomo del passato (a cominciare da Sandro Pertini) avrebbe avallato. E’ offensivo far rilevare che i neo-senatori debbono essere scelti tra artisti, scienziati, letterati che godano di un prestigio indiscusso in tutti gli ambienti culturali e politici del paese, di destra e di sinistra? E’offensivo avanzare riserve sull’opportunità di nuove nomine in un periodo in cui si pensa a una profonda riforma della Camera alta e all’eliminazione del bicameralismo perfetto? E’ offensivo osservare che nella crisi del regime politico in cui siamo sprofondati, il fatto che parlamentari che nessuno ha eletto risultino determinanti per la caduta e la sopravvivenza dei governi rappresenta un vulnus per la democrazia, se democrazia significa sovranità popolare? E’ offensivo ricordare che un tempo artisti, scienziati, letterati nominati senatori a vita dovevano tale altissimo riconoscimento non solo alle loro opere ma, altresì, al significato ‘politico’, in senso lato, che esse rivestivano per la comunità nazionale? Giuseppe Verdi, esemplificavo, era l’autore di musiche che potevano dirsi la colonna sonora della grande epopea risorgimentale; Alessandro Manzoni era l’espressione pensosa di una cattolicità ‘adulta’ riconciliata con l’idea nazionale; Benedetto Croce era lo storico-filosofo che aveva cercato di rinnovare la cultura italiana, insegnando ai suoi concittadini ad essere orgogliosi dei loro padri e del cammino fatto dallo stato unitario, da Cavour a Giolitti. Tutt’e tre erano simboli non divisivi, figure da tutti venerate, che incarnavano quei di cui nessuna comunità politica può fare a meno e che stanno su un piano sempre politico,sì, ma molto elevato e in quanto tale sottratto alle pur legittime (siamo in democrazia) contese dei partiti e degli schieramenti. I quattro neo-senatori, a cominciare da Claudio Abbado, per le sue posizioni ideologiche molto vicino al Sel di Nichi Vendola, possono dirsi simboli ‘non divisivi’? E tenuto conto che saranno quattro voti sicuri per il centro-sinistra è offensivo scrivere che Giorgio Napolitano non si è comportato da ‘vecchio gentiluomo napoletano’? Sarebbe stato troppo esigere da lui che almeno un neo-senatore su quattro fosse scelto non certo tra i militanti del Pdl –che vigliaccamente hanno applaudito, sia pure senza convinzione, l’entrata in aula dei nuovi parlamentari eletti dal Quirinale: chapeau al Movimento 5stelle, che ha salvato la faccia ed è rimasto in silenzio!â—ma in un’area culturale liberale o libertaria? E infine, aggiungo ora, dal momento che la nomina dei Pari d’Italia è una faccenda non poco delicata, per le ricadute che può avere sul piano degli equilibri politici, non sarebbe stato doverosoâ—anche se la Costituzione non lo esigevaâ—ascoltare il parere (certo non vincolante) del Presidente del Consiglio e di altri rappresentanti delle istituzioni? E risulta a qualcuno che il Presidente lo abbia fatto? ha ragione lei, egregio Ugo Magri. Non se ne può più di questo giornalismo ruffiano e corrotto che tanto ricorda il servilismo cortigiano del Basso Impero. A parte i soliti giornalisti del centro-destra, preoccupati più dall’indebolimento oggettivo del Pdl al Senato (dopo questa infornata, basteranno solo sette transfughi per non aver più bisogno del Cavaliere e disfarsi del governo delle ‘larghe intese’) che dagli spazi di libertà sempre più estesi sottratti alla società civile–non ho letto nessuna aperta critica all’operato di Giorgio Napolitano. Nessun moralista in servizio permanente effettivo, nessun giurista, nessun filosofo o scienziato politico, progressista o moderato che fosse, ha deprecato l’oggettiva, smaccata, violazione della par condicio nella scelta dei quattro senatori. Per averlo fatto notare, Ella mi ha accusato di aver adoperato : perché fermarsi qui e non segnalare alle Procure della Repubblica il reato di ? La ‘vecchia talpa’ fascista ha davvero scavato bene. La libertà di critica, per molti connazionali, è, in fondo, un companatico indigesto e non gradito della democrazia: è tollerata e apprezzata solo se esercitata dai (presunti) ‘buoni’ contro i(presunti) ‘cattivi’. Nei confronti delle figure istituzionali ‘al di sopra di ogni sospetto’ non sembra esserci diritto di avanzare riserve ed esprimere contrarietà . “curnut ‘ e mazziat'”, così Ella vorrebbe quei pochi liberali italiani ancora scampati alle invasioni barbariche dello Stato etico e dello stato sociale. Dal momento che Napolitano, conferendo i quattro laticlavi, ha operato nel rispetto della legalità â—una norma costituzionale glielo consentivaâ—, per Lei, siamo tutti obbligati a ritenere il suo agire oltreché legale anche legittimo ovvero rispettoso dello spirito e degli agrafoi nomoi (le norme non scritte, richiamate dall’Antigone sofoclea) di una ‘democrazia a norma’, che sia registrazione del ‘comune sentire’.Se mai il fascismo tornasse in Italia, sia pure con altre camicie e altri gonfaloni, non mancherebbero certo i Mario Appelius pronti a giustificare e ad applaudire. Con rispetto ma senza alcuna stima (finora non è obbligatoria,con buona pace di Stefano Rodotà e della sua perorazione a favore della ‘dignità ’ da imporre per legge), La saluta il liberale non berlusconiano. Berlusconi, fragile pausa pensando al voto: rinviato il videomessaggio al Paese ROMA – «Non si può stare a letto con il nemico », diceva ieri mattina Silvio Berlusconi. Che era già pronto a consumare il divorzio dal governo, a convocare per domani l’ufficio di presidenza del Pdl, presentarsi davanti al Paese domenica con un video messaggio per spiegare i motivi della crisi, attaccare la magistratura politicizzata, annunciare la nascita di Forza Italia e invocare il ritorno alle urne «contro tutto e contro tutti » per una «nuova rivoluzione liberale ». «Non si può stare a letto con il nemico », ripeteva ancora ieri sera il Cavaliere, che il video messaggio l’ha registrato ieri pomeriggio e tuttavia ha accolto i suggerimenti dei capigruppo del Pdl Schifani e Brunetta, e di quanti nel partito l’hanno invitato ad attendere fino a lunedì, fino alla riunione della giunta di palazzo Madama che dovrà decidere sulla sua decadenza, «altrimenti Silvio – se rompessi prima – verresti dipinto come il nemico del popolo e ti assumeresti la responsabilità della caduta del governo senza averne alcun vantaggio, perché Napolitano non ti farebbe mai votare in autunno ». Così è stata costruita una fragile tregua, che fa perno sulla missione affidata ad Augello, relatore del «caso Berlusconi » in Senato, e che sta predisponendo un documento in base al quale lunedì il Pd dovrà in pratica dichiarare se è disposto a concedere al leader del centrodestra la possibilità di appellarsi alla Corte di giustizia europea (non alla Consulta) per sfuggire al cappio della legge Severino che lo porrebbe definitivamente ai margini della politica, decretandone l’incandidabilità per i prossimi sei anni. A un passo da un conflitto istituzionale senza precedenti, a un passo da un tornante politico epocale, nessuno sembra scommettere su un esito del confronto in giunta che scongiuri la crisi. Anche perché non c’è più una regia della vicenda, sfuggita di mano ai protagonisti coinvolti nella vertenza. Così le ultime offerte avanzate a Berlusconi sono parse irricevibili: come l’idea – circolata ieri – che il Cavaliere si dovrebbe dimettere prima della riunione della giunta, in modo da consentire al Colle di predisporre la grazia immediata, che però non cancellerebbe la pena dell’interdizione. In pratica il leader del Pdl dovrebbe abdicare, ottenendo in compenso la restituzione del passaporto… «Non si può stare a letto con il nemico », sostiene Berlusconi. Il punto è che nel Pd Berlusconi non viene più visto come «il nemico », cioè come il competitore, avversario alle prossime elezioni. Lo sanno anche nel Pdl, dove si discute di tutto ma non si dice ciò che non può esser detto: il Cavaliere è fuori gioco, e prima o poi bisognerà fare i conti con la novità . Le piccole beghe di potere alla corte di Versailles, la lotta per le stanze nella nuova sede, sono l’anticipazione di ciò che sarà e che non è ancora. Per esempio, come farebbe Berlusconi a gestire il ruolo di capo della coalizione in campagna elettorale, se persino per un’intervista dovrebbe chiedere l’autorizzazione al magistrato? Pdl, guerra senza esclusione di colpi tra gli eredi politici del Cavaliere Nel lessico del centrodestra ritorna in auge il vocabolo «traditori ». Sarebbero coloro che non sono pronti a seguire Berlusconi fino in fondo al burrone, e dunque stanno disperatamente cercando strade diverse. Inutile dire che, nell’ottica dei cosiddetti «falchi », capitanati con molta perizia dal tandem Verdini-Santanchè, tutte le «colombe » appartengono alla categoria dei potenziali disertori. Ma nel mirino dei duri e puri ci sono soprattutto i fautori della trattativa a oltranza, che in queste ore vorrebbero evitare all’Italia lo shock della crisi attraverso un provvedimento di grazia oppure tramite un rinvio delle decisioni nella Giunta del Senato (dove lunedì si decideranno le sorti del Cavaliere). Gli Alfano, gli Schifani, i Cicchitto, i Quagliariello vengono privatamente descritti alla stregua di pavidi opportunisti che non amano davvero il leader. C’è un pressing forte su Berlusconi affinché si decida al «repulisti » e cacci tutti i potenziali cacadubbi dai posti di comando. E’ solo l’antipasto di una dura lotta di potere che si scatenerà a breve tra gli eredi politici del Cavaliere. Dal 15 ottobre in poi, Berlusconi verrà chiuso in casa (ancora non è dato sapere se ad Arcore o a Palazzo Grazioli), e lì dovrà restare per nove lunghi mesi espiando la pena. Chiaramente non potrà esercitare la sua funzione di leader, che comporta continue riunioni, telefonate, pubbliche apparizioni. Qualcun altro dovrà per forza prendere il comando, tanto nel caso che il Pdl sia ancora al governo (circostanza improbabile) quanto che sia finito all’opposizione e magari l’Italia venga chiamata nuovamente alle urne. Chi sarà il supplente, con Silvio fuori gioco? A chi spetterà il compito di stilare le liste, decidere le candidature, inserire gli amici e cacciare i nemici com’è nella più classica delle tradizioni politiche? Ecco perché il forte nucleo dei «falchi sta provando a giocare d’anticipo. E se si dà retta al tam-tam Pdl, tenta in tutti i modi di «aprire occhi » del Cavaliere sulle intenzioni vere o presunte degli avversari interni, in modo da farsi consegnare dal Fondatore le chiavi del partito. Le ragioni del popolo del centrodestra Si dice che il vertice del Partito democratico non possa in alcun modo prendere in considerazione l’ipotesi di non trasformare la giunta del Senato in un plotone d’esecuzione per Silvio Berlusconi. Perché la sua base, come emerge dalle feste democratiche in cui Matteo Renzi ha lanciato la sua candidatura alla segreteria e alla premiership, non chiede ma pretende fortissimamente il plotone d’esecuzione per il proprio avversario storico. E si ribellerebbe, con effetti fin troppo evidenti sull’andamento del dibattito congressuale, a qualsiasi decisione che non prevedesse l’esecuzione immediata ed esemplare del pluricondannato Cavaliere. Non si dice, però, che se la base del Pd impone ai propri dirigenti di non pensare neppure all’ipotesi del rinvio alla Corte Costituzionale della questione della retroattività della legge Severino, la base del Popolo della libertà e dell’intero centrodestra, cioè una fetta consistente dell’opinione pubblica del Paese, vive la vicenda della liquidazione politico-giudiziaria del leader in cui si è identificata negli ultimi vent’anni nella maniera esattamente opposta. I media omologati al politicamente corretto imposto dalla cultura liberal non ne tengono minimamente conto. Ma questa ampia parte del Paese che si riconosce in Berlusconi considera la sentenza della Cassazione l’epilogo di una persecuzione che ha le sue radici nel golpe mediatico giudiziario con cui vennero eliminati i partiti democratici della Prima Repubblica. E che su quella scia ha tentato per vent’anni di seguito di liquidare l’unico avversario di una sinistra politicamente inadeguata e incapace. Per questa parte dell’opinione pubblica italiana Berlusconi rappresenta se stessa. Considera la persecuzione e il tentativo di liquidazione del proprio leader come un tentativo di cancellazione dell’intera area moderata considerata dalla sinistra antropologicamente inferiore. E non potrebbe mai consentire ai vertici del Pdl di subire passivamente l’esecuzione sommaria del Cavaliere sulla pubblica piazza del Senato. Se dunque i dirigenti del Pd sono ostaggio dei propri militanti che inneggiano alla ghigliottina per l’odiato nemico, quelli del Pdl sanno benissimo che se per caso accettassero senza reagire il taglio della testa del Cavaliere gli elettori del centrodestra li considererebbero dei traditori (non della persona di Berlusconi, ma degli interessi e degli ideali dell’intero popolo moderato) e riserverebbero loro la stessa sorte di Gianfranco Fini. E la pacificazione che avrebbe dovuto portare dal bipolarismo muscolare a quello maturo e responsabile? Ciò che rischia di saltare in queste ore non è il governo Letta, ma la speranza di uscire finalmente dalla logica della guerra civile permanente ed entrare nell’Era del Paese normale, caratterizzato da una democrazia dell’alternanza simile a quella delle grandi democrazie liberali. Ma si poteva mai sperare di creare un clima di convivenza civile tra schieramenti alternativi con la cultura dell’odio predicata per vent’anni da una sinistra incapace di uscire dal proprio passato? Se può e se vuole il problema lo risolva il Presidente della Repubblica. Che conosce a perfezione quel passato e quella cultura! Sondaggi elettorali, Berlusconi condannato e il Pdl vola: “Si riprende i voti†I voti tornano all’ovile perché le alternative (Scelta Civica, Movimento Cinque Stelle) hanno deluso e – nonostante il Pdl – Silvio  Berlusconi è una sicurezza. Intanto i voti restano e aumentano perché il Pdl è Berlusconi e viceversa: gli elettori del Cavaliere lo sceglierebbero anche se rapinasse un supermercato in diretta televisiva. E poi la fenomenale abilità politica dell’uomo (che ha portato al trionfo dell’abolizione dell’Imu, tema elettorale imposto da lui stesso a tutti gli altri). E su tutto, infine, l’impalpabilità della concorrenza: cercasi Pd. Sono le risposte che sondaggisti e sociologi danno a una domanda che potrebbe forse valere per un intero ventennio: come cavolo è mai possibile che il Popolo delle Libertà – un partito che ha un leader condannato in via definitiva per frode fiscale, con un piede fuori dal Senato, con la “agibilità politica†apparentemente ridotta al lumicino – continui a veleggiare nei sondaggi?  Antonio Noto, Renato Mannheimer e Roberto Weber  parlano con il fattoquotidiano.it e non si dimostrano per niente sorpresi. Si tratta di un’ascesa che, se raffrontata ai dati dell’autunno scorso, fa rimanere a bocca aperta. Il Pdl era un partito moribondo alla fine del 2012, quando stancamente parlava di primarie e di successione di un leader che pareva volersi accontentare di ruolo di padre nobile. Il partito arrancava nei sondaggi tra il 15 e il 17. Poi tornò in campo il Cavaliere che lo trascinò al sorprendente pareggio acciuffato nel giro di due mesi. E ora? Le rilevazioni più recenti parlano di un partito in invidiabile salute: al 27%, decimale più, decimale meno. Secondo Ipr Marketing è al 27,5, secondo Swg è al 27,9, tanto per citare due sondaggi tra i più recenti. A febbraio – solo 6 mesi fa – il Pdl arrivò al 21 per cento. E’ l’unico partito che aumenta sensibilmente, insieme a Sinistra Ecologia e Libertà che evidentemente raccoglie qualcosa di ciò che perde il Pd che sarebbe intorno al 24-25 per cento e cioè paralizzato. Il ritorno dell’elettore L’elettore fedelissimo (a prescindere) Le notizie non contano (e nemmeno le condanne) L’Imu (ovvero l’abilità politica del Cavaliere) L’insostenibile leggerezza del Pd Pdl? A rischio crollo. Se il Pd offre una “concorrenza forte†Letto 3656 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||