Stato-mafia, la Consulta: sì al conflitto tra Napolitano e i pm di Palermo20 Settembre 2012 di Redazione ROMA – La Consulta ha giudicato ammissibile il ricorso del Quirinale contro la Procura di Palermo. Il Colle aveva presentato ricorso dopo le intercettazioni indirette di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.L’ordinanza della Corte sarà depositata domani. I giudici della Consulta riunitisi in camera di consiglio per il primo vaglio del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, lo hanno ritenuto fondato sotto il profilo soggettivo, perché Capo dello Stato e Procura di Palermo sono qualificabili come poteri dello Stato, e sotto il profilo oggettivo, rispetto cioè al conflitto sollevato. Il Colle sostiene che il Presidente non poteva essere intercettato e le registrazioni andavano distrutte. Secondo i pm la distruzione può essere disposta solo da gip. Messineo. «Non siamo sorpresi. La valutazione di ammissibilità è un passaggio processuale, serve a stabilire se ci sono i presupposti astratti del conflitto di attribuzione. Ma non ha nessuna incidenza su fondatezza dei contenuti, quindi sul ricorso ».Così il procuratore di Palermo, Francesco Messineo. «La questione – ha proseguito il procuratore – sarà adesso analizzata nel merito, sarà esaminata nei dettagli, ancora la vicenda è tutta da decidere. Vedremo cosa succederà nell’udienza che ha fissato la Corte. Lì si capirà davvero qual è l’orientamento dei giudici ». Per Messineo «si tratta di una valutazione solo formale, se astrattamente sussistono i presupposti, non significa che dall’analisi della vicenda non possa emergere con chiarezza che il nostro operato è stato corretto ». Intercettazioni, Consulta dice sì ad ammissibilità ricorso Quirinale Come previsto ed era prevedibile. E’ arrivato il via libera all’ammissibilità del conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo sulle intercettazioni che coinvolgono il Capo dello Stato. Lo ha deciso la Corte Costituzionale che esaminerà la questione nel merito nei prossimi mesi. Le intercettazioni, disposte nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, riguardano indirettamente Giorgio Napolitano, che parla al telefono con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Dodici le cause a ruolo oggi per la Corte: la penultima iscritta era quella che riguarda il Capo dello Stato. Oggi la Corte Costituzionale doveva decidere solo sull’ammissibilità, cioè doveva verificare se il ricorso aveva i requisiti oggettivi e soggettivi perché si possa passare, nelle prossime settimane, all’esame nel merito: i giudici, in questo primo vaglio, devono stabilire se Quirinale e Procura sono poteri dello Stato e se il conflitto è fondato. Due i giudici che hanno l’incarico di relatori: Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo, il primo eletto nel giugno 2005 su indicazione del centrosinistra, il secondo nell’ottobre 2008 su proposta del centrodestra. L’esame nel merito della questione si svolgerà in tempi rapidi: la Corte, infatti, avrebbe l’intenzione di dirimere al più presto il nodo dell’intercettabilità del Capo dello Stato. Nel ricorso, firmato dagli avvocati dello Stato, Ignazio Francesco Caramazza, Antonio Palatiello e Gabriella Palmieri, si chiede alla Corte Costituzionale di sancire che “non spettava ai pm di Palermo omettere di distruggere le intercettazioni del Presidente”. Questo, sulla base di quanto previsto, in particolare, dall’articolo 90 della Costituzione, che stabilisce che “il Presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Tesi che, secondo gli avvocati dello Stato, sarebbe confermata anche dall’articolo 7 della Legge 219/1989. Le telefonate al Presidente sono state registrate intercettando le conversazioni telefoniche dell’ex ministro Mancino, la cui utenza era stata messa sotto controllo su mandato dei magistrati palermitani, e le registrazioni non sono state distrutte. Il Presidente della Repubblica, ritenendo lese le proprie prerogative garantite dall’articolo 90 della Costituzione, ha promosso un ricorso alla Consulta. La Procura di Palermo sostiene invece che per procedere alla distruzione delle intercettazioni è necessaria, in base al codice di procedura penale, un’apposita udienza, in contraddittorio, davanti al gip. ”Non siamo sorpresi. La valutazionedi ammissibilità è un passaggio processuale, serve a stabilire se ci sono i presupposti astratti del conflitto di attribuzione. Ma non ha nessuna incidenza su fondatezza dei contenuti, quindi sul ricorso” ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo. “La questione – ha aggiunto – sarà adesso analizzata nel merito, sarà esaminata nei dettagli, ancora la vicenda è tutta da decidere. Vedremo cosa succederà nell’udienza che ha fissato la Corte. Lì si capirà davvero qual’è l’orientamento dei giudici”. Per Messineo “si tratta di una valutazione solo formale, se astrattamente sussistono i presupposti, non significa che dall’analisi della vicenda non possa emergere con chiarezza che il nostro operato è stato corretto”. “Andiamo avanti nel nostro lavoro, nell’inchiesta e nel processo. Siamo convinti di avere agito nel pieno rispetto della legge in vigore” ha commentato il pm di Palermo Nino Di Matteo, uno dei magistrati del pool che si occupa dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. I pm adesso dovranno stabilire se difendersi da soli, come pure è teoricamente possibile, o se nominare gli avvocati costituzionalisti, ammessi a patrocinare davanti alla Consulta, con i quali sono gia’ stati presi contatti nelle scorse settimane. Conflitto ammissibile (come da copione) Ammissibile. Il conflitto d’attribuzione fra poteri dello Stato sollevato dal Quirinale contro la Procura di Palermo è stato dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale. La Consulta ha stabilito che il ricorso ha i requisiti oggettivi e soggettivi perché si possa passare, nelle prossime settimane, all’esame di merito: i giudici, in questo primo vaglio, hanno stabilito che Quirinale e procura sono poteri dello Stato e che il conflitto è fondato. Giudici relatori di questo primo passaggio sono stati Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo, entrambi di nomina parlamentare: il primo eletto su indicazione del centrosinistra, il secondo del centrodestra. Ora la Corte dovrà affrontare la questione di merito: e decidere se i pm palermitani hanno agito correttamente nella loro indagine sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra. Come prescrivono le leggi, la procura ha inserito nei fascicoli processuali le intercettazioni dell’ex ministro Nicola Mancino che parlava al telefono con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Considerandole processualmente non rilevanti, ha disposto, come prescritto dal codice di procedura penale, che le telefonate siano vagliate da un giudice, nel contraddittorio delle parti, in un’apposita udienza che potrà decidere la loro distruzione. Il Quirinale ha invece ritenuto che la non distruzione immediata delle conversazioni del presidente leda le prerogative del capo dello Stato, garantite dall’articolo 90 della Costituzione, e ha così fatto ricorso alla Consulta, di fatto chiedendo che al capo dello Stato sia garantita una riservatezza assoluta e (finora) inedita. La Corte ha deciso ieri anche di ridurre drasticamente i tempi previsti per l’esame nel merito, che sarà affrontato la seconda settimana di novembre. “Siamo convinti di avere agito nel pieno rispetto della legge, non avendo leso le prerogative del capo dello Stato”, ha commentato il procuratore di Palermo Francesco Messineo. “Quello compiuto oggi dalla Consulta è un semplice passaggio formale e non una valutazione di merito”. “È andato tutto come previsto”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. “Aspettiamo adesso di vedere che cosa succederà quando si analizzerà la questione nel merito”. E il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo: “Continuiamo a lavorare tranquillamente sulle inchieste e nei processi che riguardano la trattativa. Resto convinto che abbiamo agito nel pieno rispetto della normativa vigente”. Slitta intanto a oggi il voto della Camera sulla mozione , presentata dall’Idv, che impegna il governo a costituirsi parte civile nel processo di Palermo sulla trattativa. La scelta del giudice Piergiorgio Morosini La notizia è di qualche giorno fa: il giudice Piergiorgio Morosini, segretario nazionale di Magistratura Democratica (oltre che gip di Palermo), pur rivendicando con orgoglio la sua appartenenza al sindacato delle toghe di sinistra, si autosospende dall’incarico, ufficialmente per incompatibilità con il ruolo (difficile) di giudice delle udienze preliminari al cosiddetto processo sulla Trattativa Stato-Mafia, ruolo nel quale è stato designato poco più di un mese fa. “Un ulteriore gravoso compito istituzionale – scrive Morosini nella lettera di autosospensione da MD – che renderebbe assai complicato uno svolgimento efficace ed effettivo del ruolo di rappresentante del gruppo”. Oggi su Il Fatto Quotidiano, anche i giudici Lia Sava e Francesco Del Bene (di MD anche loro), che insieme a Di Matteo e Ingroia sono i pm che indagano sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia, rompendo il silenzio, intervengono sulle polemiche e gli attacchi che ultimamente hanno investito la Procura di Palermo. E si schierano al fianco del giudice Morosini, non mancando di sottolineare, giustamente, la serietà della sua scelta. Ma è davvero questo il motivo dell’autosospensione di Piergiorgio Morosini dalla carica di segretario nazionale di Magistratura Democratica? E’ davvero soltanto la difficoltà di conciliare entrambi gli impegni? Abbiamo forse dimenticato quanti e quali tipi di attacchi la Procura e i magistrati di Palermo siano stati costretti a subire negli ultimi mesi? Abbiamo una vaga idea di cosa significhi condurre indagini di tale delicatezza in questo clima di ostracismo e prese di distanza? Pur di contrastare l’affermazione della verità, alcuni sono disposti a tutto. Specie ai piani alti. Qualcuno avrebbe certamente preferito che Morosini si astenesse dal processo sulla Trattativa e mantenesse l’incarico di segretario nazionale di Magistratura Democratica. Qualcun altro ha già battezzato questa scelta ‘il passo indietro di Morosini’. In realtà, in un Paese in cui persino il Governo vorrebbe evitare di costituirsi parte civile nel processo in questione, con la sua scelta il giudice Morosini ha già risposto a quanti lo avrebbero accusato di imparzialità. Ha evitato le strumentalizzazioni sul ‘doppio ruolo’, che sarebbero inevitabilmente arrivate. E, soprattutto, ha lasciato Magistratura Democratica libera di dividersi (ma sarebbe meglio di no) sul processo nel quale è stato chiamato a dare una sentenza. Magistratura democratica sul caso Ingroia: “Inaccettabile la ricerca del consenso” Un’altra bacchettata per il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, dopo quella subita dai vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Questa volta, però, l’essere additato come magistrato che tradisce il suo ruolo potrebbe fargli più male, quantomeno sul piano umano. La presa di distanza viene dall’interno, da Magistratura democratica, la corrente di sinistra di cui è sempre stato un esponente di punta e di cui fanno parte anche altri due pm dell’indagine trattativa Stato-mafia: Lia Savae Francesco Del Bene. Secondo quanto risulta alFatto, Sava si è dimessa da segretaria della sezione palermitana di Md. E oggi la Quarta commissione del Csm potrebbe proporre, di fatto, al Plenum di arrestare la carriera di Ingroia almeno per due anni se deciderà di inserire nel fascicolo di valutazione (che ha ogni magistrato) una nota negativa per aver detto “sono un partigiano della Costituzione” al congresso del Pdci della primavera scorsa. Quanto a Md, senza mai nominarlo, lo accusa di essersi lasciato andare a una “esasperata sovraesposizione mediatica” e di aver cercato in questo modo “consenso” attorno all’inchiesta sulla trattativa. Alla riunione di venerdì scorso dell’esecutivo, nonostante ne faccia parte, non ha partecipare Lia Sava. Dopo l’autosospensione da segretario nazionale di Piergiorgio Morosini, motivato con l’impegno per affrontare da gup l’udienza preliminare proprio sulla trattativa, è stato deciso che per una presa di posizione su quell’inchiesta, non era opportuna la presenza del pm . Il documento si allinea esplicitamente con i vertici dell’Anm che hanno accusato Ingroia di aver rilasciato dichiarazioni “politiche” alla festa del Fatto e gli hanno rimproverato, così come al pm Nino Di Matteo, di non aver preso le distanze dall’intervento critico di Marco Travaglio sul presidenteGiorgio Napolitano. “Md, da sempre, ritiene che l’intervento pubblico del magistrato debba non sovrapporsi al proprio lavoro giudiziario, investire questioni generali ed essere caratterizzato da chiarezza, equilibrio e misura, cioè debba essere svolto in modo da non arrecare pregiudizio al lavoro giudiziario e alla immagine della giurisdizione. E ciò vale, in misura ancor maggiore, per i magistrati che conducono indagini particolarmente rilevanti e delicate sulle quali si concentra l’attenzione pubblica con rischi evidenti di strumentalizzazione, pensiero del resto condiviso in un recente intervento dalla stessa Anm”. Il prologo del documento ribadisce che “la necessità di un confronto continuo tra la giurisdizione e la società civile è convinzione fondante della identità del nostro gruppo…”. Ma, secondo i vertici di Md, Ingroia ha usato la sua professionalità per farsi pubblicità: “E’ evidente l’inopportunità della ricerca esasperata di esposizione mediatica, anche attraverso la sistematica partecipazione al dibattito, da parte di magistrati che approfittano dell’autorevolezza e delle competenze loro derivanti dallo svolgimento della attività giudiziaria e utilizzano nel confronto politico le conoscenze acquisite e le convinzioni maturate nel contesto di un’indagine”. Il comunicato prosegue con un altro siluro, forse il più pesante: le uscite pubbliche di Ingroia possono aver creato (o cercato) rispetto all’inchiesta sulla trattativa, una verità a tavolino: “Un esito pericoloso di questa distorsione è la possibile creazione, in luogo diverso dall’ambito processuale, di ‘verità’ preconfezionate che rischiano di influenzare o comunque di far ‘apparire’ parziali l’operato della magistratura e le decisioni giudiziarie”. In conclusione, l’intimazione ai magistrati della procura di Palermo a stare zitti: “E’ egualmente inaccettabile la sollecitazione e la ricerca da parte di magistrati del ‘consenso’ a indagini o all’esito di processi in corso, specialmente se si tratta dei magistrati direttamente investiti di quelle indagini e di quei processi o comunque appartenenti al medesimo ufficio”. Alcuni magistrati palermitani, compreso il procuratore aggiunto, Vittorio Teresi (Md) segretario locale dell’Anm e i vertici della corrente si sono scambiati parole di fuoco sul documento. Un documento che non ha speso una parola, invece, sulle toghe che hanno criticato l’indagine sulla trattativa senza conoscere gli atti. Stato-Mafia, i pm di Palermo Sava e Del Bene: “Attacchi ingiusti e concentrici” Da dieci anni coordinano inchieste di mafia e dicono: ‘’Non abbiamo perso un processo”. Oggi rivendicano una storia professionale “cristallina”, respingono ogni attacco alla solidità dell’inchiesta, si schierano al fianco del gup Piergiorgio Morosini e alla fine lanciano un appello ad “abbassare i toni della polemica e del fragore mediatico perché il processo ha bisogno di serenità”. Sono i pm della trattativa lontani dai riflettori, quelli che non fanno notizia: Lia Sava e Francesco Del Bene, entrambi diMagistratura democratica. La prima ha indagato sul caso Lombardini, sulla mafia delle Madonie, suDell’Utri e su Renato Schifani. Il secondo è il pm del processo Rostagno e indaga sul mistero caso Giuliano. A loro si deve la cattura di superlatitanti come Nino Giuffrè, Domenico Raccuglia e Salvatore Lo Piccolo. Sava è membro dell’esecutivo nazionale di Magistratura democratica e segretario di Palermo. Con Ingroia, dunque, sono di Md tre dei quattro pm che indagano sulla trattativamafia-Stato, e lo è anche il gup Piergiorgio Morosini, il giudice che dovrà decidere il destino dell’inchiesta, che pochi giorni fa si è autosospeso da segretario nazionale, mentre i leader storici della corrente, Giuseppe Palombarini e Giuseppe Cascini, giurano sull’innocenza dell’ex Guardasigilli Giovanni Conso, indagato per falsa testimonianza, uno dei protagonisti del cedimento istituzionale nel novembre ’93. Ora Sava e Del Bene rompono per la prima volta un silenzio durato anni nel giorno in cui la loro corrente, in un’assemblea locale, discute delle polemiche rimbalzate sulla mailing list interne che ha accolto posizioni opposte, perfino sull’opportunità di aprire l’indagine sulla trattativa. Sulla spaccatura dell’area di sinistra della magistratura e sul fragore che circonda l’indagine sul dialogo tra lo Stato e la mafia, li abbiamo intervistati. Perché avete deciso ora di rompere il riserbo al quale vi siete sempre attenuti? Sava: Pur essendo fra i pm anziani della Dda di Palermo, siamo sempre stati zitti perché non amiamo i riflettori, ma siamo consapevoli che nel momento in cui si scatenano attacchi, che riteniamo ingiusti e concentrici, che si sono abbattuti sulla nostra indagine e sulla procura di Palermo, non si può più tacere. Del Bene: Siamo stati accusati di aver violato la legge. Si sono scatenati i peggiori pregiudizi negativi su questa indagine, soprattutto da chi non ne conosce neanche una carta. E per questo si sono concentrate le accuse soprattutto sul coordinatore del pool di cui facciamo parte, Antonio Ingroia. Cosa dovremmo fare? Tacere all’infinito? Crediamo che sia il capo della procura Francesco Messineo, sia Ingroia, non avevano altra scelta che assumersi la responsabilità di parlare a difesa del nostro lavoro. Il segretario nazionale di Md e gup della trattativa Morosini ha gettato la spugna dell’impegno sindacale autosospendendosi dalla sua carica. Ha fatto bene? S: Certo. Anche noi siamo di Md e apprezziamo la scelta molto seria del nostro segretario. DB: L’udienza preliminare si preannuncia molto lunga e complessa. Può durare persino un anno e sarà segnata da un gran numero di eccezioni e questioni procedurali. Morosini dovrà affrontare da solo questo percorso, che è evidentemente inconciliabile con gli impegni di un segretario nazionale di corrente. Il segretario nazionale si autosospende. Due leader storici difendono un indagato eccellente. La voce di Nello Rossi “pizzicata” nelle intercettazioni: sullo sfondo i mal di pancia diffusi per mail sulla visibilità mediatica acquisita da Ingroia, altro iscritto di Md, che rivendica il diritto di parlare a difesa di una verità sulla stagione delle stragi, sempre più vicina masempre più osteggiata. Perché questa indagine è così dirompente per Md?S: Dobbiamo accettare le critiche, fa parte del Dna della corrente. Palombarini critica? È un suo diritto. Il garantismo è un pezzo della cultura di sinistra, ma nelle sue diverse anime, Md ha sempre mirato al miglior funzionamento del servizio giustizia e all’attuazione piena del principio di uguaglianza di fronte alla legge. E continuerà a farlo, anche nel caso in questione, ove le diverse sensibilità possono essere variamente solleticate. DB: C’è, è indubbio, una certa fibrillazione ai vertici della corrente, forse dovuta alla volontà della struttura centrale di Md di evidenziare critiche alla gestione della procura di Palermo. Non so se per la sovraesposizione di Ingroia o per altro. Il conflitto di attribuzione, le prese di distanza istituzionali, la mancata costituzione di parte civile del governo, e poi gli attacchi mediatici, i falsi scoop, il ‘’fuoco amico”: quanto incide questo clima sull’efficacia della vostra inchiesta? S: Sta per iniziare una fase molto delicata dell’inchiesta. Con l’appuntamento della Consulta alle porte e l’udienza preliminare tra un mese. È il momento di abbassare i toni della polemica e del fragore mediatico. Abbiamo bisogno di serenità, noi e soprattutto il gup. Un minimo di rispetto deve essere riconosciuto a tutti: un conto è la critica, altra cosa e’ l’attacco pregiudiziale disinformato. DB: Con la partenza di Ingroia, collega di grande carisma, il nostro pool perde sicuramente qualcosa. Questo non significa che il successore non riuscirà a garantire le medesime condizioni di autonomia di cui abbiamo goduto fino ad ora, ma di certo siamo ad una svolta. E il momento è estremamente delicato. Diciamo basta alle delegittimazioni. E invitiamo tutti ad un maggiore rispetto per il nostro lavoro, che sarà valutato da un giudice. Letto 861 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||