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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

STORIA: Già nel 1991 come oggi

5 Marzo 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Governava il pentapartito: Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito socialdemocratico, Partito repubblicano e Partito liberale. Siamo nel 1991, poco meno di trent’anni fa. In Italia si sono già avuti due fatti importanti che hanno scosso la politica: il caso Gladio che coinvolse il Presidente Francesco Cossiga, e il caso Segrate che definì la spartizione del colosso editoriale Mondadori tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti. Di lì a due anni sarebbe scoppiato il caso più grande: l’operazione Mani Pulite destinato a dividere (e forse finalizzato a dividere) la Storia della Repubblica italiana in due tempi ben distinti: il primo con il potere in mano alla Democrazia cristiana e il secondo con il potere in mano al Pd-exPci.

Eppure i due tempi, pur essendo stati gestiti sotto poteri diversi (il secondo tempo non si è ancora concluso) rivelano delle somiglianze straordinarie, tali da far riflettere che in Italia vale la massima espressa da Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambiâ€.

Gli anziani come me, ricorderanno bene quegli anni che Giampaolo Pansa ci racconta nel suo libro “Il Regimeâ€, uscito proprio poco prima dell’esplosione di Mani Pulite, ma anche i giovani che leggeranno il libro, e qui questo brano, saranno in grado di comparare quanto accadeva nel 1991 con quanto accade oggi, e convincersi che il potere rimane sempre fedele e uguale a se stesso.
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“In quei giorni, molti si domandarono: ma se i cinque del pentapartito si scoprono così impotenti e tanto rissosi, perché non dichiarano sciolta la compagnia e si presentano al giudizio degli elettori? Santa ingenuità dell’italiano qualunque! Neppure questo era possibile. Il voto anticipato era assolutamente da evitare se non si voleva gettar benzina sul fuoco della Lega di Bossi. Una lega in continua crescita di forza, più per demerito del partitismo che per proprie virtù.

Sì, la Lega faceva paura, anche a chi urlava di non temerla. E faceva paura non soltanto alla Dc. Certo, la Balena era in tilt perché i sondaggi e, soprattutto, la sua rete capillare di sismografi sociali (sindaci, amministratori di enti vari, capi di associazioni cattoliche, preti) le predicevano una catastrofe elettorale nel Nord Italia. Ma era in tilt anche Craxi, che pure aveva sempre fatto il rodomonte di fronte alle truppe di Bossi. Ricordate il suo primissimo proclama, quello diffuso da Gedda, in Arabia Saudita, nel maggio 1990? Bettino era lì per conto dell’Onu, ad occuparsi del debito dei Paesi poveri, ma non aveva saputo tener chiusa la bocca sulle faccende di casa. «Quelle della Lega Lombarda », aveva strepitato «sono smargiassate. Loro dicono di voler liberare la Lombardia? Ebbene, se non torneranno su un programma democraticamente ragionevole, noi faremo di tutto perché la Lombardia si liberi di loro! »

Parole. In realtà, dal 7 maggio di quell’anno, dopo il successo leghista in tanti comuni del Nord, lo spettro della Lega non aveva smesso di tormentare i sonni socialisti. E da quel giorno, il Psi e gli altri partiti dominanti avevano spacciato balle a non finire sul fantasma leghista. Le avevano spacciate per non dover riconoscere due verità. La prima era che i padri della Lega risultavano proprio i partiti forti, con le loro prepotenze arroganti. La seconda era che i tanti voti alla Lega venivano da elettori stanchi di sopportare i nuovi don Rodrigo, la classe di privilegiati cresciuta nei castelli della partitocrazia, una nomenklatura eternamente in sella, intoccabile, sprezzante, impunita.

Questi don Rodrigo, corazzati di cariche pubbliche e foderati di tangenti, avevano una caratteristica: erano quasi sempre dei mediocri, però non degli sciocchi. Conoscevano bene come stavano le cose, perché avevano un controllo perfetto del territorio da dominare. Sapevano, dunque, che con l’apparire della Lega era cominciato un conto alla rovescia poco simpatico. Era il conto che scandiva l’avvicinarsi della fine per le loro fortune elettorali e, dunque, per gli affari che su queste prosperavano.
Così, per la prima volta, dopo decenni di marmorea indifferenza, provavano un sentimento nuovo: la paura.
Trovavano paura soprattutto i don Rodrigo di Lombardia che avevano già visto all’opera le truppe di Bossi. Questa paura, poi, diventava una fifa blu nei don Rodrigo del Garofano che avevano il loro vitello d’oro proprio a Milano, capitale della Lega.â€.


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Bart