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STORIA: Ne abbiamo già passate e supereremo anche il coronavirus

9 Marzo 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Nel libro “Conoscere Lucca. Storia e Personaggi†di Roberto Pizzi, edito da Maria Pacini Fazzi nel 2015 si dà conto della peste nella mia città di Lucca.

“Cosa significasse un’epidemia di questo genere lo si può desumere dalle cifre che indicano la mortalità delle diverse città italiane durante la peste del 1630-31. La malattia, che si diffuse nell’Italia settentrionale e nella Toscana, uccise circa 1.100.000 persone su un totale stimato intorno ai 4 milioni, con città dove i decessi giunsero fino al 60% della popolazione. La peste di manzoniana memoria giunse in Italia con le truppe imperiali impegnate nella seconda guerra del Monferrato e iniziò a mietere vittime in Lombardia alla fine del 1629. Da uno studio di Rita Mazzei (La società lucchese nel ‘600) sappiamo che nell’autunno dèi 1630 il morbo arrivava a Lucca, dove i responsabili della sanità seguivano da tempo le vicende del contagio che investiva l’Europa. Tuttavia le conoscenze dell’epoca permettevano solo rimedi empirici, come il bando dei mendicati (i più esposti al primo contagio), o l’obbligo di certificati sanitari per chi entrava nella Repubblica. Dal 1626 era stata imposta la quarantena ai carichi di seta che arrivavano da Viareggio e da Messina, ma i mercanti si opponevano al completo isolamento della città e solo dal primo di ottobre del 1630 accettarono il blocco delle importazioni anche dagli altri luoghi del Gran Ducato, con l’eccezione di Pisa e Livorno. Quando il 28 ottobre la peste era già segnalata in tutta la Toscana, ancora ci si opponeva alla chiusura dei traffici con queste due città, intorno alle quali gravitavano interessi mercantili troppo forti. Passarono così altri giorni preziosi e si giunse infine al 3 novembre, quando scattò il blocco totale, ormai tardivamente, poiché già da alcuni giorni si erano verificati casi di contagio nelle zone di S. Concordio e di Pontetetto.

In un contesto di gravi difficoltà economiche, col settore della seta in crisi, il dilagare della disoccupazione e della miseria nei ceti artigiani, la peste trovava fertile terreno nella mancanza di igiene della città e nelle condizioni debilitate della popolazione. In poche settimane il male si espande entro le mura e in quasi in tutto il contado, il terrore si diffonde e ognuno pensa a sé stesso: i ricchi fuggono nelle loro ville di campagna, riuscendo a contenere le perdite del loro ceto. Gli artigiani e la gente miserabile restano indifesi all’arrivo dell’estate, quando la peste esplode in tutta la sua violenza facendo riempire i lazzaretti e più ancora i cimiteri, dove giungevano carri pieni di cadaveri ed anche con qualche appestato ancora agonizzante. Solo verso la fine del 1631 il contagio perse virulenza. Perché scomparisse del tutto bisognò attendere l’anno successivo, quando fu possibile un bilancio delle perdite, rivelatosi pesantissimo: solo per la città si contarono quasi diecimila morti, vale a dire circa il 38% della popolazione. Lucca era prostrata, poiché come in genere avveniva anche altrove, l’epidemia colpiva molto più severamente le città rispetto alle campagne, se non altro per l’addensamento della popolazione in locali insalubri e ristretti. Le città italiane, che grazie alla nascita dei comuni avevano segnato la fine dell’epoca buia dell’anarchia e delle invasioni barbariche, da culle della civiltà – come sono state definite – diventavano, per effetto delle epidemie, “tombe†di una vasta umanità.â€.


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Bart