STORIA: I MAESTRI: Hitler invade la Polonia31 Gennaio 2012 di Paolo Monelli Il primo settembre del 1939, quando si seppe che i tedeschi avevano passato in armi la frontiera polacca, ero in va canza a Brioni. La più raffi nata villeggiatura che ci fos se allora da noi, un’isola in cantevole a poca distanza dalla costa istriana, disabi tata salvi gli ospiti di un grande albergo con cinque bar e di alcune ville; dalla quale era bandito ogni gene re di veicoli a motore, per le stradette di terra battuta non si andava che a piedi o in bicicletta; un eremo avvol to da un silenzio profondo e dai forti aromi dei pini dei lauri dei lentischi. L’albergo aveva una clientela interna zionale, di artisti, principi del sangue e dell’ingegno, ban chieri e industriali, diploma tici, campioni di polo, pro prietari di panfili, di dame corrispondenti a tali catego rie; per bagnarsi bastava ac caparrarsi una delle innume revoli piccole cale serrate dal bosco, ove immergersi in fe lice segreta nudità. «Fantastici furori » In questo ambiente squisi to di belle époque in ritardo di decenni, la notizia che or mai era in corso la seconda guerra mondiale scoppiò inat tesa, paurosa, sconvolgente. (Nessuno s’illudeva che il conflitto restasse limitato, si sapeva che Francia e Inghil terra s’erano fatte paladine della Polonia e avrebbero di chiarato guerra alla Germa nia, come fecero due gior ni più tardi, che già « l’avan zata tedesca in Polonia è tra volgente », scrisse Ciano nel suo diario sotto quella data). E fu subito una precipitosa diaspora degli ospiti stranie ri; e un po’ meno frettolosa degli italiani, appena sep pero che il consiglio dei mi nistri sotto la presidenza di Mussolini aveva annunciato che l’Italia « non avrebbe preso iniziativa alcuna di operazioni militari ». Inattesa e sconvolgente la notizia anche per me, che pure avrei dovuto saperne più degli altri per il mio mestie re. Ero stato i primi di giu gno di quell’anno in Polonia, avevo descritto ai miei lettori i « fantastici furori » di quel popolo generoso e malaccorto. « Ci sentiamo forti contro i tedeschi », mi diceva un giornalista, «se pensano che faremo come i cèchi si sbagliano della grossa ». Ed un giovane architetto declamante in una trattoria notturna fra colleghi e studenti, « signore, prego â— mi ripeteva â—, non solo siamo pronti a fare la guerra ma desideriamo che venga »; e « desideriamo che venga presto, prego, signore », ribadiva una fanciulla dagli occhi fanatici, « non abbia mo paura dei tedeschi, li abbiamo sempre battuti ». E viaggiando una notte da Var savia a Cracovia il conduttore della vettura letti mi por tò in una carrozza di terza classe a parlare con un gruppo di contadini, me ne traduceva le parole, « bisogna farla subito la guerra, se no i tedeschi, che non hanno da mangiare, verranno a farla loro quando gli farà più co modo ». Ma fuori di questi improvvidi e illusi polacchi, viag giando quell’estate in Italia e in Francia, conversando con uo mini politici, con diplomatici, non ricordo di aver trovato alcuno che non fosse fidu cioso che la guerra l’avremmo scapolata; con tutte le richie ste di compensi coloniali dell’Italia alla Francia, con tut te le pretese dei tedeschi di riavere Danzica e di costruire un’autostrada extraterritoriale traverso il corridoio della Pomerania, e nonostante incalzanti azioni di prepoten za, l’entrata dei tedeschi a Praga il 15 marzo, e una set timana più tardi il ratto del territorio lituano di Memel, e l’occupazione dell’Albania da parte nostra il mese di aprile. Il 10 maggio parlando in piazza a Torino Mussolini af fermò: « Non vi sono attual mente in Europa questioni di ampiezza e acutezza tale da giustificare una guerra che da europea diverrebbe per logico sviluppo di eventi universa le ». Ma pochi giorni prima aveva concluso conla Germaniaun’alleanza militare (il 19 marzo aveva detto a Ciano: « E’ impossibile pre sentare in questo momento all’Italia un’alleanza con i te deschi, si rivolterebbero le pietre »): il fatale patto di acciaio, che sulle prime aveva battezzato « patto di sangue ». Ma anche quando il patto fu solennemente firmato il 22 maggio a Berlino, negli am bienti diplomatici si volle con siderarlo un elemento di ot timismo, « soltanto uno spau racchio per tenere a badala Francia ». Ero andato a trovare Cia no i primi di agosto, m’aveva detto che il ministro degli esteri Ribbentrop l’aveva più volte assicurato chela Germaniaaveva bisogno di un lungo periodo di pace, alme no di tre anni: « Non dia ret ta a quella cassandra di Attolico (nostro ambasciatore a Berlino) che mi ciurla nel manico e preannuncia un colpo di testa di Hitler per il 15 agosto ». Avevo incontrato a Vene zia in quegli stessi giorni il ministro della propaganda Goebbels venuto ad assistere alla mostra del cinema, che doveva pur sapere che cosa bollisse in pentola a Berli no; lo vidi due o tre volte, parlava come si fosse all’ini zio di una pace perpetua: in vitò scrittori ed editori a Berlino per l’autunno ad una mostra del libro italiano, con giunta ad un convegno di poesia. Mi disse la mattina dell’11 all’ombra di un capanno al Lido: « Chi avrebbe potuto prevedere qualche anno fa lo svolgimento degli at tuali avvenimenti politici sen za definirli disastrosi? Vedete invece come sono andate le cose, e nulla è successo delle temute catastrofi. Un secolo e mezzo fa la rivoluzione li berale della Francia le dette il predominio sull’Europa dell’Ottocento; oggi la rivoluzio ne delle nazioni totalitarie dà loro il diritto a tale predomi nio per il corrente secolo. Ci fu in Francia per quel rivol gimento un feroce bagno di sangue. Non credo che ce ne sarà bisogno, da noi. E non abbiamo fretta. Anzi più i regimi democratici ci avversano più ci stimolano a migliori cose ». Illusioni francesi Anche nelle Memorie di Raffaele Guariglia, allora no stro ambasciatore a Parigi, si legge che ai princìpi di luglio nessuno in Italia credeva « che un vero e proprio conflitto ge nerale potesse avere luogo a breve scadenza, e tanto me no ad una scadenza di due mesi, come poi avvenne ». Narra Guariglia che soltanto il 23 agosto, quando giunse notizia della firma del patto russo-tedesco che dava liber tà alla Germania, libertà di azione in occidente, e lascia va alla sua mercéla Polonia, solo allora a Parigi si comin ciò a temere il peggio. Ma erano così poco informati, o così poco preoccupati i poli tici francesi che quello stes so 23 agosto il presidente del Consiglio Daladier negava la possibilità di un accordo fra russi e tedeschi per spartirsila Polonia. Alla fine di luglio Mussoli ni, che ormai s’era persuaso che le condizioni dell’esercito e la penuria delle materie prime non gli permettevano assolutamente di entrare in guerra, propose ad Hitler di incontrarsi al Brennero il 4 agosto per studiare il modo di farsi « protagonisti di una pratica pace » convocando una conferenza internazionale a cui partecipassero Italia, Ger mania, Francia, Gran Breta gna, Spagna e Polonia. Insomma, « una seconda Monaco, ma più grande e migliore ». Proprio così. Ciò che gli era riuscito a Monaco il 30 set tembre dell’anno precedente, di fermare Hitler un quarto d’ora prima del termine sta bilito per l’attacco alla Ce coslovacchia, ora vagheggia va di rifarlo; vittima di due errori di giudizio, che la Ger mania non volesse la guerra subito, e che egli, Mussolini, sarebbe stato capace di arre stare all’ultima ora il corso degli avvenimenti con la sua volontà e la sua autorità. (Si vedano le citate Memorie di Guariglia). Volontà implacabile Ma aveva un bell’illudersi Mussolini a proporre incon tri e negoziati; Hitler di me diazione non voleva nemme no sentire parlare; e tanto meno da parte di colui che continuava a celebrare co me il suo grande ed unico amico, ma al quale non per donava di averlo messo nel sacco a Monaco. Salta il convegno del 4 ago sto al Brennero. Ma Mussoli ni non si arrende; spedisce Ciano in Germania per un ultimo tentativo; deve prova re ai tedeschi con documenti alla mano che una guerra in quel momento sarebbe una follia; occorre risolvere le questioni che turbano perico losamente la vita europea co modi a tavolino. Appena arri vato a Salisburgo Ciano sente che presso i tedeschi la vo lontà del combattimento è implacabile. Glielo dice Ribbentrop, freddo, brutale. Glielo conferma Hitler, cordiale, calmo, ma ugualmente reci so. Ciano rientra a Roma disgustato della Germania dei suoi capi, del loro modo di agire. Mussolini borbotta che l’onore gli impone di marciare conla Germania, costi quel lo che costi; e vuole la sua parte di bottino in Croazia e in Dalmazia. Si illude ancora il dittatore in seconda, di aver voce in capitolo. Il 23 agosto presen ta all’ambasciatore britannico più o meno lo stesso piano che voleva sottoporre ad Hitler al mancato incontro del Brenne ro; persuaderela Poloniaa restituire Danzica alla Ger mania, poi trattative, e una grande conferenza della pa ce; e Percy Lorraine è cosi commosso che sviene tra le braccia di Ciano. E continua no ad illudersi Francia ed In ghilterra; e chissà che cosa spera lo stesso Hitler da un accordo conchiuso conla Rus sia lo stesso 23 agosto (e di cui dà notizia a Mussolini solo il 25); il fatto sta che l’a vanzata oltre la frontiera po lacca stabilita per il 25 lu glio la rimanda ad altra da ta; ed offre inopinatamente, anche questo all’insaputa del l’Italia, una specie di alleanza all’Inghilterra, pur che egli possa risolvere rapidamente il problema di Danzica e del corridoio. Il 29 agosto l’In ghilterra, non aliena da un accordo, fa controproposte: tutta la giornata del 30, tutta la giornata del 31 passano in concitati colloqui, scambi di telefonate urgenti e un assiduo fare la spola di messag geri fra Parigi, Londra, Var savia, Berlino; finché l’alto comando militare tedesco rompe gli indugi e ordina l’i nizio delle operazioni milita ri alle 4.45 del mattino se guente. Mussolini, ormai estromes so, ha passato giornate ango sciose, di nervi tesi, di decla mazioni, di propositi bellicosi. Ancora il 31 agosto propone ai governi di Francia e di Gran Bretagna di indire una conferenza per il 5 settembre « per rivedere quelle clausole del trattato di Versailles che turbano la vita europea ». Vi sto che non può giocare alla guerra vera, si sfoga con or dini di richiami alle armi, con requisizioni, con allarmi ae rei, con l’oscuramento della capitale. Tutta la giornata la trascorre nell’attesa d’una ri sposta da Parigi e da Londra. Alle venti e trenta Ciano va a dirgli che Londra ha taglia to le comunicazioni telefoniche. « E‘ la guerra », com menta. « Ad ogni modo â— ag giunge â— domani dichiarerò al consiglio dei ministri che noi non marciamo ». Ma do mani può essere troppo tardi; e se intanto gli anglo-francesi facessero un gesto irreparabi le? D’accordo con il suo ca po Ciano manda a chiamare l’ambasciatore britannico, e fingendo una indiscrezione, « uno scatto del cuore », gli versa nel seno la confidenza che mai e poi mai l’Italia fa rà guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. E al buon Per cy Lorraine si riempiono gli occhi di lacrime. Intanto, ri masto solo, Mussolini dà ordine che siano riaccese le luci nella città. Letto 1775 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||