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STORIA: I MAESTRI: Il Conciliatore

29 Novembre 2011

di Vittore Branca
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 27 ottobre 1969]

Centocinquant’anni fa a Milano in contrada Santa Margherita, nella sede della polizia austriaca, un cortese e gelido funzionario, il conte Villata, segnava il 25 ottobre l’atto di morte del Conciliatore.

Era stato, per poco più di un anno, il periodico del ­l’alba del nostro Romantici ­smo e del nostro Risorgimen ­to, saldati fin d’allora in inti ­ma unità: la voce del più vi ­goroso impegno di rinnova ­mento morale e politico che su piano europeo avesse ri ­suonato nella grigia e pesan ­te atmosfera della Restaura ­zione. « L’Italia non sarà for ­se immemore un giorno dei pochi suoi cittadini che ten ­tarono di conservare viva per tredici mesi la scintilla del patriottismo e della verità » scriveva due giorni dopo al fratello, Silvio Pellico, il re ­dattore responsabile, anzi l’anima del Conciliatore: lo scrittore che per primo, via Milano, aveva insegnato in Italia a fare del giornalismo una scuola di vita civile  e di logica della libertà.
Pro ­prio fra il Pellico e due altri campioni dell’avanguardia let ­teraria era sorta ed era stata appassionatamente discussa l’idea di un pugnace giornale politico-letterario.

Nei suoi taccuini segreti ritraeva allora questi tre moschettieri romantici un irre ­quieto e nostalgico ex ufficia ­le napoleonico, quell’Arrigo Beyle che già si era fatto « milanese » ma non aveva ancora usato lo pseudonimo, Stendhal, che lo renderà fa ­moso: Pellico, « le plus grand poète tragique d’Italie… l’a ­mour est divinement peint dans sa ‘Francesca da Rimi ­ni’ », il geniale e aristocra ­tico Lodovico di Breme. «fi ­gure élancéè et triste qui res- semblait à ces stautues de mar ­bré blanc que l’on trouve en Italie sur les tombeaux du onzième siècle », l’estroso araldo di un singolare roman ­ticismo Pietro Borsieri « un esprit francais plein de vivacité et d’audace ». E notava che nell’assopimento della vi ­ta civile, intellettuale, lette ­raria  programmato dal gover ­no austriaco (« Il faut endor- mir ce peuple trop vif ») il loro progetto era di un’auda ­cia incredibile (« Penser, ici, est un péril: écrire le comble de l’inconséquence »).

Ma poco lontano dal pal ­chetto della Scala dove si riuniva quel gruppetto batta ­gliero, dal piglio alla Sturm und Drang, nella riposta e si ­lente contrada del Morone si affermava allora la stessa esigenza, con un carattere più risolutamente morale. Era il tema centrale delle lunghe discussioni serali in casa Manzoni, rette dal pacato buon senso e dallo spietato ragionare di Alessandro e interrotte, quando le voci del Berchet e del Grossi si inasprivano, dai bonari interventi e dalle offerte di tabacco di donna Giulia Beccaria. La scapiglia ­ta tempestosità del circolo bremiano si apriva però, a poco a poco fra il ’16 e il ’18, auspice il Berchet, alla meditativa coscienza europea del Manzoni. La « conciliazio ­ne » avvenga proprio nel ri ­conoscimento dell’identità dei due principi che erano alla base della comune ansia rinnovatrice: la convinzione del ­l’unità inscindibile della co ­scienza letteraria e della co ­scienza civile, e la consapevo ­lezza della funzione che sul piano nazionale avevano tali idee per la rinascita del po ­polo italiano.

Così, quando il 3 settembre 1818 uscì, sotto la presidenza del Conte Porro e promotore il Confalonieri, il primo numero del Conciliatore (chiamato poi comunemente, per il colore della carta, il « foglio azzurro ») il pubblico avvertì subito, come il Pellico scriveva al Foscolo, che il proposito centrale era quel ­lo di « conciliare… tutti i sin ­ceri amatori del vero » a « la ­vorare anche senza gloria al dirozzamento degli intelletti italiani e più degli animi loro, appassionati sì ma ignobilmente ». Il periodico milanese assumeva il valore di prima realizzazione della nostra rinascita spirituale e civile del secolo diciannove ­simo e nel processo che da ­rà all’Italia dignità di nazio ­ne una.

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Se percorriamo i 119 nu ­meri bisettimanali del Con ­ciliatore ed anche la sua « pa ­tologia » â— cioè gli articoli e i passi soppressi dalla cen ­sura nella sua esasperante persecuzione (e tutto è ora edito nella accurata ristam ­pa del Le Monnier) â— ci ac ­corgiamo che nel « foglio az ­zurro » confluiscono le istan ­ze maturate nella vita spirituale italiana di un secolo, per essere rinnovate e consegnate, quali motivi centrali, alla nostra civiltà contempo ­ranea.

L’eccezionale valore del Conciliatore sta infatti nell’as ­tuto superamento romantico del fiducioso e immobile razionalismo settecentesco per una concezione dinamica della storia, di origine vichiana e di ispirazione manzoniana; nella continua e risentita consapevolezza dell’unità delle espressioni civili, sociali, culturali con l’attività morale e la tradizione religiosa; nella coscienza vigorosamente italiana sollecitata da profondi spiriti universalistici. I  primi due motivi impongono l’esigenza di una cultura e di un’arte profondamente umane e aderenti alla storia: cioè « forme intimamente legate con la nostra religione, col nostro incivilimento e con la nostra patria », che « rovesciassero gli altari della mitologia per aprire i fonti della poesia della nostra religione cristiana ». Più che l’immaginazione cattolica dello Chateaubriand, e di una sua famosissima pagina, qui è la sensibilità cristiana del Manzoni a parlare e ad agire.                           Come parla per bocca del suo fedelissimo Ermes Visconti (« le premier philosophe d’Italie » notava Stendhal) quando afferma, quasi preludendo al romanzo degli umili filatori seta: « l’intuizione di uomini e di casi reali è spettacolo più serio che non fatti chimerici assortiti alla fantasia di un indivi ­duo ».

Erano del resto, queste due, ragioni inscindibili da una articolazione risolutamente europea. Per questo il  Conciliatore, mentre si impone come prima voce nazio ­nale sembra anche essere l’ultima grande affermazione mondiale della nostra cultu ­ra, prima del suo progressi ­vo improvincialirsi.

L’Italia dei conciliatori non è più un’Italia fatta soprat ­tutto di memorie gloriose, un idolo letterario da custodire immune da contaminazioni, secondo quell’ideale classici ­stico di patria che lo stesso dominatore austriaco inco ­raggiava e favoriva. E’ una realtà vivente, seppure anco ­ra in fieri, non un essere sol ­tanto ma un dover essere: un ideale vichianamente dinami ­co in un operante e vivifican ­te contesto europeo. « I po ­poli attuali d’Europa » scri ­ve il Berchet « non formano oggimai altra che una sola famiglia… non sono e non possono essere seriamente ne ­mici soprattutto oggi che non solo la ragione ma il dolore li avvicina e li fa sentire fra ­telli nella nazionalità euro ­pea ».

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Con questa concezione del ­la cultura come impegno ver ­so « risultamenti degni e uti ­li all’umanità », come patri ­monio sociale e spirituale unitario e sopranazionale, il Conciliatore introduceva un costume letterario tutto nuovo e avviava il formarsi di un ambiente civile più ampio, più veramente popolare.

Era proprio quell’ambiente che â— con la significante sensibilità alla provvida sventura che poi circolerà in tante pagine del « foglio azzurro » (e l’abbiamo colta ora nella citazione dal Berchet) â— i conciliatori si proponevano fin dal Programma di promuovere e di costituire sotto l’impulso « di tante lezioni della sventura… che hanno svegliato gli uomini col pungolo del dolore… e insegnati a pensare ». Volevano formare â— e lo formarono di fatto â— quel nuovo pubblico che è elemento indispensabile per una nuova cultura (come ha rilevato Mario Apollonio nel recentissimo e vigoroso II gruppo del Cociliatore, Milano, C.E.L.U.C.): quel pubblico più vasto senza il quale difficilmente sarebbero concepibili i Prontessi Sposi, quel miracolo di romanzo popolare e di letteratura engaée nel senso più alto.

Il Conciliatore proclamava : « Una letteratura che non sia inspirata dallo stato reale del poèpolo che la chiama sua, che non sia intesa da quello, che su quello non operi, cessa di essere una letteratura e divie ­ne ozioso lusso d’ingegno e palestra di retori ».

Gli uomini del Conciliatore centocinquant’anni or sono fu ­rono costretti a tacere. Ma quel giorno stesso riunendosi si proposero, come scrive il Pellico, di non cedere, di « non perire fuori tempo e concentrarsi nel silenzio ». E’ un silenzio da cui molti di loro usciranno due anni dopo per la morte, per l’esilio, per lo Spielberg. Ma è anche il grande, lungo silenzio che al Manzoni « attivista » fu im ­posto dal dramma del ’19-’21, sconvolgente soprattutto per lui che già profondamente aveva sofferto la triste sorte degli ideologi francesi e ave ­va meditato le pagine del Fauriel sulla schiacciante tirannia del nuovo stato poliziesco.

Quel « concentrarsi » tacito e meditativo, rotto nel ’21 dal grido pessimistico di ribellione di Adelchi, approda poi alla pacata visione provviden ­ziale dei Promessi Sposi: la vera risposta alle ansie civili e artistiche dei conciliatori, la piena e alta espressione delle loro aspirazioni letterarie, morali, religiose.


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