STORIA: I MAESTRI: L’alleanza di Crimea12 Marzo 2014 di Manlio Lupinacci Chiuso questo bel libro Il Risorgimento e l’Europa: l’alleanza di Crimea, di Franco Valsecchi, bisogna che confessi di esser stato visitato da una brutta tentazione (magari suadente diabolo attraverso il confronto con certe vicende d’oggi…): quella di rimpiangere che il gioiello dello Stato sabaudo nel decennio cavourriano sia andato a perdersi nella confusione italiana. Bestemmia, forse: ma prima di condannarla leggete questo libro che dopo vent’anni da un’edizione ormai introvabile ritorna, nella collana storica di Vallecchi diretta da Giovanni Spadolini e dallo stesso Valsecchi, a mostrare come quel piccolo regno affrontasse le tempeste della propria storia e della storia europea, intento alla rotta sceltasi. E’ anche un libro molto piacevole, di lettura attraente, tutto smaltato di osserva zioni argute o acute che col gono personaggi e situazioni con garbata intelligenza. Il professor Franco Valsecchi, ordinario di storia nell’univer sità di Roma, sarebbe potuto essere un eccellente Maurois italiano, se non avesse sentito che non occorre romanzare la storia per darle i palpiti e le ansie del romanzo: basta met tersi a scriverla alla luce del la simpatia e della compren sione. Ed è infatti illuminati da questa luce che sfilano nei capitoli del suo libro i perso naggi di quel dramma che fu la crisi d’Oriente a metà del secolo, quasi a imporre a que sto la scelta fra la direzione segnata dal Congresso di Vien na e gli oscuri e imprecisi sentieri dell’invito rinnovato re. Quale situazione e quali uomini a sostenerne il peso, con dietro i loro Stati dalle tradizioni pesanti, i loro po poli dalle aspirazioni mobi li e inquiete: ecco Napoleo ne III, che più che un ma trimonio sembra aver stretto con la Francia una liaison estrosa, non senza tuttavia che in lei, nella Francia, agli slan ci passionali inebriati di glo ria non si alternino le valutazioni casalinghe sui bene fìci della pace e dell’ordine; ecco Francesco Giuseppe, un Francesco Giuseppe la cui de stra è ancora calda di quella dello Schwarzenberg che sor reggendolo con la sua stretta energica lo ha guidato fuori dei disastri del ’48; dietro a lui una monarchia asburgica che a guardarla sulla carta geografica e sulle statistiche apparirebbe maestosa e poten te se non si sapesse che metà di quei dati sono forniti dal l’Ungheria ancora lontana dal la pacificazione dell’Ausgleich di Deàk; la Gran Bretagna della Regina Vittoria… e qui, anglomane quanto Cavour, mi inchino come davanti a un tempio: l’Inghilterra vittoria na sta all’Europa come la re pubblica di Venezia al tem po del suo fulgore stava al l’Italia; anche nella crisi tor mentata che sboccherà nella guerra di Crimea, guardate come i suoi stessi errori, le sue stesse incertezze sappiano conservare uno stile disinvol to, che traduce l’antica, orgo gliosa convinzione che tanto, comunque si svolgano gli av venimenti, il successo finale sarà con lei : « England cannot be defeated ». Dall’altro lato, lo zar e una Russia altrettanto misteriosa come quella di oggi; o forse meno misteriosa almeno per quel che riguarda i siici ca pi, collegati con quelli occi dentali dalla affinità aristo cratica e dalla lingua france se, ma che diventa nebbiosa appena si tenti di apprezzar ne le forze vere e la loro proporzione alle ambizioni che le si sospettano. La figura dello zar è in fondo pateti ca, ultimo campione della Santa Alleanza, ingenuo Carlomagno del vecchio ordine che si vede abbandonato più o meno decorosamente dai so vrani che ne credeva i pala dini più fidi; e che dopo aver mandato a Costantinopoli am basciatori come missi domini ci, non riuscirà con tutta la sterminata popolazione di sud diti ai suoi cenni a difendere una fortezza del suo territo rio contro una composita e disordinata spedizione venuta a assalirlo dal mare.
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Fra questi giganti, il regno di Sardegna: non solo piccolo, ma antipatico ai vicini dai Con poco più di un lustro di vita lo statuto aveva ac quistato, innestandovisi, tutta l’autorità morale e il presti gio di quel « cumulo di fatti, di tradizioni, di memorie ono rate » che facevano la gran dezza, la dignità, la coesione « nazionale » del regno di Sar degna intorno alla dinastia millenaria. A seguire lo svol gimento della politica ester na e interna che condurrà al l’intervento in Crimea non si avverte nessuna di quelle ti midezze o batticuori che in ogni altro paese di altrettan to recente e fondamentale tra sformazione sarebbero legitti mi in così spericolata avven tura. Se vi sono titubanze non nascono mai da sfiducia nella propria solidità interna: ma se mai da fierezza di ciò che si è e che si è stati per ottocento anni: una fierezza che non consente di far fare al re sabaudo con l’Inghil terra di Vittoria la parte di quei principi tedeschi che ven devano soldati a quella di Giorgio III, ed esige, se si deve combattere, che si com batta da alleati; starei per dire: da secundi inter pares. Oppure le titubanze nascono dalla preoccupazione di uno sforzo superiore alle risorse o alle necessità di un futuro che potrebbe essere minaccio so sul Ticino. O dalla ripu gnanza a trovarsi non con le sole Francia e Inghilterra, ma anche con l’Austria dalla stes sa parte del conflitto orien tale. Queste le perplessità di fronte alla politica cavourriana: ebbene, si veda come que ste perplessità, o ripulse, o ostilità si versino limpidamen te nelle istituzioni parlamen tari, con quale dignità di ac cento le passioni adottano il linguaggio della moderazione, che è la lingua naturale della libertà; e poi si cerchi in tut to il resto dell’Europa un’al tra capitale che non sia To rino dove si parli, si scriva, si discuta come a Torino, e si dica se l’aula di palazzo Carignano non superi la stes sa aula di Westminster per il semplice fatto di eguagliarla senza aver avuto bisogno dei secoli per imparare. Non vi è, nel libro di Fran co Valsecchi, che un capitolo solo, l’ultimo, dedicato alla discussione parlamentare; e certo i capitoli precedenti, tut ti densi di negoziati, di intri ghi, magistralmente seguiti e illustrati, con scene che pas sano dalle Tuileries a Saint-James, e a Vienna, e a Pietroburgo, e lasciano a volte intravedere il Bosforo e il Mar Nero, potrebbero oppri mere quest’ultimo, schiacciar lo sotto il peso di quanto in essi è stato ormai deciso. E invece no: lo illuminano e se ne illuminano, in un giuoco magico di riflessi. Ha ragione Franco Valsecchi: questo epi sodio del Risorgimento, come tutto il Risorgimento, non è che un elemento della grande vicenda europea; ma è soltan to nell’accento piemontese dei ministri e dei deputati di pa lazzo Carignano che questa vicenda europea mantiene il suo legame con il senso della storia europea, se il senso di questa storia, almeno in quel tempo, era nel trionfo della idea liberale. *** Come ho scritto sopra, que sto libro ritorna dopo vent’an ni in una edizione nuova e accresciuta. Non so che cosa abbia spinto l’autore a que sta seconda pubblicazione: mi piace però supporre che vi sia stato anche un voler cor rere alla riscossa della verità storica non più soltanto, co me per la prima edizione, per ricollocare il Risorgimento nel la giusta luce di avvenimento europeo: ma forse più anco ra per restituire al decennio cavourriano il suo vero aspet to, a confutazione di tutte le interpretazioni che in questo ventennio si sono susseguite impiccolendolo nelle angustie dell’interesse dinastico, delle preoccupazioni borghesi, del le spinte economiche, di gat topardesche astuzie volte a mutar tutto perché tutto resti tale e quale. Quello che è sicuro, è che da queste pagine spira una gran ventata a spazzar via quelle meschinità partigiane e classiste: se il Risorgimento non fu che una delle tante vicende intrecciatesi nel gro viglio della storia europea di quel secolo, sarà sempre pos sibile riconoscerlo e seguirlo dal luccichio che vi mettono la nobiltà e l’abnegazione ispi ratrici delle scelte di ognuno. Letto 1702 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||