STORIA: I MAESTRI: L’impero romano. Lo uccisero le legioni14 Agosto 2014 di Nicola P. Parise EDWARD GIBBON Dopo il brevissimo soggiorno oxo niense e la sua conversione al catto licesimo, Edward Gibbon viene invia to sedicenne (era nato a Putneyon-Thames il 18 maggio 1737)a comple tare i propri studi a Losanna. Qui ri mane cinque anni dal giugno 1753 all’agosto 1758: cinque anni importanti per la sua formazione: legge e, medita Montesquieu; ritorna al protestantesi mo; nel 1757 conosce Voltaire; si ap profondisce nello studio del latino e del greco; apprende correttamente il francese. In breve si educa al gusto francese ed intende l’influsso degli storici filo sofici. Parallela, però, sorge in lui l’esi genza di accogliere i risultati di quel la cultura umanistica erudita o anti quaria, contro cui s’appuntavano gli attacchi e l’ironia dei filosofi. Tornato a Londra, Gibbon scrive nel 1759 epubblica nel 1761 l’Essai sur l’étude de la littérature,un saggio, che, iniziato a Losanna nel 1758, di mostra apertamente « quanto avanza to egli fosse sulla via della storia filo sofica combinata con una certa pro pensione per gli studi antiquari » (Momigliano). D’Alembert, che nel Discours préliminaire à l’Encyclopédie (1751) aveva espressamente avversato la erudizione, vi è criticato. Il Dictionnaire historique et critique(1695-97) di Bayle vi è, invece, esaltato come « un monumento perenne della forza e della fecondità dell’erudizione ac compagnata col genio ». Nel 1763 Gibbon è nuovamente in Europa. Dal gennaio al maggio è a Parigi, in contatto con D’Alembert e Diderot. Dimora per la seconda volta a Losanna fino all’aprile 1764. Quindi è in Italia per un viaggio di un anno, fino al maggio 1765, attraverso Torino, Milano, Genova, Lucca, Firenze, Ro ma, Napoli, Venezia, Verona. Il 15 ottobre 1764 i monaci canta vano il vespro nel tempio di Giove sul Campidoglio. Fu una commozione improvvisa e soprattutto polemica, dalla quale doveva nascere la History of the decline and fall of the Roman empire. Gibbon aveva cercato a lungo il sog getto per un suo studio storico e nel l’autobiografia si presenta come « na turalmente appassionato alla cono scenza storica » (Momigliano). Dopo l‘Essaied ancora durante le brevi pa rentesi della sua vita militare, dal maggio 1760 al dicembre 1762, pensa a « vari soggetti per una composizione storica »: alla spedizione di Carlo VIII in Italia, alla crociata di Riccardo I, alle guerre dei baroni, alla storia di Edoardo di Galles (il « principe ne ro »), alla vita di sir Walter Raleigh (Autobiography, a cura di J. B. Bury, Oxford 1931, p.118). Ma, pur quando aveva in mente tali progetti, i suoi concreti interessi si volgevano sempre all’antico. Già nell’Essaiaveva considerato il problema della decadenza di Roma; ma a defi nir meglio il suo ambito di ricerca interveniva il secondo periodo di Lo sanna. Nel dicembre 1763 rifletteva sul De reditudi Rutilio Namaziano. Più propriamente la risentita influenza di Machiavelli e la rinnovata lettura di Montesquieu gli riproponevano, a fianco del tema della formazione del le moderne nazioni europee dal Me dioevo, quello della fine del mondo antico e della sua dissoluzione nel Medioevo. Quel Medioevo, che Voltaire aveva sì definito come l’età della rozzezza e della superstizione, ma che nella Hi story of Englanddi Hume (1762) era sentito in tutta la complessità del suo « spirito » (romantico, bigotto, super stizioso) e di cui Robertson traccerà in seguito, nella magistrale introdu zione alla History of the emperor Charles V(1769), un ampio panorama retrospettivo. Da ultimo, L’Histoire du Danemark,che Mallet aveva comincia to a pubblicare nel 1758, lo portò nel 1764 a considerare le ragioni e le con seguenze del diffondersi del cristia nesimo fra le popolazioni germaniche. La Storia della decadenza e caduta dell’impero romanocominciò ad ap parire a Londra nel 1776 presso Straham and Cadell. Nessuna originalità nel campo delle idee filosofiche la ca ratterizzava. La sua composizione era guidata dalle conclusioni precedenti di Montesquieu e di Voltaire. Montesquieu aveva mostrato nelle sue Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence(1734) che il problema del la dissoluzione dell’impero costituiva il prosieguo dell’altro problema della derivazione dell’impero dalla repub blica: il tutto necessariamente, secon do una linea determinata di sviluppo, in cui gli stessi elementi più decisa mente volontaristici cedevano davanti ad un’interpretazione organica e na turalistica. La fine della repubblica viene additata nell’introduzione di un esercito mercenario, sempre più in capace di difendere lo Stato. L’autori tà militare spezza l’equilibrio dei po teri ed annienta la repubblica; e quan do i successori degli Antonini abusa no del potere delle armi la fine del l’impero è segnata. Così, Gibbon poteva affermare nel le sue « osservazioni generali sulla ca duta dell’impero romano d’Occidente », che chiudono il XXXVIII capito lo della Storia: « La nascita d’una città, che crebbe al punto da formare un impero, può me ritare come un prodigio singolare la me ditazione d’una mente filosofica. Ma la decadenza di Roma fu il naturale ed ine vitabile effetto della sua smisurata gran dezza. La prosperità maturò il germe della caduta, le cause della distruzione si moltiplicarono coll’estendersi delle conquiste e appena il tempo, o il caso, ne rimossero gli artificiali sostegni, quel la stupenda mole cedette alla pressione del suo proprio peso. La storia della sua rovina è semplice e ovvia, e anzi ché indagare perché l’impero romano fu distrutto, dovremmo piuttosto mera vigliarci che sia durato così a lungo. Le vittoriose legioni, che in guerre lontane acquistarono i vizi degli stranieri e dei mercenari, prima oppressero la libertà dello Stato, poiviolarono la maestà del la porpora ». Alla stessa maniera, il disegno della storia di Roma, col quale termina nel VII capitolo il paragrafo sul regno di Filippo l’Arabo, risente tutto di Mon tesquieu. E certo a Montesquieu si de ve, ancora, se lo storico inglese, sep pur con orizzonti e su piani diversi, abbia cominciato la narrazione con un capitolo sulla forza militare del l’impero e sia stato successivamente attento ai mutamenti della sua orga nizzazione. Montesquieu aveva considerato la decadenza dell’impero fino alla con quista di Costantinopoli da parte di Maometto II (29 maggio 1453). L’esem pio fu decisivo per Gibbon: il LXVIII capitolo della Storiaè dedicato all’as sedio ed alla caduta della città, alla schiavitù dei Greci, alla fine della parte orientale dell’impero. In Montesquieu la continuità fra Roma e Bisanzio è pienamente avver tita, ed è chiara altresì la continuità del tramonto dell’impero. In questo senso, il progresso della religione cri stianae la completa cristianizzazione dell’impero non sono che’ un elemen to della decadenza, se non una forma nuova di essa. Ma è con Voltaire, nell’Essai sur les moeurs et l’ésprit des nations(pubblicato definitivamente nel 1769), che la contrapposizione di cristianesimo ed impero viene asso lutamente determinata. La vera de cadenza ha inizio con Costantino, e la diffusione della fede cristiana ne rap presenta il motivo fondamentale. Gli imperatori tenevano ormai unicamen te concili. Il cristianesimo apriva le porte del cielo, ma rovinava l’impero. Le conclusioni di Voltaire non aggiun gono nulla a quelle di Montesquieu; ma, senza Voltaire, la certezza che ha Gibbon, allorché espone « l’urto tra cristianesimo e paganesimo ed il pe netrare del cristianesimo nel corpo già putrido dell’impero » (Meinecke), non può essere completamente capita. Ma, se la derivazione di Gibbon da gli illuministi francesi è certa, certi sono anche i punti, « sui quali non po teva essere d’accordo » con loro. Alle critiche ed agli apprezzamenti già ri feriti dell ‘Essaisi affiancarono in se guito le annotazioni dei diari a propo sito di Voltaire, di Mably, di Erasmo da Rotterdam. L’atteggiamento di Ro bertson, critico nei confronti dei phi- losophes,non poteva restare senza influenza su Gibbon, che avvertiva d’altronde l’importanza delle scoperte di Ercolano e delle necropoli etrusche e, a Losanna, preparava lungamente il proprio viaggio in Italia. Gibbon, insomma, era preoccupato (a differenza degli storici filosofici) del problema di « mantenere il rigore della ricerca storica » e tentare di « unire insieme il filosofo e l’antiqua rio » (Momigliano). Anche quando il discorso si fa più scopertamente « il luminista », la narrazione è sempre più attenta, più approfondita nella determinazione del soggetto. In verità, la « combinazione » del fi losofo e dell’antiquario, alla quale Gib bon tendeva e che caratterizzava (ma con impegni affatto diversi) la Geschichte der Kunst des Altertumsdi Winckelmann (1764), costituisce la novità più importante della sua Sto ria,e per essa la tradizione umanisti ca, non « sommersa sotto il peso della storia filosofica » (Momigliano), passò nel successivo metodo storico otto centesco. Ma un altro segno della sto riografia romantica trova le sue radi ci in quella sintesi compiuta da Gibbon: il dissidio, cioè, fra la narrazio ne dei singoli fatti e la ricostruzione del processo storico generale. Dissi dio, che richiama direttamente Her der e Ranke e che poteva allora giu stificare le annotazioni di Spedalieri. il tema della decadenza e della ca duta dell’impero romano comportava di per sé l’interesse verso le società, che da essa vennero formandosi. Il quadro della narrazione poteva così, estendersi fino alla Cina ed all’Arabia e l’opera diventare un’ampia « rasse gna di popoli guardata dall’alto del Campidoglio ». Non solo, ma l’appro- fondimento, e meglio la disposizione della materia storica si dimostrava tale che non fosse sufficiente « accen nare agli influssi deleteri dei popoli stranieri sulle sorti di Roma », e ri chiedeva che ognuno di essi fosse rap presentato « con la sua individualità e col suo destino » (Meinecke). Di fatto il punto essenziale della Storia di Gibbon era il tramonto della cultura antica, la trasformazione, cioè, politica e religiosa, per cui dall’impe ro di Roma poté poi svilupparsi l’im pero cristiano. Con Voltaire lo storico inglese ve deva nella conversione di Costantino il momento cruciale della storia im periale romana, allorché il « lento e segreto veleno », che agiva nelle vi scere dell’impero, ebbe accelerato il suo effetto. Ma, in un accertamento dei fatti « molto più serio di quello di Voltaire », Gibbon considerò la « rivo luzione di Costantino » intimamente connessa con le cinque cause, che fa vorirono il rapido sviluppo e l’affer mazione della chiesa di Cristo (zelo inflessibile ed intollerante, dottrina dell’immortalità dell’anima, poteri tau maturgici della Chiesa primitiva, pu rezza ed austerità dei primi cristiani, unità e disciplina nell’azione) e la presentò come un « corollario al pro blema delle persecuzioni », durante le quali maggiormente aveva rifulso la « forza organizzativa del cristianesi mo » (Mazzarino). Questa connessione, però, del pro blema costantiniano con quello delle persecuzioni rimandava da ultimo ad un’esigenza più vasta, a quella, cioè, di considerare unite, non separate, « la progressiva vittoria del cristia nesimo e la progressiva crisi del mon do antico », abbattendo qualsivoglia barriera esistente fra la storia, la po litica e la storia ecclesiastica. Un’esi genza, soddisfatta appena dalle ricer che del secolo seguente e soprattutto assolutamente nuova, nei confronti stessi di quegli storici della statura di un Sarpi, di un Tillemont, di un Giannone, che più si erano volti alla storia della Chiesa e che Gibbon ammirava e studiava. Nel 1788 i sei volumi della Storia di Gibbon erano ormai completati. Lo storico vi aveva lavorato continuamente, nonostante il suo incarico par lamentare (1774-1780) e durante la sua nuova permanenza a Losanna (dal 1783). A mano a mano che vedeva la luce, l’opera suscitava approvazioni e polemiche. Robertson, Ferguson, Hume vi consentirono immediatamente. Ma Hume, pur fra le sue congratula zioni, avvertiva l’autore che di certo le sue tesi sulla religione cristiana non avrebbero mancato di sollevare con tese. Letto 1132 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||