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Storia: I MAESTRI: Mussolini e le sue metamorfosi

29 Ottobre 2010

di Mario Cervi
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 19 febbraio 1970]

Ancora una biografia di Mussolini: e perciò, implicita ­mente, ancora una storia del fascismo. L’ha scritta Gaspare Giudice (Mussolini, UTET, pp. 708. L. 8.500) che però non ripercorre, e gliene dobbiamo essere grati, la strada seguita da altri storici: la sua non è una ricostruzione e rielaborazione accurata, paziente, im ­ponente, del materiale docu ­mentario, alla De Felice; e nemmeno è una svelta e bril ­lante volgarizzazione di ele ­menti noti. Giudice ha proce ­duto secondo una traccia cro ­nologica, in sostanza ha illu ­minato tutti gli avvenimenti fondamentali dell’avventura mussoliniana. Ma ha osserva ­to il suo personaggio con l’oc ­chio dello psicologo, o dello psicanalista, piuttosto che con quello dello storico. Le vicen ­de italiane, e qualche volta le vicende europee o mondiali, vengono così ricollegate alle inquietudini e ai complessi dell’uomo che aveva in pugno l’Italia.

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La personalizzazione di eventi che hanno molte e complesse radici è senza dub ­bio discutibile: portata allo estremo, fa discendere le mag ­giori iatture dell’umanità â— l’ipotesi è recente â— dalle di ­sfunzioni gastriche o nervose o cardiache di questo o quel protagonista di un determina ­to periodo storico. Ma altret ­tanto arbitrario è il voler pre ­scindere dall’apporto indivi ­duale, e rappresentare la sto ­ria soltanto come uno scontro di grandi forze, un meccani ­smo gigantesco e irresistibile che travolge anche un Napo ­leone, o un Giulio Cesare, o un Roosevelt, o un Lenin. La impostazione di Giudice ha l’indubbio merito di cogliere, nell’azione e nella parole del Duce, un sottofondo poco esplorato: l’insicurezza che si nascondeva dietro l’ostenta ­zione di forza, l’irrazionale mascherato con l’abuso di una presunta e falsa logica.

Sì potrebbe obbiettare che l’indagine di Giudice sul com ­portamento mussoliniano è ri ­proponibile per molti altri au ­tocrati e dittatori: tutti insi ­diati da un processo di dege ­nerazione, che già aveva avu ­to, poco meno di duemila an ­ni or sono, una esemplifica ­zione quasi perfetta nelle vite di alcuni Cesari (Nerone e Ti ­berio, tanto per citarne un paio). Verissimo. Ma la vici ­nanza del « caso » di Musso ­lini, e soprattutto la assai di ­versa complessità di un rap ­porto moderno tra il dittato ­re, i mezzi di propaganda, gli strumenti del potere, e la fol ­la, collocano gli antichi temi in una cornice inedita.

La crisi del delitto Matteot ­ti doveva occupare, e infatti occupa, in un libro di questo tipo, un posto di grandissimo rilievo: essa diede all’oppres ­sore, non ancora dittatore, la frustata della paura, cui suc ­cedette, insieme a una sorta di ebrezza per lo scampato pe ­ricolo, anche l’affannoso sfor ­zo di eliminare ogni opposi ­zione. Un « trauma violento » che « segnò il probabile sboc ­co di una latente nevrosi ».

*

« Per quanto anche prima (Mussolini) fosse continua ­mente ridotto all’isolamento, era stato tuttavia capace di una interna reazione e s’era a più riprese riavvicinato a una società e a una storia che si evolvevano verso forme di tipo democratico, pluralistico, socialistico… adesso è la nuova epoca della vita di Mussolini. Si era operato un salto quali ­tativo nell’interno della sua coscienza, un salto chiaramen ­te regressivo con l’abolizione dell’io sociale e con la sostitu ­zione di questo con una proie ­zione di tensioni fondamenta ­li, anche se mascherate anco ­ra con varia sublimazione. Mussolini si era legato in esclusiva definitivamente con se stesso, senza molti margini di comunicazione esterna. La situazione narcisistica si sta ­bilizzava. Gli altri, la società italiana (la folla italiana), si evolveva verso l’identificazio ­ne con quella immagine ». Ed ecco il Mussolini che tut ­to accentra, che nella prima ­vera del 1929 è titolare di otto dicasteri, che identifica cioè il potere dello Stato con la sua persona, ma ancora non ha assunto dimensioni miti ­che. Si vanta di essere un buon funzionario, un super-funzionario che « ha firmato in sei anni duemila leggi » che « amministra il patrimo ­nio rurale degli italiani, libe ­ra sorgenti e attiva la flora dei monti, àncora la lira a una quota parsimoniosa, si muove per mettere in pace la doppia anima cattolica e lai ­ca degli italiani ». « Il suo vo ­cabolario è ancora adeguato a ciascun avvenimento, effica ­ce ma non profetico. Mussoli ­ni non è ancora costretto a impegnarsi titanicamente nel vuoto ».

Lo sarà presto. La metamor ­fosi è rapida. Lascia le sedi ministeriali di eredità libera ­le, occupa palazzo Venezia per il lavoro, villa Torlonia come sontuosa dimora priva ­ta. Il suo ufficio è immenso. La luce vi rimane accesa an ­che quando l’insonne se n’è andato. « Il linguaggio dei se ­gni mussoliniani â— osserva Giudice â— era una rielabora ­zione di reperti dei vari stra ­ti linguistici archeologici. Ave ­va tentato una mimesi napo ­leonica, e aveva parlato in ­fatti del 1926 come di un ‘an ­no napoleonico’: ma nel 1932 Napoleone era per lui già for ­se un modello meno utile, egli attingeva ormai con costanza alla fabbrica romana… Tra templi, fori, obelischi e archi di trionfo romani trovava un suggerimento immediato. Una mattina del 1934 uscì da Villa Torlonia trasformato in un pertinente animale totemico di estrazione archeologica: una perfetta antica testa ro ­mana dal cranio raso, dal col ­lo potente ».

Questo preteso erede di una civiltà che ebbe la sua mag ­gior gloria nel diritto, e la sua caratteristica più ammi ­revole nel culto della raziona ­lità, era invece un edificatore della parola. La parola che diventa fatto: un procedimen ­to non nuovo, anzi praticato da molti popoli (si pensi agli arabi, e ai loro atteggiamenti di fronte alla cruda realtà) ma da lui portato al parossi ­smo. Vaneggiava di una splen ­dida razza italiana, di una nazione guerriera che anelava solo alla prova del sangue. Si avventurava in profezie ormai malinconiche, più che assur ­de: « Nel 1950 l’Europa avrà le rughe, sarà decrepita. L’uni ­co paese di giovani sarà l’Ita ­lia ». « Se si vorrà imparare come si sostituiscono in po ­chi minuti i ponti ferroviari bisognerà venire in Italia ». Mussolini « aveva costruito un nuovo reale modo di essere politico e questo non esisteva al di fuori delle false verità, o delle verità fittiziamente co ­struite. E’ difficile trovare una frase specificamente mussoli ­niana che possa resistere a una rigorosa analisi linguisti ­ca o che sappia sopportare una buona verifica empirica ».

Infatti, quando alla verifi ­ca empirica si arrivò, e fu la guerra mondiale, il mondo delle parole mussoliniane crol ­lò, crollò l’idolo. E solo nelle ore ultime e buie, alla vigilia di piazzale Loreto, la masche ­ra sparirà per rivelare di nuo ­vo il volto: Mussolini recupe ­rerà una sua sepolta, elemen ­tare umanità.

 


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Bart