STORIA: I MAESTRI: Napoleone pubblicitario di se stesso19 Maggio 2015 di Lorenzo Bocchi Parigi, giugno. L’editore Robert Laffont ha pubblicato la traduzione del fortunato libro di Dino Biondi La fabbrica del Duce. Era dif ficile trovare un equivalente francese di questo titolo che riassume i cent’anni impiegati dalla propaganda per « costrui re » Mussolini. L’ostacolo è sta to superato con disinvoltura. « Viva il Duce! Comment se fait un dictateur » si legge sulla copertina del nuovo volume. Jean-Francois Revel, l’autore del tanto discusso Pour l’Italie, ha scritto al riguardo: «Non avevo mai letto un libro che ricostruisse a tal punto l’atmo sfera eroicomica, un po’ folle, misteriosamente buffa e nello stesso tempo grandiosa dell’era mussoliniana. Ciò che colpisce nel libro di Biondi è l’abbon danza di documenti, di citazio ni, di discorsi, di articoli: c’è da chiedersi come tutto un popolo abbia potuto farsi stre gare e considerare sempre su blimi anche le manifestazioni più grottesche ». La mostra allestita ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi sulla leggenda napoleonica avrebbe potuto benissimo inti tolarsi â— fatte le debite distin zioni tra i due personaggi â— La fabbrica di Napoleone. La leggenda del petit caporal, qua le Napoleone stesso la concepì e la organizzò e quale fu per petuata dai suoi ammiratori, è infatti ricostituita attraverso documenti di ogni genere, stam pe, cimeli, quadri, manoscritti, libri, oggetti. I più ne fanno risalire l’origine alla partenza dell’imperatore per Sant’Elena o alla pubblicazione del Memoriale di Las Cases. Ma essa cominciò a prendere forma sin da quando Bonaparte era impegnato nella campagna d’Italia. Precisamente dal 15 novembre 1796, data della battaglia d’Arcole. Fu Angereau a racco gliere la bandiera e a piantarla all’altra estremità del ponte. Ma Bonaparte fece eliminare Angereau da tutte le stampe concernenti quell’episodio e finì per considerare Arcole una del le sue più grandi vittorie, « un canto dell’Iliade ». Il grande stratega e l’irresi stibile trascinatore di uomini era anche un abile regista. Ad Aiaccio i compagni lo avevano soprannominato Rabulione, cioè « quello che si immischia di tutto ». Il difetto doveva diven tare una straordinaria qualità. Seppe sfruttare in pieno tutti gli strumenti d’informazione. A poco a poco si assicurò il con trollo quasi totale della stam pa francese, ridotta nel 1800 a tredici giornali che prende vano tutti il « là » dall’ufficio so Moniteur Universal. Orga nizzò una rigorosa censura sui libri e sul teatro. Non amava i giornalisti ma era cosciente della loro irresistibile potenza. In Italia, in Egitto, e più tardi in Germania e in Austria creò, non appena arrivato, dei gior nali di cui faceva spedire co pia in Francia, per sostenere il morale dei francesi, a volte per ingannare i nemici, ma soprattutto al fine di plasmare, per il presente e per l’avvenire, l’immagine che la gente doveva farsi di lui. Il grande regista si rese su bito conto anche dell’importan za dell’immagine. Sin dalla campagna d’Italia diede un nuo vo impulso al servizio del Dépòt de la Guerre che riuniva tutti i documenti e le testimo nianze, e che impartiva preci se istruzioni, persino agli acquarellisti circa il numero di centimetri da riservare, nelle loro opere, ad ogni personag gio. Dal 1800 G. P. Bagetti era incaricato di disegnare sul po sto le battaglie del Primo Con sole e poi Imperatore. I nume rosissimi ritratti di Napoleone (soltanto dal 1800 al 1812 ne furono esposti più di ottanta al Salon) vennero tutti esegui ti secondo precise disposizioni. Nella prima sala dell’esposizio ne c’è quello dipinto nel 1797 dal milanese Appiani che sarà poi chiamato a Parigi, nomi nato peintre de l’Empereur e ricordato nel testamento di Sant’Elena. Napoleone comprese l’impor tanza della rapidità dell’infor mazione. Ordinò la stampa e la pubblicazione delle incisioni immediatamente dopo la divulgazione della notizia. Alla mostra parigina vediamo una in cisione che rappresenta il re di Roma vegliato da un’aquila. Fu messa in circolazione a Pa rigi il 23 marzo 1811, tre giorni dopo la nascita dell’Aiglon. L’in cisore evidentemente l’aveva già preparata in attesa del fausto evento. Fu terminata, però, completamente il matti no del 20, quando si seppe che l’imperatrice Maria Luisa ave va dato alla luce un maschio (se fosse stata una femmina al posto del re di Roma avrem mo avuto la principessa di Ve nezia). A volte la propaganda precedeva l’avvenimento, come è dimostrato dalla stampa che rappresenta l’ingresso di Na poleone a Mosca. Fu messa in circolazione due giorni dopo la conquista della città. Quel 16 settembre 1812 Parigi non po teva ancora conoscere la gran de notizia. Le stampe popolari celebra vano le grandi manifestazioni imperiali ma erano soprattutto destinate a consolidare la leggenda del conquistatore, del l’uomo di Stato, del riforma tore, del sovrano semplice, de mocratico, adorato dai più umi li, dotato di una prodigiosa po tenza di lavoro: Napoleone e la madre del granatiere, Na poleone e la sentinella addor mentata, Napoleone che ha il diritto di fermare il sole, la festa di San Napoleone istituita nel 1805, un Saint Néapoljs trovato nei martirologio… Dopo Waterloo, e una volta conosciuta la notizia della par tenza dell’imperatore, la leg genda, radicata nel cuore dei francesi, diede i suoi frutti. Cominciarono a circolare, spe cialmente nelle campagne, le voci più sorprendenti. Napoleo ne non è partito. Aspetta la sua ora. E’ riuscito ad evadere. Sta per tornare. Viene dagli Stati Uniti con una flotta ame ricana. Arriva dal Piemonte con il principe Eugenio. Gli alleati che avevano occupato la Fran cia e i governi francesi che fra ternizzavano con loro contribui rono senza volerlo alla diffusio ne della nuova religione. L’ese cuzione di Ney, gli assassini di Brune e di La Bédoyère le procurarono i suoi martiri. Le rivincite che si presero i monarchici provocarono amari risentimenti. Il patriottismo de luso si nutriva sempre più di ricordi napoleonici. Gli oggetti « sediziosi » â— stampe, busti, medaglioni, aquilotti, pipe, bic chieri, piatti di ispirazione na poleonica â— pullulavano anche se i mercanti e i loro clienti rischiavano la prigione. La no tizia della morte di Napoleone nel 1821 (in una bacheca c’è la traduzione dell’ode manzonia na Cinque maggio pubblicata in quello stesso anno a Parigi) non cambiò nulla. «Dopo il despotismo della sua persona – si lamentò il solito Chateaubriand – dobbiamo subire ancora il dispotismo della sua memoria ». Il culto diventò delirio, facendo di Napoleone l’e rede della rivoluzione, colui che ne aveva salvaguardato i prin cipi, aveva diffuso in tutta l’Eu ropa l’idea della libertà, aveva spezzato le barriere sociali, ave va riportato la concordia tra i francesi. Tutti i poeti romantici, ec cettuato Lamartine, furono sen sibili al mito, al quale i versi di Béranger avevano dato nuovo vigore in occasione della morte del re di Roma, dell’inaugura zione dell’Arco di Trionfo, del ritorno delle ceneri da Sant’Ele na, dell’avvento del secondo im pero e del risveglio nazionali sta della fine del XIX secolo. L’esposizione arriva fino alle ombre cinesi sull’epopea napo leonica presentate da Caran d’Ache nel 1888 allo Chat Noir, al manifesto inviato nel 1895 da Toulouse-Lautrec al concor so di Nuova York per il lancio del « Napoleone » di W. Milligan Sloane, al trionfo di Sarah Bernhardt ne L’Aiglon di Rostand, nel 1900. Avrebbe potuto benissimo concludersi con la fo tografia scattata l’altra domeni ca a Epernay, con la folla in coda per ammirare il cappello di Napoleone acquistato da una marca di champagne alla ven dita all’asta di cimeli svoltasi il mese scorso sul France du rante la « crociera imperiale », una coda simile a quella che ogni mattina si forma sulla Piazza Rossa di Mosca, davanti al mausoleo di Lenin. Letto 1550 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||