Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

STORIA: I MAESTRI: Perché Leningrado non si arrese

19 Gennaio 2017

di Enzo Passanisi
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 8 gennaio 1970]

Quasi un milione di lapidi nel cimitero di Leningra ­do ricordano una delle più spaventose tragedie del ­la seconda guerra mondiale: l’assedio delle armate hitle ­riane alla città da cui spriz ­zò la prima scintilla della rivoluzione bolscevica. E’ sta ­to il più lungo assedio del ­l’era moderna, novecento gior ­ni di sofferenze indicibili, di fame, di stragi, di gloria. Una lotta per la vita che accomunava i soldati dell’Ar ­mata rossa con due milioni e mezzo di abitanti della cit ­tà; un simbolo della incrol ­labile resistenza del popolo russo di fronte all’aggressio ­ne nazista.

Per molti anni tuttavia â— gli anni cupi della dittatu ­ra staliniana, e anche dopo â— la storia dell’assedio di Leningrado è stata coperta da un’impenetrabile cortina di silenzio stesa implacabil ­mente dal vertice. Stalingra ­do, la battaglia davanti a Mosca, le travolgenti avan ­zate verso il cuore della Ger ­mania, sono le pagine sulle quali punta l’agiografia uffi ­ciale: su Leningrado â— sul dramma della città, dei suoi abitanti, dei suoi soldati â—, nulla, o soltanto, nella lun ­ga parentesi buia, pochi ac ­cenni, quasi imbarazzati.

I motivi di questo silen ­zio, che fece conoscere ai so ­pravvissuti il sapore amaro dell’ingratitudine, costituisco ­no il contributo forse mag ­giore dell’imponente lavoro di ricerca che lo scrittore e gior ­nalista americano Harrison E. Salisbury ha dedicato all’as ­sedio con il suo I novecento giorni (ed. Bompiani, pp. 560, L. 6000).

Due motivi, ed entrambi le ­gati al gioco politico del dit ­tatore, a quell’equilibrio di forza e di terrore dal quale Stalin traeva la base del suo dominio. Il primo riguarda l’imprevidenza del despota, di fronte ai segni sempre più palesi dell’imminente attacco hitleriano e alle centinaia di avvertimenti, da un capo al ­l’altro del mondo: Churchill da Londra, la spia Sorge da Tokio, gli stessi avamposti di fron ­tiera davanti ai quali si am ­massavano i panzer dalla cro ­ce uncinata. Ma Stalin si cullò fino all’ultimo nell’illu ­sione che i tedeschi non avrebbero attaccato ed è di appena otto giorni prima del grande assalto una sua ma ­linconica nota nella quale si smentivano le voci di un im ­minente conflitto e si riaf ­fermavano i vincoli di ami ­cizia con il terzo Reich. Que ­sto mentre già i carri ar ­mati si preparavano a scal ­dare i motori e duecento di ­visioni tedesche erano schie ­rate per dilagare nelle pia ­nure russe.

Persino quando già comin ­ciarono a tuonare i canno ­ni, all’alba del 22 giugno 1941, e quando già la Luftwaffe aveva distrutto al suo ­lo buona parte dell’aviazio ­ne sovietica, a Mosca ci si chiedeva ancora se l’attacco non fosse soltanto una « pro ­vocazione » di pochi generali nazisti guerrafondai. Dopo, quando non fu più possibile dubitare, Stalin fu colto da una crisi di depressione così forte che per almeno tre set ­timane, le settimane crucia ­li, dovette lasciare nelle ma ­ni dei suoi luogotenenti gli affari politici e quelli mili ­tari. Una serie di imperdo ­nabili errori dei quali dovet ­tero fare le spese il popolo russo e soprattutto gli uomi ­ni di Leningrado.

La Venezia russa costituiva uno degli obiettivi primari dell’alto comando nazista, un obiettivo sul quale puntava ­no due armate e il più forte corpo corazzato della Wehrmacht, agli ordini del mare ­sciallo von Leeb, il generale che aveva conquistato la Maginot. Da Leningrado, i te ­deschi avrebbero poi puntato verso Sud, con un movimento a falce, per prendere alle spalle Mosca. I panzer avan ­zarono nel vuoto, travolgen ­do le inesperte truppe get ­tate nella fornace, le divisioni del popolo di operai e di ragazzi del Komsomol. A set ­tembre erano davanti a Le ­ningrado; una cintura di fer ­ro e di fuoco stretta attor ­no ai sobborghi.

La propaganda nazista ave ­va già annunciato l’imminen ­te caduta della seconda cit ­tà russa, ma proprio quando tutto sembrava perduto, sol ­dati e volontari del popolo, sulla linea dell’ultima resi ­stenza, riuscirono a compiere il miracolo, ad arginare la va ­langa. « Prenderemo Lenin ­grado per fame â— fu la ci ­nica risposta del comando te ­desco â—, inutile sprecare uo ­mini in un assalto frontale. E non ci saranno bocche da nutrire perché gli abitanti sa ­ranno tutti morti di inedia ».

Cominciò l’assedio dei no ­vecento giorni, l’epopea dei soldati, e dei cittadini, sotto il martellare dell’artiglieria, con le razioni sempre più scarse affidate ai precari ri ­fornimenti aerei e alla lun ­ga, infida pista tracciata fra i ghiacci del lago Ladoga. Un incubo senza fine che ri ­proponeva, moltiplicandoli, gli orrori dell’assedio di Parigi; i morti abbandonati per le strade, uomini e donne ridot ­ti a larve, gli episodi, per ­sino, dì cannibalismo. Quasi un milione le vittime â— non è stato mai possibile fare un bilancio preciso â— quando fi ­nalmente la morsa fu spez ­zata e l’invasore ricacciato.

Fu un gran giorno, nell’in ­credulità, quasi, di ritrovarsi vivi, ma presto venne l’oblio. Leningrado, l’isola rossa nel ­la marea nazista, non era stata una vittoria di Stalin. Era stata, almeno in parte, la vittoria di Zdanov, il se ­gretario del partito della cit ­tà, animatore della resisten ­za, già considerato il delfi ­no del dittatore. Ma Stalin non amava i vice che si met ­tessero troppo in luce. Ed ec ­co il secondo dei motivi del lungo silenzio sull’assedio: non si doveva parlare di Zda ­nov, non si doveva parlare di Leningrado. Fino al gior ­no della misteriosa â— e for ­se « organizzata » â— morte dell’ex-pupillo del despota, sul finire degli anni quaranta e anche dopo, fino al XX con ­gresso. L’oblio scese cosi sul milione di caduti della città di Lenin.

 

 


Letto 1750 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart