STORIA: I MAESTRI: Roma sul finire del ‘4321 Gennaio 2017 di Ercole Patti Queste giornate di febbraio tra contestazioni, scioperi, strade intasate di automobili, negozi hippie rigurgitanti di folla, giovani capelloni dall’a spetto di redentori con giub botti da pecorai, minigonne, stivaloni a mezza coscia, bot teghe e supermercati traboc canti dei più rari prodotti del mondo, dal caviale e la vodka russi ai formaggini e ai più co stosi vini francesi, tra pesanti giornali a più di trenta pagine, mi hanno riportato il ri cordo di un altro febbraio as sai differente di questo. Mi trovavo sere fa in un ri storante di via Sicilia fra i più rinomati soprattutto per le sue vistose e carissime carni cotte sulla brace, e mi sono ricorda to che nel 1943 anch’io fre quentavo tutte le sere quel ri storante in compagnia di ami ci scrittori e giornalisti. Erano gli ultimi tempi di guerra e in certe trattorie venivano ser vite ai clienti fidati clandesti namente bistecche nascoste sotto uno strato di verdura, dato che il razionamento vie tava che si servisse carne all’infuori dei giorni stabiliti. Il mascheramento di verdura era sempre imperfetto e le costate facevano capolino di sotto un leggero velo di peperoni o di cicoria. All’apparire delle guar die che di tanto in tanto veni vano a ispezionare, un came riere che stava sempre all’er ta accanto alla porta dava l’al larme e le bistecche rapida mente sparivano; alcuni avven tori se le cacciavano in bocca, altri se le mettevano in tasca in mezzo alla polvere di ta bacco caduta dalle sigarette. Una sera proprio in quel ri storante di via Sicilia, che al lora aveva un aspetto mode sto, ben diverso da quello di oggi, un famoso giornalista, al l’apparire del pattuglione, si ficcò in bocca una bistecca an cora intatta e rimase quasi sof focato con gli occhi sbarrati e le guance gonfie sotto lo sguar do diffidente di un appuntato. Per le strade si aggiravano la sera con passo strascicato quelli dell’UNPA e i canuti e miopissimi addetti alla difesa antiaerea (impiegati e profes sori che si erano iscritti volon tariamente alla milizia per trarne vantaggi nella carrie ra), che al minimo allarme sparavano all’impazzata dalle terrazze per stendere i panni dove erano collocate le loro batterie, con serio rischio per la cittadinanza. Una sera, subito dopo l’al larme, si sentì in una strada dei Prati una specie di ululato doloroso che usciva da un chiu sino e sembrava giungere dal le viscere della terra; era un capo-fabbricato che al primo fischio della sirena si era pre cipitato nell’angolo più remo to della cantina e da lì, lan ciando grida altissime e senza muoversi, chiamava a raccolta gli inquilini invitandoli a rag giungerlo. Dopo la cacciata dei tedeschi si iniziò il lungo e struggente dopoguerra romano. Ancora nelle trattorie c’era qualche suonatore ambulante che can tava Lilì Marlene. Le signo re andavano in bicicletta con la borsa della spesa nei mer cati a borsa nera di Tor di Nona e di Trastevere a com prare lo scatolame americano, le caciottelle insapori, la fa rina e certe boccettine di olio di un curioso colore verde ra marro, il burro salato nei ba rattoli, la pancetta in scatola, il latte vaporizzato. Nei viali di Villa Borghese si compra vano i primi pacchetti di si garette americane a 40 lire l’uno. Si faceva largo consumo di « zuppa essiccata » portata da gli americani; si vendeva in cartocci gialli, aveva il colore del cemento da presa, però fatta bollire nell’acqua non era cattiva. Un mio amico un po’ per economia e un po’ per ché gli piaceva, visse per pa recchi mesi di sola zuppa es siccata. La cucinava nella sua fredda cameretta ammobiliata su un fornellino che alimen tava con giornali appallottola ti, con gii striminziti giornali stampati su mezzo foglio di carta porosa che uscivano al lora. Quel tipo di nutrimento finì per procurargli un grave esaurimento del quale non si è del tutto rimesso neanche adesso. I cocomerai avevano siste mato le loro bancarelle a piaz za Colonna tra cavalli di frisia e reticolati. Molte dome stiche, travolte dai soldati americani, conobbero un benessere che non avrebbero mai so gnato. Le loro borsette traboc cavano di cioccolata, sigarette, peppermint, gomma da masti care, am-lire dal colore verdo lino; Le jeeps militari si riem pirono di chiome femminili bru ciacchiate dall’ossigeno svolaz zanti al vento. A Porta Portese c’era un grande mercato di bi ciclette usate. Tutti andavano in bicicletta: in bicicletta i funzionari raggiungevano i lo ro uffici, i giornalisti i loro giornali. In bicicletta i registi cercavano di organizzare i lo ro film. Le camionette private che facevano servizio fra un quar tiere e l’altro erano cariche co me cesti di selvaggina. C’era perfino un servizio di carri ti rati da cavalli che andava su e giù fra piazzale Flaminio e ponte Milvio. Erano pesanti carri lunghi e bassi senza bor di. I viaggiatori sedevano con le gambe penzoloni lungo le ruote cerchiate di ferro. Sem bravano i carri dei monatti du rante la peste di Milano nelle illustrazioni di Gonin. La sera le strade erano buie. Non c’erano tram, né gas, né luce. Le case erano illuminate con le candele o con l’acetile ne. Gli ascensori erano fermi da mesi. Si raggiungevano quattro volte al giorno i set timi e gli ottavi piani a piedi. I gipponi degli americani al loggiati negli alberghi di via Veneto parcheggiavano sulle aiuole i cui ferri di protezione erano schiacciati e appiattiti contro il suolo. La banda del « Gobbo del Quarticciolo », un piccolo minorenne gibboso che terrorizzava la città, sostene va conflitti a fuoco con la for za pubblica per le strade. Il giovane attore Massimo Serato una sera rincasò di cor sa in mutande nella rigida not te decembrina; sul viale Giulio Cesare due tipi armati di pi stola lo avevano fatto spoglia re rubandogli vestiti camicia scarpe e calzini e lasciandogli soltanto le mutande. I giorna li pubblicavano spesso notizie di commendatori spogliati e mandati a casa nudi sotto la sferza del freddo. I vestiti fa cevano più gola del denaro. Il primo cinema neorealista metteva le penne. In via della Panetteria, con mezzi di for tuna e in stretta economia, Rossellini girava « Roma cit tà aperta » non sospettando neanche lontanamente l’enor me successo al quale il film sarebbe andato incontro. Due sue comparse vestite da sol dati tedeschi che erano uscite un momento per comprare due sfilatini e un po’ di caciotta in via del Lavatore rischiarono di essere linciate dai passanti che le avevano scambiate per te deschi veri. Certo non era una vita comoda, ma la gioia di essersi liberati dai fascisti e dai tedeschi la faceva sembra re straordinariamente dolce e l’avvenire appariva pieno di speranza.
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