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STORIA: I MAESTRI: Roma sul finire del ‘43

21 Gennaio 2017

di Ercole Patti
[dal “corriere della sera”, lunedì 2 marzo 1970]

Queste giornate di febbraio tra contestazioni, scioperi, strade intasate di automobili, negozi hippie rigurgitanti di folla, giovani capelloni dall’a ­spetto di redentori con giub ­botti da pecorai, minigonne, stivaloni a mezza coscia, bot ­teghe e supermercati traboc ­canti dei più rari prodotti del mondo, dal caviale e la vodka russi ai formaggini e ai più co ­stosi vini francesi, tra pesanti giornali a più di trenta pagine, mi hanno riportato il ri ­cordo di un altro febbraio as ­sai differente di questo.

Mi trovavo sere fa in un ri ­storante di via Sicilia fra i più rinomati soprattutto per le sue vistose e carissime carni cotte sulla brace, e mi sono ricorda ­to che nel 1943 anch’io fre ­quentavo tutte le sere quel ri ­storante in compagnia di ami ­ci scrittori e giornalisti. Erano gli ultimi tempi di guerra e in certe trattorie venivano ser ­vite ai clienti fidati clandesti ­namente bistecche nascoste sotto uno strato di verdura, dato che il razionamento vie ­tava che si servisse carne all’infuori dei giorni stabiliti. Il mascheramento di verdura era sempre imperfetto e le costate facevano capolino di sotto un leggero velo di peperoni o di cicoria. All’apparire delle guar ­die che di tanto in tanto veni ­vano a ispezionare, un came ­riere che stava sempre all’er ­ta accanto alla porta dava l’al ­larme e le bistecche rapida ­mente sparivano; alcuni avven ­tori se le cacciavano in bocca, altri se le mettevano in tasca in mezzo alla polvere di ta ­bacco caduta dalle sigarette.

Una sera proprio in quel ri ­storante di via Sicilia, che al ­lora aveva un aspetto mode ­sto, ben diverso da quello di oggi, un famoso giornalista, al ­l’apparire del pattuglione, si ficcò in bocca una bistecca an ­cora intatta e rimase quasi sof ­focato con gli occhi sbarrati e le guance gonfie sotto lo sguar ­do diffidente di un appuntato.

Per le strade si aggiravano la sera con passo strascicato quelli dell’UNPA e i canuti e miopissimi addetti alla difesa antiaerea (impiegati e profes ­sori che si erano iscritti volon ­tariamente alla milizia per trarne vantaggi nella carrie ­ra), che al minimo allarme sparavano all’impazzata dalle terrazze per stendere i panni dove erano collocate le loro batterie, con serio rischio per la cittadinanza.

Una sera, subito dopo l’al ­larme, si sentì in una strada dei Prati una specie di ululato doloroso che usciva da un chiu ­sino e sembrava giungere dal ­le viscere della terra; era un capo-fabbricato che al primo fischio della sirena si era pre ­cipitato nell’angolo più remo ­to della cantina e da lì, lan ­ciando grida altissime e senza muoversi, chiamava a raccolta gli inquilini invitandoli a rag ­giungerlo.

Dopo la cacciata dei tedeschi si iniziò il lungo e struggente dopoguerra romano. Ancora nelle trattorie c’era qualche suonatore ambulante che can ­tava Lilì Marlene. Le signo ­re andavano in bicicletta con la borsa della spesa nei mer ­cati a borsa nera di Tor di Nona e di Trastevere a com ­prare lo scatolame americano, le caciottelle insapori, la fa ­rina e certe boccettine di olio di un curioso colore verde ra ­marro, il burro salato nei ba ­rattoli, la pancetta in scatola, il latte vaporizzato. Nei viali di Villa Borghese si compra ­vano i primi pacchetti di si ­garette americane a 40 lire l’uno.

Si faceva largo consumo di « zuppa essiccata » portata da ­gli americani; si vendeva in cartocci gialli, aveva il colore del cemento da presa, però fatta bollire nell’acqua non era cattiva. Un mio amico un po’ per economia e un po’ per ­ché gli piaceva, visse per pa ­recchi mesi di sola zuppa es ­siccata. La cucinava nella sua fredda cameretta ammobiliata su un fornellino che alimen ­tava con giornali appallottola ­ti, con gii striminziti giornali stampati su mezzo foglio di carta porosa che uscivano al ­lora. Quel tipo di nutrimento finì per procurargli un grave esaurimento del quale non si è del tutto rimesso neanche adesso.

I cocomerai avevano siste ­mato le loro bancarelle a piaz ­za Colonna tra cavalli di frisia e reticolati. Molte dome ­stiche, travolte dai soldati americani, conobbero un benessere che non avrebbero mai so ­gnato. Le loro borsette traboc ­cavano di cioccolata, sigarette, peppermint, gomma da masti ­care, am-lire dal colore verdo ­lino; Le jeeps militari si riem ­pirono di chiome femminili bru ­ciacchiate dall’ossigeno svolaz ­zanti al vento. A Porta Portese c’era un grande mercato di bi ­ciclette usate. Tutti andavano in bicicletta: in bicicletta i funzionari raggiungevano i lo ­ro uffici, i giornalisti i loro giornali. In bicicletta i registi cercavano di organizzare i lo ­ro film.

Le camionette private che facevano servizio fra un quar ­tiere e l’altro erano cariche co ­me cesti di selvaggina. C’era perfino un servizio di carri ti ­rati da cavalli che andava su e giù fra piazzale Flaminio e ponte Milvio. Erano pesanti carri lunghi e bassi senza bor ­di. I viaggiatori sedevano con le gambe penzoloni lungo le ruote cerchiate di ferro. Sem ­bravano i carri dei monatti du ­rante la peste di Milano nelle illustrazioni di Gonin.

La sera le strade erano buie. Non c’erano tram, né gas, né luce. Le case erano illuminate con le candele o con l’acetile ­ne. Gli ascensori erano fermi da mesi. Si raggiungevano quattro volte al giorno i set ­timi e gli ottavi piani a piedi. I gipponi degli americani al ­loggiati negli alberghi di via Veneto parcheggiavano sulle aiuole i cui ferri di protezione erano schiacciati e appiattiti contro il suolo. La banda del « Gobbo del Quarticciolo », un piccolo minorenne gibboso che terrorizzava la città, sostene ­va conflitti a fuoco con la for ­za pubblica per le strade.

Il giovane attore Massimo Serato una sera rincasò di cor ­sa in mutande nella rigida not ­te decembrina; sul viale Giulio Cesare due tipi armati di pi ­stola lo avevano fatto spoglia ­re rubandogli vestiti camicia scarpe e calzini e lasciandogli soltanto le mutande. I giorna ­li pubblicavano spesso notizie di commendatori spogliati e mandati a casa nudi sotto la sferza del freddo. I vestiti fa ­cevano più gola del denaro.

Il primo cinema neorealista metteva le penne. In via della Panetteria, con mezzi di for ­tuna e in stretta economia, Rossellini girava « Roma cit ­tà aperta » non sospettando neanche lontanamente l’enor ­me successo al quale il film sarebbe andato incontro. Due sue comparse vestite da sol ­dati tedeschi che erano uscite un momento per comprare due sfilatini e un po’ di caciotta in via del Lavatore rischiarono di essere linciate dai passanti che le avevano scambiate per te ­deschi veri. Certo non era una vita comoda, ma la gioia di essersi liberati dai fascisti e dai tedeschi la faceva sembra ­re straordinariamente dolce e l’avvenire appariva pieno di speranza.

 

 


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Bart