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STORIA: I MAESTRI: Porta Portese

5 Giugno 2011

di Paolo Bugialli
[dal “Corriere della Sera”, sabato 4 ottobre 1969]

Roma, ottobre.
C’era una volta Porta Portese. Era il mercatino del sa ­bato sera, dove si trovava di tutto: dalle puntine di gram ­mofono usate ai busti marmo ­rei di Mussolini, dai paramenti sacri consunti ai manifesti per il prestito della vittoria, dai ca ­narini alle poltrone sfondate. Abbondavano gli oggetti d’ar ­redamento, di provenienza per lo più campana: lungo i mar ­ciapiedi di Porta Portese sono stati dispersi, al miglior offerente, gli arredi di intere ca ­noniche meridionali.

Si trovava soprattutto, a Por ­ta Portese, una cert’aria di Ro ­ma. Era, prima che un mer ­cato, un piacevole pretesto per tirar tardi il sabato sera. L’ora di punta era la notte fonda, quando arrivavano le belle si ­gnore, le attrici che uscivano dai locali notturni, solitamente accompagnate da pseudo inten ­ditori che, per l’escursione fra l’anticaglia, si equipaggiavano di lampadine portatili, allo sco ­po di supplire alla fioca illu ­minazione stradale.

Ognuno giungeva animato dal sacro fuoco della scoperta. Son sempre corse voci di mira ­bolanti ritrovamenti: quadri di autore nascosti sotto una crosta, importanti mobili che si rivela ­vano, appena scrostate brut ­te vernici, antiche ceramiche sepolte da manti di fango. Voci sicuramente false. Chi ha com ­prato una crosta è sempre ri ­masto con la crosta, il brutto mobile è sempre rimasto brutto. Molti, comunque, sapendosi ac ­contentare, a Porta Portese hanno arredato l’intera casa con poche lire.

Le contrattazioni fra aspiran ­ti acquirenti e venditori rappresentavano il culmine del di ­vertimento. L’usanza della di ­scussione del prezzo attingeva vertici di autentico agonismo, come si conviene a un rinoma ­to paese di furbi. Molti torna ­vano a casa, con le automobili ingombre di paccottiglia, con ­vinti d’aver battuto in furbizia i venditori. Questi, ad ogni af ­fare concluso, erano costretti a simulare costernazione, per da ­re ad intendere che la vendita a quel prezzo rappresentava per loro una rovina. In effetti, la convenienza stava sempre dal ­la loro parte: non per niente erano quasi tutti napoletani.

Il mercatino sorgeva quasi in fondo al viale di Trastevere, do ­ve il gregge di casoni s’inter ­rompeva per dar luogo a un va ­sto, incomprensibile spiazzo. Poi la città ha rimediato a questa sua « distrazione », e ha riem ­pito di cemento l’isola che al sabato notte si riempiva d’an ­ticaglia. Ora la zona è gremi ­ta di case, severe come caserme.

Chi abita in quelle case, alla notte vuole dormire, ed è com ­prensibile. Il mercatino nottur ­no, perciò, è stato chiuso. Non è completamente morto: si svol ­ge la domenica mattina. Ma è un’altra cosa, ed è perciò giu ­sto parlarne al passato. Il cam ­biamento d’orario ha comporta ­to un cambiamento di genere: anche perché è difficile, sotto il sole, spacciare per costruito nel ‘600 un tavolo fratino ancora fresco di colla.

Adesso, le baracchette di Por ­ta Portese offrono soprattutto, al posto dei divertenti aggeg ­gi d’un tempo, vestiti di maglia di seconda scelta, scarpe da po ­che lire, probabilmente costrui ­te a base di cartone, cappotti di finta pelle, asciugamani di similspugna, fiori finti e pesci rossi. L’esposizione è da fiera paesana: un mercato settima ­nale di paese, nel cuore di Roma.

La cosa più eccentrica che si osserva, volendo proprio trovar ­ne una, è una bancarella che offre vestiti usati, da uomo e da donna. La merce, in sé, non ha niente d’attraente, è anzi d’una malinconia inaudita: è eccentrico il pubblico che soli ­tamente l’acquista, capelloni e loro compagne, che hanno mo ­do di rinnovare il guardaroba con pochi soldi, e che non esi ­tano ad affrontare prove e mi ­surazioni en plein air.

E’ la luce del sole, principal ­mente, che ha fatto perdere al mercatino romano il carattere che aveva. Le superstiti, scro ­state torcere da chiesa, non più protette dal buio, perdono ogni fascino. Le bronzee teste del duce, nel trionfo del mezzogior ­no, attingono ai vertici dello squallore. I cani cuccioli si ri ­velano affetti da tigna. Quanto agli oggetti romani di scavo, dimostrano troppo chiaramente la fabbrica dalla quale sono ap ­pena usciti. Ciò avvantaggia la correttezza commerciale, si di ­rà. Certo. Ma uccide la fantasia.

Col giorno, si è anche dissol ­ta la fauna che aggiungeva co ­lore al mercatino notturno. So ­no scomparsi i « compari » del gioco delle « tre carte », che si aggiravano furtivi in cerca di clienti da spellare, e che s’era ­no ormai pateticamente ridotti a fingere di giocare fra di loro, essendosi esaurita la scorta di « polli ». Sono scomparse le in ­sonni « falene ». Scarseggiano perfino, ed è il massimo segno di decadenza, i « pataccari », con le tasche piene d’orologi « d’oro » che a Roma incontri ovunque: hanno capito che or ­mai Porta Portese non è più per gli «snob » tonti, bensì per le massaie, provviste di solido buon senso.

Insomma, un’altra delle tra ­dizioni romane uccise dal pro ­gresso. E addormentata dalla pastasciutta. Infatti vi si nota, oltretutto, una cert’aria di frettolosità. La gente che, alla not ­te, indugiava a lungo, trasci ­nandosi da un’esposizione al ­l’altra, soppesando questo e quello, ora, la domenica matti ­na, va di passo svelto, butta un occhio e via. Perché mez ­zogiorno fa presto ad arriva ­re, e le fettuccine sono in pen ­tola.


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