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STORIA: I MAESTRI: Qui morì Attilio Regolo

13 Agosto 2014

di Sabatino Moscati
[da “La fiera letteraria”, numero 6, giovedì, 8 febbraio 1968]

Tunisi, febbraio

Siamo venuti a scoprire i resti del ­la civiltà romana su queste sponde dell’Africa, che si frammentano e si dissolvono in migliaia di anfrattuosità rocciose, che la luce calda del sole fa balenare di misteriose immagini: il gigante, il cammello, il mostro ma ­rino… Ma dietro la roccia brulla c’è la folta macchia mediterranea, e al giallo vivido della pietra subentra il verde cupo del lentischio, del pruno, del ginepro, appena velati da uno strato sottile di polvere e di salsedi ­ne. Là, nell’intrico indissolubile dei cespugli, biancheggiano a tratti i ru ­deri dell’età antica, segni di una vita intensa alla quale sono subentrati la solitudine e l’abbandono.

Perché e come abbiamo scelto que ­ste sponde per le nostre ricerche? Da anni andavamo scoprendo, in Sarde ­gna in Sicilia a Malta, le tracce di una civiltà mediterranea che vide il fe ­condo incontro tra genti italiche e africane. Era naturale, quindi, che ci spostassimo dall’altra parte del Me ­diterraneo, e precisamente sul lungo sperone del Capo Bon che, dell’Africa, è il punto più avanzato verso la nostra penisola. Ma altro è progetta ­re in teoria un’impresa, altro è realiz ­zarla: perciò dobbiamo render grazie al Consiglio Nazionale delle Ricerche, al ministero degli Affari Esteri e al ­l’Istituto Nazionale tunisino di Scien ­ze e Arti, senza l’aiuto dei quali il nostro progetto sarebbe rimasto a lun ­go nel regno della fantasia.

Ritrovati antichi insediamenti

Invece si è realizzato, e rapidamen ­te. In pochi mesi abbiamo definito le strutture della Missione, che abbia ­mo voluto fosse un’impresa congiun ­ta della Tunisia e dell’Italia, e in po ­chi giorni ci siamo posti all’opera, se ­guendo un criterio di esplorazioni si ­stematiche, integrate all’occorrenza da saggi di scavo ma sempre dinami ­che, sempre in movimento lungo la costa del Capo Bon, perché il nostro scopo è quello di individuare gli an ­tichi luoghi e le antiche ricchezze del ­la regione, non di fermarci su un luogo e su una ricchezza soltanto. Ci rendiamo conto che, rispetto ai meto ­di tradizionali della ricerca in queste terre, il nostro è un metodo nuovo: tutto sommato, non è forse meglio?

Ma veniamo alle scoperte. E dicia ­mo subito che esse superano ogni pur rosea speranza: lungo le coste del Ca ­po Bon l’esplorazione rivela una serie di antichi insediamenti, dei quali nep ­pure si supponeva l’esistenza. Sono città, fortezze, santuari, scaglionati a breve distanza tra loro e dunque tali da indicare, nel loro insieme, un’inten ­sa vita. Prima i Cartaginesi e poi i Romani, evidentemente, intesero la enorme importanza strategica della regione e vi s’installarono per la di ­fesa e per l’offesa; sicché dove oggi sono la roccia e la macchia ieri era ­no le mura, le case, le tombe.

Tra tanti ritrovamenti, il più signi ­ficativo è forse quello avvenuto a Mraissa, un nome che significa « porticciolo » e che designa una minusco ­la località costiera circa cento chilo ­metri a oriente di Tunisi. Qui siamo passati, potremmo dire, per puro de ­siderio di completezza: nulla infatti, né le guide né gli atlanti né gli in ­formatori, suggeriva la presenza di antichi resti. E invece, a un tratto, dinanzi ai nostri occhi attoniti so ­no apparsi, proprio a picco sulle on ­de, muri di cinta in grossi blocchi, pareti di edifici pubblici e di case private, pavimenti con mosaici a vi ­vaci colori, frammenti di colonne, va ­sche e pozzi. Il tutto in un groviglio indescrivibile, perché il vento e il mare hanno in parte distrutto e in parte coperto, attraverso i secoli, le co ­struzioni antiche. L’erosione delle on ­de è arrivata al punto di « mangiare » letteralmente una parte dell’abitato, sicché si vedono le porte che un tempo s’aprivano sulle stanze aprirsi ora sulle punte aguzze della scogliera.

Due necropoli, a Nord e a Sud, se ­gnano i limiti dell’abitato; e una gran ­de strada lo attraversa tutto, proce ­dendo in linea parallela alla costa. Sull’ingresso, quasi porta solenne, un arco quadrifronte s’apre alla vista dei visitatori, ed è il primo del genere scoperto in Tunisia. Una città impor ­tante, dunque, la cui datazione va po ­sta al secondo o al terzo secolo dopo Cristo, in piena età imperiale: ma chi può dire se uno scavo approfondito non rivelerà domani strati più anti ­chi, insediamenti rispetto a cui quel ­lo oggi in vista non è che la conclu ­sione e il coronamento?

Il lettore, a questo punto, vorrà co ­noscere il nome della città scoperta. E qui potremmo far sfoggio di erudi ­zione, citare antichi autori e proporre brillanti ipotesi; senonché, a confes ­sare il vero, navighiamo ancora nel buio, perché non abbiamo per il mo ­mento iscrizioni o altri elementi ade ­guati che ci consentano un giudizio certo. Così vai meglio fermarci e pas ­sare ad altre scoperte, ché ve ne sono in gran numero e meritano di essere segnalate. Emerge, tra esse, un cospi ­cuo gruppo di fortezze, come è logi ­co in considerazione dell’importanza militare che i Cartaginesi e i Romani attribuirono a queste sponde; il fatto essenziale, a riflettervi, è che venia ­mo in tal modo ad apprendere per la prima volta i sistemi difensivi adot ­tati da Cartagine. La città infatti, co ­me è noto, fu distrutta dai Romani, che ad eterna maledizione la cosparse ­ro di sale; se dunque vogliamo cono ­scerne le attrezzature e le strutture di guerra, non ci resta che volgerci ai ritrovamenti ora in corso.

Almeno tre sono le fortezze sco ­perte. La prima, posta sul Ras Fortas poco a oriente di Mraissa, si pre ­senta come una roccaforte sul mare protetta da una serie di linee difen ­sive con mura e torri, tali da spaven ­tare i nemici provenienti dall’entro- terra, mentre l’altezza impervia del promontorio bastava da sé a tener lontani quelli provenienti dal Mediterraneo. L’esame dei muri e della ceramica indica che la fortezza fu car ­taginese, prima, romana poi. Ma v’è dell’altro, e di assai significativo: re ­sti arabi e perfino trincee dell’ultima guerra confermano il valore inalte ­rabile della posizione strategica e in ­dicano che l’antica roccaforte ha man ­tenuto nei secoli la sua funzione ca ­ratteristica.

La seconda fortezza è stata indivi ­duata sul Ras ed-Drek, proprio alla estremità del Capo Bon. Anche qui v’è una possente roccaforte sulla vet ­ta; e anche qui vi sono linee difen ­sive scaglionate in profondità, che abilmente utilizzano le pareti roccio ­se digradanti all’intorno. Il Ras ed-Drek, tuttavia, ci ha riservato una sorpresa particolare: oltre lo sperone del promontorio, in basso, un lungo scoglio si protende nel mare; e sullo scoglio si delinea la sagoma di un edificio, che risulta essere un tem ­pio annesso al luogo fortificato. Così la vita religiosa affiora accanto a quel ­la guerriera, e l’una e l’altra si fon ­dono nell’unità indissolubile della te ­stimonianza archeologica.

Incontro tra storia e archeologia

Infine, la terza fortezza scoperta si trova dalla parte occidentale del Ca ­po Bon, presso l’attuale cittadina di Kelibia. Ma qui, per vero, non abbia ­mo scoperto tanto il luogo quanto la sua antichità. Su un alto colle, infat ­ti, sorgono possenti strutture difen ­sive di epoca ispano-moresca, che le guide fanno rimontare nelle origini al massimo al sesto secolo dopo Cri ­sto: noi però abbiamo individuato, al ­la base di queste strutture più anti ­che, blocchi di pietra, resti di bastio ­ni e camminamenti che furono già ro ­mani e probabilmente cartaginesi. Un ricordo, a questo punto, balza improv ­viso: non è forse Kelibia l’antica Clupea, e non è dunque questo il luogo in cui secondo l’attestazione unanime delle fonti compì le sue sfortunate ge ­sta il console romano Attilio Regolo?

Così, archeologia e storia si vengo ­no incontro, e tra loro s’integrano il ­luminando di nuova luce la conoscen ­za dell’antichità. Il che, del resto, non vale solo per le maggiori scoperte; vale anche per le minori, per gli innumerevoli villaggi e fattorie e com ­plessi idrici che stiamo incontrando sul nostro cammino. Occorre dire, an ­zi, che ci troviamo sempre più di fronte a una testimonianza singolare e suggestiva, quella del pacifico so ­vrapporsi delle civiltà in genere e di quelle cartaginese e romana in specie.

Lasciamo dunque ai cronisti super ­ficiali la ricostruzione di un passato in cui tutto sia scontro e contesa; e guardiamo con più meditata e appro ­fondita saggezza a un lungo fluire di secoli nei quali l’umiltà della quo ­tidiana esistenza non raggiunse spes ­so i fastigi della gloria, eppure costi ­tuì il tessuto connettivo essenziale nell’eterno volgere delle umane vi ­cende.


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Bart