STORIA: I MAESTRI: Un paravento davanti a Porta Pia31 Ottobre 2011 di Leonardo Vergani Con tutto quello che bolle in pentola, ci attende probabilmente un venti settembre molto in sordina. La data, in questo mo mento, è più scomoda che mai e se il calendario non avesse le sue esigenze è altrettanto probabile che ci si darebbe da fare per rimandarla ad epoca da destinarsi, tra l’indifferen za, del resto, della quasi tota lità degli italiani. Brontolino pure gli storici e i cultori delle patrie memorie â— si pensa da più parti â— che da decenni in naffiano la stenta pianticella di Roma capitale senza rendersi conto che, con tutti i guai di casa nostra, persino il ricordo della breccia di Porta Pia do vrebbe essere murato con una mano di cemento. Ci sono altre cose a cui pensare. E, visto che questo scomodissimo venti set tembre cadrà di domenica, c’è addirittura chi spera che il rap tus del fine settimana annebbi la ricorrenza. Questo benedetto giorno, insomma, non lo aspetta proprio nessuno, né i Palleschi né i Piagnoni, né i Capuleti né i Montecchi. Tutti pronti dun que a metterlo in soffitta, sotto naftalina, lasciando ai nipoti il compito di riesumarlo, ammesso che l’orizzonte nel Duemilaset tanta sia meno gravato dalle nubi della polemica. Gli orpelli delle celebrazioni, diciamolo subito, danno fasti dio un po’ a tutti, anche perché il nostro Paese festeggia ad ogni piè sospinto centenari, bicente nari, tricentenari e così via e sempre sotto forma di paludatissimi discorsi, punteggiati da sba digli. Ma, ad un secolo da Porta Pia, qualche rimorso dovrebbe essere d’obbligo. Quel giorno tor mentato per la generazione dei nostri nonni, fu dissolto nell’iro nia che avvolgeva l’Italietta, la piccola Italia del trasformismo liberale e post-risorgimentale, da chi ci voleva far marciare a passo romano. Nel secondo dopoguerra non si trovò di me glio che scegliere la stessa data per spalancare le imposte di case troppo ospitali. Da destra e da sinistra ci si è dati attor no, in sostanza, per seppellire i riferimenti alla questione ro mana. Nessuno se n’è lamen tato. Se invece nella storia recente ci fu un momento in cui il no stro Paese trovò una larga com pattezza d’intenti, un ideale co mune â— e non fu cosa facile in uno Stato-mosaico in cui il movimento unitario aveva la sciato una scia di sospetti e di indifferenze â— fu proprio quello che scoccò con l’entrata a Ro ma. L’adesione popolare fu to tale. Per informare i fogli di allora, i cui lettori erano affa mati di notizie, i giornalisti dovettero sudar sette camicie. Raffaele Cadorna, comandante le truppe, li odiava e proibì ad dirittura che i nostri lontani e illustri colleghi entrassero in città attraverso la breccia. Ed mondo De Amicis, Ugo Pesci e Carlo Arrivabene si intruppa rono tra i bersaglieri per varca re la soglia, beffando l’acciglia to generale. L’Italia era curiosa e voleva sapere. Per una volta tanto uscimmo dal torpore. Roma capitale rappresentò una grossa ipoteca di speranza in un piccolo regno travagliato già dalle sue crisi. Fu una sta gione densa di promesse. Che queste siano state mantenute o no ha importanza fino ad un certo punto, e non giustifica chi vorrebbe dimenticare quelle giornate. A ricordarle e a com piere un bilancio dei cent’anni romani s’è impegnato Vittorio Gorresio che, nonostante la neb bia sonnolenta che dicevamo prima, s’è rimboccato le mani che e ha pubblicato un libro Roma Ieri e Oggi (1870-1970) (Rizzoli, pp. 115, L. 1800), nel quale alla serietà della docu mentazione si unisce una sor prendente vivacità. Gorresio racconta quale fu lo sgomento del giovane Stato italiano al momento di appropriarsi una capitale come Roma, i timori, le sorprese, le scoperte. Furono, i primi anni, un capolavoro di diplomazia che venivano a co ronare la paziente opera del tessitore ». Tutte le maledizio ni fulminate da Pio IX contro gli usurpatori figli di Satanas so, nipoti di Belial, rampollo di Achitofello, suonano come se fossero state pronunciate sol tanto per ragioni di principio. Vittorio Emanuele, accusato di essere uno scassinatore perché si servì del fabbro ferraio Gio vanni Capanna per entrare al Quirinale, preferiva non affac ciarsi alla finestra per non ve dere il Vaticano e immaginare « quel povero vecchio » al quale, diceva. « i l’hai già faine abastanza ». Furono gli anni del le « guerre dei cuscini » sui quali dovevano inginocchiarsi Umberto e Margherita alla mes sa di Santa Maria Maggiore e di mille altri episodi rivelatori di un’epoca. Vittorio Gorresio racconta l’ingresso delle truppe â— quel l’ingresso che aveva scanda lizzato Gregorovius, quando im provvisamente cadde tutta la spocchia degli sbirri, caccialepri, zampitti, squadriglieri, antiboini, palatini, svizzeri che dove vano difendere il Papa â— ri corda con ironia anche i pro getti dei piemontesi (si pensò allora di costruire una ferrovia sopraelevata su tortili colonnet te di ghisa, che avrebbe dovuto andarsene, a cinque metri dal suolo, da piazza di Spagna alla stazione Termini, e di coprire il Colosseo per trasformarlo nel la camera dei deputati) e scova il bandolo della matassa della speculazione edilizia, i cui mi sfatti cominciarono quasi subi to. Ricorda la calata dei buz zurri e la massiccia immigra zione dal Meridione in una cit tà senza industrie che ancora odorava di cavoli bolliti come ai tempi del papato, i moti po polari dei disoccupati â— ancora nell’82 l’economista Vittorio Ellena raccomandava che si ali mentasse l’industria dei fiori finti come soluzione ai molti problemi â— e traccia così un efficacissimo itinerario che, dal la carica dei bersaglieri di Cammarano, arriva fino ai giorni nostri. Non è, la sua, una rico struzione laudativa. Si parla anche di affarismo e di corru zione, come è giusto. Se ci aspetta un venti set tembre in sordina, i pochi libri su Roma capitale pubblicati quest’anno ci eviteranno rossori postumi di fronte a chi, un gior no, vorrà vedere come gli ita liani del 1970 si sono ricordati della data. Il libro di Vittorio Gorresio è uno di quelli da leggere e da mettere su uno scaffale. Ce ne sarebbero voluti molti di più. Ma con l’aria che tira, poteva essere anche peggio. Letto 1561 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||